Libri erotici - Cleis Ende https://www.cleisende.it/recensioni/libri-erotici/ Parole sporche Thu, 22 Apr 2021 17:21:28 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.3 https://www.cleisende.it/wp-content/uploads/2020/11/cropped-Icona-CleisEnde-1-32x32.jpg Libri erotici - Cleis Ende https://www.cleisende.it/recensioni/libri-erotici/ 32 32 Recensione di “Ho imparato a odiarti”: il mistero del protagonista scomparso https://www.cleisende.it/recensione-ho-imparato-a-odiarti/ Thu, 22 Apr 2021 16:59:28 +0000 https://www.cleisende.it/?p=877 “Ho imparato a odiarti” di Vi Keeland e Penelope Ward (“Hate notes”, in originale) è il classico romance con due punti di vista e due...

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“Ho imparato a odiarti” di Vi Keeland e Penelope Ward (“Hate notes”, in originale) è il classico romance con due punti di vista e due protagonisti. In apparenza. In realtà, il protagonista è uno solo

La mia recensione di “Ho imparato a odiarti” non è del tutto negativa ma nemmeno positiva, metto subito le mani avanti. In linea con la policy del blog, avrei dovuto metterlo da parte e fare finta di niente, eppure eccomi qua: perché?

Nonostante i tanti difetti, questo romance ha avuto un ottimo riscontro da parte del pubblico italiano e straniero. A mio dire, buona parte del merito va all’inizio e a una delle due linee narrative, ovvero quella del protagonista maschile Reed. Giocando con questi due elementi, le autrici sono riuscite a compensare una protagonista femminile poco coinvolgente come Charlotte.

Andiamo più nel dettaglio.

Di cosa parla “Ho imparato a odiarti”

Il romanzo inizia con la ventottenne Charlotte alla canna del gas: ha scoperto che il fidanzato la tradiva, l’ha mollato a un passo dall’altare, si è dovuta licenziare (perché ovviamente lavorava con l’ex), è rimasta senza un soldo.

Pacchetto completo, insomma.

Mentre cerca di rivendere il vestito da sposa, trova un abito stupendo con un biglietto azzurro all’interno. Il biglietto è scritto da un tale Reed ed è dedicato ad Allison, probabilmente la ex proprietaria del vestito. Charlotte rimane folgorata dal romanticismo che trasuda dal biglietto, tanto che cerca l’autore online. Lo trova e scopre che lavora per un’importante agenzia immobiliare. Ed è single.

Adesso non resta che trovare un modo per incontrarlo.

Due protagonisti con i quali empatizzare

L’inizio di “Ho imparato a odiarti” ha un enorme pregio: ti mette dalla parte di entrambi i protagonisti. Charlotte emerge fin da subito come una brava ragazza, forse un po’ troppo impulsiva, che però non merita ciò che le sta capitando. Insomma, la ragazza ci viene presentata come una brava persona presa a calci dalla vita, il che suscita in noi tenerezza e voglia di vederla vincere.

Come si suol dire: la prima impressione è tutto.

Non vediamo subito Reed, ma sembra un ragazzo romantico e innamorato, probabilmente mollato sull’altare per colpe non sue. O almeno questo crede Charlotte, contagiando noi lettori con questa convinzione. Non è molto, ma è comunque meglio di niente: nel primo incontro con Charlotte, infatti, Reed si comporta un po’ da stronzo.

Se avessimo visto prima lo stronzo e poi l’uomo romantico, sarebbe stato più difficile prendere a cuore la sua sorte.

I cambiamenti di Reed e l’immobilità di Charlotte

I problemi iniziano (o meglio, diventano evidenti) dopo il primo incontro tra i due. Charlotte fissa un appuntamento per visitare un loft che non può permettersi, presa dalla curiosità. Reed capisce subito che è lì solo per curiosare, quindi la umilia e la accusa di voler far perdere tempo alla gente che lavora. Lei scoppia a piangere e scappa in bagno.

Qui le cose precipitano.

In bagno, Charlotte incontra una simpatica signora di nome Iris che l’ascolta sfogarsi. Signora che si scopre essere la proprietaria dell’agenzia e la nonna di Reed, nonché l’emissaria del messaggio del romanzo: “segui le tue passioni fregandotene di quello che pensa il mondo”. Iris, questo è il suo nome, porta il messaggio prima a Charlotte e poi a Reed, ma i due reagiscono in modo diverso.

Reed si comporta da protagonista, per così dire: sulle prime bolla il consiglio come una cazzata, facendo di tutto per andare avanti con la propria vita. Man mano che la storia va avanti, si convince della bontà del consiglio della nonna e inizia a cambiare, finché questo cambiamento non lo porta al lieto fine. Noi lettori lo seguiamo lungo il percorso, facendo il tifo per lui e soffrendo insieme a lui, quando le cose vanno male.

Per Charlotte è diverso. Nel corso del romanzo, dichiara più volte di essersi annullata mentre stava con il suo ex. Non abbiamo motivo per non crederle. Nel corso della storia, però, fa tutto tranne che annullare i propri desideri: già prima dell’incontro con Iris, Charlotte si è portata a casa un abito da sposa inutile e ha messo su una sceneggiata per vedere l’autore del biglietto, entrambe decisioni prese sull’onda della passione. Il cambiamento c’è stato, ma precede l’inizio del romanzo.

Il fatto che Charlotte non cambi lungo la storia non sarebbe necessariamente un problema, anche se rende più difficile legarsi a lei. In teoria, sarebbe potuta essere una di quei protagonisti che funge da catalizzatore, spingendo gli altri personaggi a cambiare.

No, il problema è un altro: Charlotte non ha niente da perdere.

Perché Charlotte non è una vera protagonista

L’inizio serve per farci affezionare ai protagonisti, ma è inutile senza una posta in gioco. Affinché la storia sia davvero appassionante, i protagonisti devono avere una posta in gioco, ovvero qualcosa che rischiano di perdere. Non dev’essere necessariamente questione di vita o di morte, ma dev’essere importante per loro e difficile da ottenere. In “Ho imparato a odiarti”, l’unico ad avere una vera posta in gioco è Reed.

Reed viene fin da subito mostrato come un uomo che vive solo per il lavoro, che ha rinunciato a tutte le cose belle della vita. All’inizio non sappiamo cos’è successo con Allison, ma è stato chiaramente doloroso. Quando Charlotte entra nella sua vita, fa di tutto per tirarlo fuori dal guscio che si è costruito e lui, ovviamente, sulle prime fa resistenza.

Noi lettori capiamo subito che la vera posta in gioco non è la storia con Charlotte, ma una vita piena di amore e di gioia. Se Reed rifiuterà i sentimenti che prova per Charlotte, si chiuderà definitivamente in se stesso e non ne uscirà più. Questa consapevolezza ci mette in ansia per lui, spingendoci ad andare avanti nella storia.

E Charlotte?

Charlotte non ha niente da perdere, o così sembra. Se dovesse andare male con Reed, si leccherà le ferite e andrà avanti per la propria strada: ce lo dimostra più volte. Il lavoro offerto da Iris è ben pagato, ma non è il lavoro dei sogni: se dovesse perderlo, ne troverà un altro. Inoltre, le autrici ci fanno sapere che sia Reed sia la nonna sia il fratello di lui si prodigherebbero per cercale un altro lavoro.

Meglio per lei, ci mancherebbe, però questo rende la sua parte della vicenda molto meno interessante. Di fatto, la storia avrebbe funzionato anche senza il suo punto di vista, a parte per l’inizio. Il suo unico compito è innescare il cambiamento di Reed. Per carità, non c’è niente di male, ma è un po’ poco per un protagonista.

La “posta in gioco” di Charlotte (Spoiler)

Chi ha letto il romanzo potrebbe replicare che, non fosse stato per il rapporto con Reed, Charlotte non avrebbe mai trovato la madre prima che questa morisse. Vero, ma c’entra poco con il concetto della posta in gioco.

Reed si mette a cercare la madre di Charlotte per conto suo, senza chiederle niente. Quando la trova, Charlotte lo segue senza protestare né esitare. Il ritrovamento della donna non dipende dalle azioni di Charlotte, quindi, quanto da una buona dose di fortuna. Inoltre, il tutto avviene verso la fine: i lettori non sviluppano alcuna tensione nel corso del romanzo, che dovrebbe essere il compito della posta in gioco.

 

In definitiva, “Ho imparato a odiarti” è un romanzo che si fa leggere. Peccato che una buona metà verta su una protagonista che non cambia, non si trova mai davvero in difficoltà, non ha niente da perdere. Il suo unico ruolo è fungere da punto di vista femminile, fondamentale in romanzi di questo genere.

Peccato.

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“Unfit vol. 1: Rachel”: il romance vittoriano si fa femminista https://www.cleisende.it/unfit-rachel-miss-black/ Mon, 29 Mar 2021 16:39:25 +0000 https://www.cleisende.it/?p=873 “Bridgeton” di Netflix è stato solo l’ennesimo caso di romance vittoriano zozzarello di successo. Miss Black ha deciso di cavalcare l’onda con una serie a...

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“Bridgeton” di Netflix è stato solo l’ennesimo caso di romance vittoriano zozzarello di successo. Miss Black ha deciso di cavalcare l’onda con una serie a tema, di cui “Rachel” è il primo libro.

La nostra cara Miss Black è sempre sul pezzo, niente da dire. Nonostante qualche scivolone, la sua produzione rimane di gran lunga sopra la media dei romance e degli erotici italiani. Il primo volume di “Unfit – Amori di tre ragazze impresentabili” non fa eccezione.

La trama

Le sorelle Vassemer sono destinate a rimanere zitelle, c’è poco da fare. Il padre, sir Henry, le ha cresciute in modo troppo bizzarro, perché trovino posto nella società. Sono tutte colte, indipendenti, disinteressate a quello che la gente pensa di loro. Nessuna delle tre accetterebbe mai di farsi imbrigliare da un uomo, il che le rende una pessima scelta per qualsiasi giovane dotato di buon senso.

Quando però crolla il tetto della loro dimora, Cranwell House, tutto cambia.

Il padre delle sorelle muore nell’incidente; la maggiore delle tre, Rachel, si salva per miracolo.

Se si fosse già ritirata per la notte, come ogni brava gentildonna avrebbe dovuto fare a quell’ora, sarebbe certamente rimasta uccisa. Tuttavia, (…) Rachel era nella torretta, intenta a osservare il cielo stellato di settembre attraverso il grande telescopio riflettore da trentasei pollici (…)

L’uomo ha lasciato una discreta rendita alle sorelle Vassemer, il che dovrebbe garantire loro una vita più che dignitosa. C’è solo un problema: nel testamento, il padre ha anche disposto che le figlie vengano affidate a tre tutori. Il documento è vecchio, risalente a quando le tre erano solo delle bambine. Ciò non toglie che sia ancora valido.

Nonostante abbia ben trentatré anni e sia perfettamente in grado di cavarsela da sola, Rachel viene spedita nella tenuta del Marchese di Northdall. L’uomo è vedovo e con due figli, si accompagna a un bizzarro servitore indiano e ama i propri cavalli sopra qualsiasi cosa. Soprattutto, chiede a Rachel di sforzarsi di essere un minimo presentabile.

Si preannuncia una convivenza scoppiettante.

Lo stile

Il libro inizia con uno spiegone in terza persona con narratore onnisciente, il che di solito è un pessimo segno: nel 99,9% dei casi, si potrebbe mostrare tutto con una scena progettata ad hoc, invece che raccontare. Per fortuna l’incipit dura poco e presenta comunque qualche elemento concreto, che ne rende la lettura un po’ più piacevole.

Il resto del romanzo è scritto in terza persona al passato, prevalentemente dal punto di vista di Rachel. La gestione del punto di vista è quasi sempre buona, a parte per qualche scivolone qua e là. Verso la fine, c’è una scena nella quale il punto di vista fa avanti e indietro tra due personaggi, rendendo il tutto un po’ troppo confuso. Non mi vengono in mente altre scene con problemi di questo tipo, però.

A parte per lo spiegone iniziale, le parti in raccontato sono ridotte al minimo: troviamo qualche riga di riassunto qua e là, ma niente di eccessivo. Per il resto, la narrazione è nitida e aiuta il lettore a immergersi nella vicenda. Pollice in alto, insomma.

Perché ce l’ho con gli “spiegoni”

Sto per dire qualcosa di sconvolgente: le regole per scrivere bene non sono state calate dall’alto, anzi. Se certe norme sono finite nei manuali è perché – sorpresa! – qualcuno ha notato che funzionano. Certo, volendo si possono anche violare, a patto però di conoscere le conseguenze. Il che ci porta agli spiegoni e al perché mi stanno sulle scatole.

In uno spiegone – o infodump, se vogliamo usare il termine corretto – un narratore ci butta addosso informazioni crude, raccontando ciò che succede invece che mostrandolo. Ciò riduce il senso di immersione del lettore e interrompe la narrazione o, se lo spiegone è all’inizio, la ritarda.

Ti faccio un esempio.

Stai sognando di essere a cena con Jason Momoa (o con chi pare a te, non importa). Stai già pregustando uno scoppiettante dopocena, quando si spegne tutto e compare un tizio con un foglio in mano. Il nuovo arrivato inizia a raccontarti cosa succede dopo la cena, invece di fartelo vivere in prima persona.

Il tizio in questione è il narratore che ti butta addosso il brano in raccontato, interrompendo così il tuo bel sogno ad occhi aperti. Potrà anche essere bravo a parlare, ma rimane sempre lo stesso problema: ti sta appioppando un monologo al posto del tuo dopocena con Jason Momoa. Fastidioso, no?

Com’è strutturata la storia

Il libro si concentra su Rachel, come il titolo suggerisce in modo molto subdolo. Ciononostante, nella prima parte del romanzo troviamo qualche capitolo dedicato alle sorelle. In questo modo il lettore si fa un’idea di quale sia la loro situazione di partenza, in vista dei prossimi due romanzi dedicati a loro.

Oltre a Rachel, seguiamo anche le vicende di Northdall; l’uomo è alle prese con il figlio maggiore, che pare star imboccando una brutta strada. Pur essendo una linea narrativa secondaria in questo romanzo, sono sicura che acquisterà importanza nei libri successivi.

Per quanto riguarda la struttura, devo dire che è abbastanza chiara per chi ha un minimo di occhio. Primo turning point, midpoint e secondo turning point sono abbastanza facili da trovare (analisi con spoiler pesanti nella nota)1.

Femminista sì, ma al passo con (quei) tempi

Miss Black è femminista e si vede: le sue donne sono forti, indipendenti, con un sano appetito sessuale. Potrebbero campare benissimo anche senza un uomo accanto e, proprio per questo, cercano un compagno di viaggio piuttosto che una stampella cui appoggiarsi.

“Rachel” non fa eccezione: la protagonista è caparbia, forte, colta. Peccato che viva in un tempo nel quale le donne sono in gran parte “piante da interni” (parole di Miss Black). C’era il rischio che Rachel risultasse anacronistica, essendo così strana rispetto alle altre donne del suo tempo. Per fortuna, l’autrice ha gestito la cosa senza problemi.

Pur essendo una donna decisamente avanti, Rachel rimane figlia del suo tempo: mantiene quel minimo di rispettabilità che si chiede a una donna ed è ignorante su tutto ciò che riguarda il sesso, il che si rivelerà importante per la storia. Lo stesso vale per Northdall: pur essendo molto avanti su certe cose (il suo migliore amico è un servitore indiano, per dire), rimane ancorato al concetto di “presentabilità”.

Questo approccio mi è piaciuto molto. Da una parte, Miss Black ci fa assistere alla genesi del femminismo contemporaneo. Dall’altra, non fa l’errore di applicare schemi mentali contemporanei a tempi non ancora maturi.


1 L’incidente scatenante dovrebbe essere il crollo della casa di famiglia. Il primo turning point, ovvero quando le cose cambiano in modo tale da non poter tornare più indietro, è quando Rachel comincia i suoi giochini con lo stalliere e scopre le gioie della masturbazione. Nel midpoint, Rachel accetta di sposare Northdall dopo essere stata stuprata dallo stalliere in questione; in sostanza, è costretta a cambiare la propria visione del mondo e impara a fidarsi di Northdall. Nel secondo turning point, la prima notte di nozze, questa fiducia viene messa a dura prova. In seguito, Rachel scopre di potersi fidare di Northdall anche dal punto di vista sessuale e vissero tutti felici e contenti.

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Com’è fatto un master BDSM? Ce lo spiega Lara Esse https://www.cleisende.it/master-bdsm-lara-esse/ Thu, 11 Mar 2021 21:19:40 +0000 https://www.cleisende.it/?p=863 Il tema di come è fatto un “vero” master BDSM è una delle più sentite nell’ambiente, specie dai giovani uomini. Il libro “Nel buio ti...

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Il tema di come è fatto un “vero” master BDSM è una delle più sentite nell’ambiente, specie dai giovani uomini. Il libro “Nel buio ti vedo” di Lara Esse parla proprio di questo

Spoiler: il “vero” master, quello alla Christian Grey, non esiste. O meglio, esiste ma non vuoi andarci a letto né tanto meno praticarci BDSM. Come già accennato nella recensione di “Come petali di ciliegio”, i maschioni protagonisti di tanti libri erotici sono in realtà figure abusive. Rimane quindi da capire com’è fatto davvero un uomo dominante e, magari, anche un po’ (tanto) sadico.

Nel buio ti vedo” di Lara Esse gira proprio intorno a questa domanda, motivo per cui lo userò come pretesto per approfondire l’argomento dopo un’analisi più formale.

Di cosa parla “Nel buio ti vedo”

Alice è una giovane donna normale, che divide la propria vita tra casa e lavoro. La tipica ragazza acqua e sapone che frequenta ragazzi altrettanto normali e innocui. In apparenza.

In realtà, sono anni che Alice cerca il coraggio per entrare nell’ambiente BDSM. Pur essendosi iscritta a diversi munch, ne ha frequentati solo un paio e non ha mai approfondito la conoscenza con nessun membro della Scena. Forse il suo momento è arrivato.

Un giorno Alice trova una lettera anonima nella cassetta delle lettere. Un uomo la invita a casa sua, promettendole di farle scoprire i segreti della dominazione erotica a una condizione: prima di ogni incontro, Alice dovrà indossare una benda.

L’uomo senza volto, ribattezzato “MrDark” dalla protagonista, porterà Alice in luoghi di se stessa che non avrebbe mai pensato di raggiungere. Qual è la sua vera identità, però?

Che sia qualcuno che Alice conosce già?

Analisi tecnica del romanzo

Prima di passare al discorso sul “vero” master BDSM, due parole su com’è scritto e strutturato il romanzo.

La storia

Mi piacerebbe dire che la premessa di “Nel buio ti vedo” è assurda1, ma sarei molto ottimista. Pochi MrDark ti lasciano una lettera nella cassetta della posta (per fortuna), però di masteroni che ti propongono incontri al buio su internet è pieno il mondo. Allo stesso modo, è pieno il mondo di persone giovani che si buttano a capofitto nell’esperienza.

Diciamo che di solito non va come nel romanzo. Probabilmente, l’aspetto più inverosimile della storia è che MrDark si riveli una persona tutto sommato seria, desiderosa di instaurare un legame duraturo con Alice. Nella realtà, una persona che non gioca così tanto a carte coperte è probabilmente una persona abusiva. Fatta eccezione per questa cosa, però, il romanzo dà un’immagine abbastanza fedele del BDSM.

Dopo le famigerate Sfumature, il panorama erotico si è riempito di autori che scrivono di BDSM senza saperne un tubo. Lara Esse è invece una persona che ne capisce ed è evidente per due motivi:

  • la storia gira intorno a un problema reale all’interno della Scena, descrivendo un rapporto di dominazione e sottomissione realistico, anche se romanzato;
  • le sessioni descritte non si limitano alle solite due pacchette sul culo che si vedono nei libri erotici. Niente contro le sculacciate, anzi, però è bello leggere un libro con qualche pratica BDSM un po’ diversa dal solito. Alice si diletta con figging, kinbaku, breath play, elettro play… Insomma, c’è un po’ di varietà.

La struttura del romanzo è un po’ approssimativa: la vicenda inizia con Alice che incontra MrDark, senza lasciarci il tempo di conoscere la protagonista; Valerio, un personaggio importante per la storia, entra in scena solo al 37% del romanzo; certe scelte sembrano essere state prese in corso d’opera. In compenso, il conflitto è sempre presente e non ci sono momenti di noia.

Secondo me, sia i pro sia i contro sono dati dalla modalità di scrittura dell’autrice. Lara Esse nasce infatti su Wattpad e i suoi romanzi sono di fatto feuilleton, storie a puntate. Ciò significa che bisogna entrare subito nel vivo dell’azione, tenere alta l’attenzione dei lettori e saper improvvisare.

Lo stile

Le vicende sono narrate in prima persona da Alice, intervallate da parti in corsivo narrate invece da MrDark. L’autrice rimane fedele al punto di vista scelto, il che facilita l’immersione nella mente della protagonista. Ciononostante, devo segnalare due punti dolenti.

  • L’uso di una prosa inutilmente ricercata in alcuni punti, specie quando si descrivono atti sessuali. Usare tante parole desuete e metafore rende le descrizioni opache e meno immersive, il che viola il principio base di un romanzo: farti vivere l’esperienza come se fossi sul posto. A discolpa di Lara Esse, devo dire che è una tendenza comune nel genere. Presto o tardi approfondirò la cosa.
  • Una punteggiatura spesso incerta. Niente di irreparabile, sia chiaro: basterebbe una revisione un minimo approfondita per risolvere il problema.

Per il resto, c’è qualche spiegone qua e là, ma niente di terribile. In generale, l’unica cosa che mi sento davvero di consigliare all’autrice è di alleggerire la prosa. Basterebbe questo per migliorare nettamente lo stile, dato che i principi base del buon scrivere ci sono già: mostrare le scene invece che riassumerle; evitare di saltellare da un punto di vista all’altro.

Non è banale come sembra.

Come si riconosce un master?

L’intera storia ruota intorno a una domanda: qual è il vero volto di un master, nella vita di tutti i giorni? MrDark è indubbiamente un uomo dominante e anche parecchio sadico, seppure nei limiti di sicurezza e consenso. Eppure, Alice non ha idea di chi sia veramente né di come sia fatto.

Fino al secondo turning point, né il lettore né Alice conoscono la vera identità dell’uomo. L’unica cosa che scopriamo, verso un terzo del libro, è che Alice ha già incrociato MrDark in un contesto informale e che non l’ha riconosciuto come un “vero” master e, anzi, l’ha scambiato per un sottomesso. Questo l’ha – comprensibilmente – mandato in puzza.

È da qui che voglio partire.

Alice ha fatto un errore: dare per scontato che un uomo dominante a letto sia sempre riconoscibile a colpo d’occhio. È davvero così? Chi domina nel privato fa emergere questo tratto anche nella vita di tutti i giorni? Per esperienza, no. Ci sono master che rispecchiano lo stereotipo da libro erotico, ma sono la proverbiale eccezione che conferma la regola.

Ci sono due ragioni, a mio parere.

  1. L’idea platonica del Master BDSM è, appunto, un’idea: nella realtà non esiste. Si parla prima di tutto persone, ciascuna con il proprio carattere specifico, i propri feticismi, le proprie fissazioni. Cercare di farli entrare tutti nello stesso stampino è inutile e stupido. Alcuni sono dominanti a 360°, altri lo sono solo a letto, altri ancora lo sono a letto e in altri ambiti specifici della vita. Non esiste una regola2.
  2. L’istinto dominante non sorge solo in figaccioni alti un metro e novanta, con l’addominale scolpito, che vestono solo Armani e con un attico nel centro di Milano. Lo so, è una grossa delusione.

Un dominante debole non è un dominante

A dispetto di quanto visto sopra, verso un terzo del libro Alice ci dice:

Un dominante non può permettersi di farsi vedere debole, tutto in lui deve manifestare quell’idea di controllo che poi mette in atto. E non mi riferisco all’abbigliamento ma proprio a come si pone. Voce, parole, gesti e sì, anche presenza fisica, devono rispecchiare quello che si vuole trasmettere. (…) Mi dispiace, un dominante deve essere capace di farmi vivere certe sensazioni e con una caricatura di uomo non ci riuscirei.

Ci sono momenti in cui la nostra Alice si fa proprio volere bene, vero? La citazione è decontestualizzata per non fare spoiler, ma il messaggio è forte e chiaro: un dominante debole, magari pure alto un metro e un tappo, non può essere un vero master. Ovviamente la nostra eroina dovrà rivedere certe opinioni, ma non corriamo troppo.

Quella di Alice è un’opinione estrema e poco condivisibile? Poco ma sicuro: come detto sopra, chi gioca da dominante nel BDSM non necessariamente è dominante nella vita o si attiene a certi canoni estetici. All’interno del gioco, il master mantiene il controllo della situazione ed è auspicabile che trasmetta anche una certa sicurezza. Non si può pretendere che sia così anche una volta messi via i frustini.

Il BDSM è fatto di persone e, psicopatici a parte, le persone hanno momenti di debolezza e incertezze. È questo che Alice non capisce, in un primo momento: le persone sono puzzle e il “master” è solo uno dei tanti pezzi. MrDark è sì cattivissimo e sexyssimo quando Giocano, ma ha anche lui diritto ad avere dei punti deboli.

Vuoi un altro esempio di master sadico nel gioco quanto tenero nella vita? Leggi il mio articolo su “Nana to Kaoru”.

Sotto i quaranta non puoi essere un master

Lo stereotipo del masterone maschione figaccione è un problema sotto tanti punti di vista. Punto uno: se sei alto un metro e sessanta, puoi considerarti un vero master? Punto due: se un completo Armani costa quanto un tuo stipendio, puoi considerarti un vero master? Punto tre: se sei disoccupato e hai paura per il futuro, puoi considerarti un vero master?

Ma soprattutto: se hai vent’anni e qualcosa, puoi considerarti un vero master? E qui iniziano i problemi.

I papabili MrDark sono persone adulte, quindi il libro non tocca la questione dell’età. Nella vita di tutti i giorni è invece un problema non da poco. Ho sentito diversi ragazzi che giocano da dom lamentarsi di essere presi poco sul serio, in quanto troppo giovani: se non hai quarant’anni di età e cinquant’anni di esperienza nel BDSM, non puoi essere un vero master.

Il che è una stronzata, mi pare ovvio.

Torniamo al libro e vediamo quali sono gli elementi che rendono MrDark un vero master:

  • ha “intenzioni serie” con Alice, con la quale instaura un rapporto continuato di dominazione e sottomissione;
  • mantiene sempre un ottimo controllo della situazione, anche in momenti critici;
  • mostra un’ottima capacità di rimanere nel personaggio durante le sessioni, stuzzicando la fantasia di Alice;
  • ha competenze tecniche in ambito BDSM, che gli consentono di andare oltre le solite pacchette sul culo che vediamo nei libri erotici.

L’età di MrDark è ininfluente e, per quanto ne sappiamo all’inizio, potrebbe anche essere fatto così: vent’anni e qualcosa, tono perennemente pacato, fisico esile, faccino pulito da bravo ragazzo3.

Come in altri ambiti della vita, si dà per scontato che una persona “grande” sia anche “esperta”. Non è vero. L’effettiva bravura di un master dipende non solo dagli anni di pratica, ma anche dall’impegno e dallo studio. So di ammazzare un po’ la poesia, però certe pratiche BDSM richiedono di tornare sui libri; il kinbaku è uno degli esempi più eclatanti, ma di sicuro non l’unico.

Si può praticare per vent’anni alla carlona, senza preoccuparsi di imparare come far godere – e soffrire – un sottomesso. Si può praticare per un paio, passando ore e ore sui libri a imparare le tecniche più sadiche.

Dipende dalla persona, non dall’età.

Una vera slave è senza limiti?

Dopo aver smontato lo stereotipo del vero masterone che non deve chiedere mai, alto due metri e con un arnese di trenta centimetri, una piccola nota anche sulla “vera” slave.

All’inizio della storia, Alice si rifiuta di stabilire hard limit e soft limit, ovvero pratiche che non vuol nemmeno sentire nominare e pratiche che preferisce non fare. A suo dire, le basta la consapevolezza che MrDark si fermerà al primo accenno di safeword. Questa scelta ha un senso in funzione del finale della storia, ma in una vera relazione BDSM potrebbe essere problematica.

La completa assenza di limiti non solo non è vista come qualcosa di buono4, ma può essere considerata una “red flag”. In parole povere, un campanello d’allarme che potrebbe spingere la figura dominante a non giocare con quella persona.

Non esiste nessuno senza limiti. Anche i sottomessi più masochisti hanno qualcosa che fa loro paura o che non piace. Se quindi qualcuno si rifiuta di comunicare i propri limiti, sta:

  • mentendo per fare bella figura;
  • prendendo la cosa alla leggera, magari a causa dell’inesperienza.

Nessuna delle due cose è auspicabile e questo emerge molto bene nel libro. Alice inizia non ponendosi dei limiti (a parole), tanto è desiderosa di provare tutto del BDSM. Questo costringe MrDark a mettere dei paletti al posto suo, però.

Voglio farle provare nuove sensazioni, nuove situazioni, anche se ammetto il suo non mettere limiti è un limite grande. Vorrei spingerla oltre la soglia, ma lei si ostina a non volerla tracciare. È pronta a tutto con me, ma io non sono pronto a tutto solo per darle una lezione.

Una persona responsabile vuole sapere fin dove si può spingere, almeno a grandi linee. Altrimenti, è costretta a giocare con i piedi di piombo o a non farlo affatto.

Il finale di “Nel buio ti vedo”

Chiudo l’articolo con uno spoiler, come spero sia chiaro dal titolo. Se non hai letto il libro, ci salutiamo qui: spero tornerai per leggere le mie opinioni sul finale.

Fino al secondo turning point, verso i tre quarti del libro, ci sono due MrDark papabili: Mattia e Valerio. Queste sono le loro descrizioni.

Mattia:

Non è neanche brutto, certo, i biondi non sono mai stati il mio stereotipo, ma il suo visino pulito riesce a dare un senso anche a quelli.

Valerio:

Qui, davanti a queste due figure rigide in una perfetta e impeccabile uniforme di servizio mi sento un piccolo moscerino. […] Mi sforzo di guardare le due montagne di carne per presentarmi…

Il primo è detto l’infermierino ed è un collega di Alice, dall’aspetto tutto sommato innocuo. Ciononostante, nel corso del libro fa delle affermazioni che lasciano intravedere un lato oscuro. Valerio, invece, è un militare che frequenta il centro in cui lavora Alice e con il quale lei collabora. Nonostante abbia il “physique du rôle” da master, si mostra sempre tranquillo e pacato.

Considerato il tema alla base del romanzo e quello che sappiamo del primo incontro tra MrDark e Alice, Mattia sarebbe stato la scelta migliore. Il ragazzo non ha per nulla l’aria del sadico e vede abitualmente Alice, anche se i due non si frequentano fuori dall’orario di lavoro. Inoltre è quanto di più diverso ci possa essere da Alex, l’amico di MrDark che Alice incontra a metà libro e che, nella sua immaginazione, dovrebbe assomigliare al suo master misterioso.

Neanche a dirlo, il vero MrDark è Valerio. Secondo me, l’autrice l’ha scelto solo perché Mattia iniziava ad essere una scelta troppo ovvia.

Per come viene descritto Valerio, nessuno darebbe per scontato che sia un sub come ha fatto invece Alice. Esistono tantissimi sub alti e fisicati; quando però vedi una montagna d’uomo a un munch, anche se vestito alla cazzo di cane, dai quasi sempre per scontato che giochi da dom. Mattia, con il suo faccino pulito da bravo ragazzo, avrebbe potuto ingannare Alice molto più facilmente.

Da un certo punto di vista sono anche contenta, ti dico la verità: in un certi punti, Mattia è così insistente da sfiorare l’abusivo. A mio parere, però, sarebbe stato meglio se Valerio avesse avuto un aspetto meno imponente e un po’ più ambiguo.

In compenso, il finale risolve la questione della mancanza di limiti di Alice. Il libro si chiude con Valerio che regala un collare ad Alice dopo – finalmente! – la prima vera negoziazione che si vede nel libro. Con questi due gesti i due formalizzano l’intenzione di portare avanti un percorso insieme, come un vero master e una vera slave.

Direi che è una buona chiusura.


1 Come avevo fatto nella prima stesura dell’articolo.

2 Cosa sulla quale molti non concordano, ci tengo a precisarlo. Secondo alcuni, il vero rapporto Master-Slave non è semplicemente un rapporto stabile di dominazione e sottomissione, ma soprattutto un rapporto 24/7 che permea tutti gli aspetti della vita. Io ho già preso una laurea in “Litigare sul Sesso degli Angeli”, AKA Filosofia, quindi non ho intenzione di litigare anche su questa cosa. Pensate quel che vi pare.

3 Descrizione fatta pensando ad almeno un paio di dom sadicissimi realmente esistenti.

4 Da un master serio, si intende.

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Fable di Honor Pitt: rimandata a settembre ma non (ancora) bocciata https://www.cleisende.it/fable-honor-pitt/ Mon, 12 Oct 2020 16:07:59 +0000 https://www.cleisende.it/?p=735 Via il dente, via il dolore: per molti versi, i primi due libri della saga “Fable” di Honor Pitt sono un disastro. Non è però...

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Via il dente, via il dolore: per molti versi, i primi due libri della saga “Fable” di Honor Pitt sono un disastro. Non è però mia abitudine parlare (solo) male dei libri di esordienti e piccoli autori. Se un libro è illeggibile, preferisco non parlarne e basta. Specie perché è poco probabile che lo finisca.

Cappuccetto Rosso e la profezia” e “L’invariabilità della virtù” sono scritti male, a tratti parecchio male. Ciononostante, vi ho trovato qualcosa di buono che vale la pena coltivare.

Le trame

I due libri sono ambientati in un mondo simile a quello del fumetto “Fables” di Bill Willingham, nel quale esseri umani e creature magiche convivono. I personaggi sono tutti personaggi di fiabe tradizionali, rielaborati in chiave adulta e affinché possano convivere nello stesso mondo.

“Cappuccetto Rosso e la profezia”

Celeste è l’ultima dei cinque figli di Gretel, una vecchia prostituta che vive in un paesino vicino alla foresta magica di Perceforest. Le tre figlie maggiori – Bianca, Spina e Rossa – lavorano insieme a lei nell’attività di famiglia. La piccola Celeste si limita invece a fare le pulizie, costretta a salvaguardare la propria verginità a causa di una profezia.

Quando Rossa sparisce, Celeste decide di attraversare la foresta per chiedere consiglio alla strega che vi vive. Il percorso si rivela però più impervio del previsto, costellato di incontri pericolosi per la sua vita e non solo… Riuscirà la ragazza a mantenersi integra e a trovare la sorella, ovunque la porti questo strano viaggio?

“L’invariabilità della virtù”

Bianca è una prostituta esperta, bella quanto cinica. Per lei l’unica cosa che conta davvero è la famiglia, per proteggere la quale sarebbe disposta perfino a rischiare la vita. Per fortuna, la regina le chiede di fare molto meno: basterà che seduca il suo primogenito, Damian, che si rifiuta di tornare a corte e di assumersi le proprie responsabilità.

Cosa si nasconde dietro al voto di castità del principe e al rifiuto di prendersi il trono? Non gli piacciono le donne? È asessuale? È impotente? Toccherà a Bianca scoprirlo, anche a costo di infilarsi in affari molto più grandi di lei e dei gusti sessuali di Damian.

Leggi anche: “Il fuorigioco spiegato alle ragazze”: amore, calcio e femminismo”

Il tasto dolente: lo stile

I due libri sono scritti male, ma c’è spazio di manovra. Vediamo quali sono i problemi.

  1. La punteggiatura. La mia punteggiatura non è impeccabile, la punteggiatura di buona parte di ciò che leggo non è impeccabile, nemmeno la punteggiatura di gente che fa il mio stesso lavoro è impeccabile. La punteggiatura di Honor Pitt è a tratti oscena: non usa né due punti né punti e virgola, sostituendoli con piogge di virgole. In alcuni punti, si fa fatica a seguire il periodo.
    La cosa buona? Basta pochissimo per correggere la punteggiatura: un bel ripassino delle regole e passa la paura.
  2. Il punto di vista, saltellante come nella migliore tradizione degli esordienti: prima Celeste, poi Lupo, poi di nuovo Celeste. Tutto nella stessa scena. Prima che qualcuno mi venga a parlare di “stile personale”, faccio presente che è molto difficile seguire e immergersi in una storia raccontata così. Quanto meno, Celeste e Bianca rimangono il punto di vista principale per buona parte dei due libri.
  3. Gli spiegoni, ovvero comodi (e pallosi) riassunti di vicende politiche e personali. A onor del vero, ce ne sono meno che in alcuni libri pubblicati da grandi editori.

Come potrai notare, sono tutti e tre problemi abbastanza facili da risolvere. Al contrario di altri, Honor Pitt pare aver capito che lo “show don’t tell” non è qualcosa che si mangia: usa un linguaggio chiaro, senza uscite auliche imbarazzanti; immerge il lettore nella mente del punto di vista di turno; costruisce scene quasi sempre coinvolgenti, anche se non sempre chiarissime.

Diciamo che ci sono le basi per costruire uno stile godibile e chiaro, con un minimo di impegno.

Dimenticavo: un bel taglio agli avverbi non sarebbe male.

Una buona gestione della tensione

Nessuno dei due libri ha una storia che fa urlare al miracolo, eppure sono coinvolgenti. L’autrice spinge fin da subito ad empatizzare con le protagoniste, anche se non sono mostri di simpatia. Si percepisce anche lo sforzo di creare personaggi secondari che siano un minimo tridimensionali. I cattivi sono un po’ carenti, invece.

Il grande pregio di entrambi i libri è la gestione della tensione. Siamo ben lontani da una divisione in tre atti perfetta, ma Honor Pitt riesce comunque a non annoiare il lettore. Fino alla fine, ci sono solo risoluzioni parziali, che spingono a continuare la lettura.

Può sembrare banale, ma ci sono moltissimi autori che risolvono tutto il risolvibile a metà libro, inventandosi problemi nuovi per invogliare il lettore ad andare avanti. Mi spiace, ma non funziona così.

Un grosso problema nelle storie di questi due libri sono le risoluzioni forse troppo semplicistiche. Soprattutto nel primo libro, ci sono un po’ troppi deus ex machina che rovinano la tensione. Nel secondo, il problema è un po’ meno marcato.

Leggi anche: Chi ha paura della sessualità bizzarra di Mellick?

Li consiglio?

Se non hai paura della punteggiatura oscena, sì: costano un euro a testa e sono disponibili anche con Unlimited. Mi auguro con forza che, presto o tardi, l’autore faccia una bella revisione. O quanto meno che i prossimi libri siano scritti meglio.

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Kissing the Coronavirus. Sexy! Muscoloso! Virale! https://www.cleisende.it/kissing-coronavirus-recensione/ Tue, 06 Oct 2020 07:03:15 +0000 https://www.cleisende.it/?p=728 In queste ultime ore, internet ci ha regalato qualcosa di meraviglioso: “Kissing the Coronavirus”, un racconto di M. J. Edwards su una ricercatrice che si...

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In queste ultime ore, internet ci ha regalato qualcosa di meraviglioso: “Kissing the Coronavirus”, un racconto di M. J. Edwards su una ricercatrice che si innamora del Covid-19. Sì, il virus. E sì, si innamora nel senso letterale del termine.

Come potevo non leggere e commentare una tale perla dell’erotismo?

La trama

Alexa è una ricercatrice chiusa nel proprio laboratorio da mesi, in cerca di una cura per il Covid-19. All’inizio della pandemia, insieme a lei c’erano altri tre uomini; adesso nel laboratorio sono rimasti solo lei e il Dottor Gurtlychund, un ometto gentile ma privo di fascino. Gli altri si sono ammalati di Covid e sono morti.

Sorvoliamo sul tasso assurdamente alto di mortalità nel laboratorio – il 100%! – e arriviamo al terzo ospite superstite: il virus.

La nostra sexy dottoressa, rimasta sola troppo a lungo, inizia a sviluppare un desiderio perverso verso il virus che maneggia tutti i giorni. Finché un giorno non capita qualcosa di imprevisto e, finalmente, ha l’occasione di coronare il suo sogno d’amore…

Leggi anche: Chi ha paura della sessualità bizzarra di Mellick?

Lo stile

"Kissing the Coronavirus" di M. J. EdwardsM. J. Edwards ci tiene a precisare che “Kissing the Coronavirus” è il suo primo libro. Parlare di libro secondo me è un po’ troppo, considerando che sono solo 16 pagine. Detto questo, come primo tentativo di scrittura non è malvagissimo.

Più o meno a metà racconto c’è lo spiegone nel quale scopriamo che fine hanno fatto gli altri scienziati, palloso come tutti gli spiegoni. Per il resto, l’autore mantiene uno stile semplice e abbastanza nitido, con una narrazione ben immersa nel punto di vista di Alexa. L’unico “problema”? Le metafore e le similitudini assurde.

Il racconto è disseminato di descrizioni eccessive che sembrano essere uscite da un porno becero, alcune delle quali così trash da fare il giro e diventare meravigliose. Scommetterei la mano destra che l’effetto è voluto: in alcuni casi, sono troppo stupide per essere serie.

Spero.

Lo consiglio?

Se vuoi farti due risate, indubbiamente: è un racconto troppo stupido per non leggerlo, che prende per i fondelli il filone statunitense dei libri erotici a tema coronavirus. Per di più, costa meno di un euro ed è disponibile anche su Unlimited. Se vuoi dare una mano all’autore, rimasto senza lavoro durante il lockdown, ti consiglio però di comprarlo: con Unlimited si guadagnano giusto due dita negli occhi.

Unica cosa, compralo solo se sei pronto a prenderlo molto poco sul serio. Ho letto recensioni di gente quasi offesa da quest’opera, considerata irrispettosa verso chi è morto per il Covid-19. Francamente, a me sembra solo un modo per alleggerire una situazione fin troppo pesante.


A proposito di racconti erotici strani che costano un euro. Se ti piace il genere, ti consiglio di leggere anche il mio “La Tentazione”, un horror erotico molto liberamente ispirato a “Il Dito” di King.

Leggi anche: “La Tentazione”, il mio horror erotico

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Chi ha paura della sessualità bizzarra di Mellick? https://www.cleisende.it/sessualita-bizzarra-mellick/ Mon, 14 Sep 2020 08:00:00 +0000 https://www.cleisende.it/?p=711 Se cerchi storie disturbanti, fatte di sessualità bizzarra e situazioni assurde, Carlton Mellick III è lo scrittore che fa per te. Attenzione, però: è roba...

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Se cerchi storie disturbanti, fatte di sessualità bizzarra e situazioni assurde, Carlton Mellick III è lo scrittore che fa per te. Attenzione, però: è roba per stomaci forti.

Carlton Mellick III è l’uomo che amo di più al mondo, letterariamente parlando. Forse sono i suoi basettoni e la pelata sexy. Molto più probabilmente, sono le sue storie sempre in bilico tra l’erotico e l’orrido, che riescono a farti vedere gli aspetti più raccapriccianti del rapporto di coppia e della società.

Prima di cominciare questa discesa negli inferi sensoriali di Mellick, un grazie speciale a Tapiro che anni fa me lo fece scoprire. Un grazie e una maledizione, dato che era il mio spacciatore di libri strani ed è fermo da ormai quattro anni e passa.

Premessa necessaria: cos’è la bizarro fiction

Carlton Mellick III, padre della Bizarro FictionPremessa necessaria se non hai mai letto nulla a riguardo, ovviamente. La bizarro fiction è un genere incentrato sullo strano, il bizzarro appunto. L’idea alla base è che ciascuna opera debba contenere almeno tre elementi assurdi, a partire dai quali si sviluppa una storia coerente.

Tutto molto bello, ma cosa c’entra il sesso?

L’obiettivo non è solo creare una grossa pila di bizzarrie (o, quanto meno, non dovrebbe esserlo). Un libro di bizarro mira soprattutto a stupire il lettore, divertendolo e anche disgustandolo. Qualche volta, può anche spingerlo a riflettere su aspetti della realtà in cui vive e della propria persona, anche se non è l’obiettivo primario1.

Quale modo migliore per farlo, se non toccando argomenti disturbanti e considerati tabù?

E dove si concentrano gran parte dei tabù e delle nevrosi?

Nel sesso, of course.

Ecco quindi che i libri di bizarro fiction sono quasi sempre pieni di riferimenti più o meno espliciti al sesso e alle funzioni corporali di base.

Il sesso bizzarro è la cosa meno erotica che ci sia

Nel piccolo saggio che chiude le opere di Mellick tradotte da Vaporteppa, Chiara Gamberetta fa notare che c’è ben poco di erotico nel sesso descritto dall’autore.

Le descrizioni entrano fin nei più piccoli dettagli, andando ben oltre la descrizione visiva di ciò che accade. Mellick si sofferma sugli odori, i sapori, le sensazioni tattili dei protagonisti, dandoti l’impressione di star vivendo l’esperienza in prima persona. Tutto questo sarebbe molto eccitante, se il sesso presentato da Mellick non fosse quasi sempre ai limiti del disgustoso per tre ragioni.

  1. I protagonisti di Mellick sono una grande collezione di fetish estremi. No, quando dico estremi non intendo estremi in senso SSC. Intendo estremi nel senso di patologici. L’esempio più assurdo arriva da “Exercise Bike”, nel quale vediamo persone che si fanno operare per diventare oggetti d’arredamento. Oggettificazione nel senso più letterale del termine, insomma.
  2. Il sesso ha sempre conseguenze impreviste, quando non proprio disastrose per il protagonista e la società. Basti vedere il già citato “Parasite Milk” o “La Marcia Carnale”, di cui potrei parlare in futuro e che trovo una delle opere più belle di Mellick.
  3. In tanti casi, i protagonisti non sono del tutto consenzienti. Proprio come il protagonista di “Parasite Milk”, spesso e volentieri gli uomini di Mellick vengono trascinati nel rapporto sessuale, con buona pace dello stereotipo dell’uomo che non deve chiedere mai.

Salvo qualche eccezione, questi tre elementi rendono il sesso dei libri di Mellick quasi fastidioso da leggere. Sentiamo sì gli odori e le sensazioni del protagonista, ma anche il suo ribrezzo e il senso di colpa e la paura.

Mondi di uomini deboli e donne sadiche

Copertina di La Marcia CarnaleUno degli aspetti più sconvolgenti del sesso in Mellick è proprio la quasi totale assenza di consenso da parte degli uomini. Purtroppo, i rapporti sessuali forzati con donne “indecise” sono fin troppo comuni, specie in un certo tipo di letteratura romantica. Siamo invece poco abituati a leggere di uomini in situazioni simili, specie in storie tutto sommato serie.

I protagonisti di Mellick sono spesso e volentieri uomini deboli, incapaci di prendere in mano la propria vita. Quando non lo sono fin dall’inizio, vengono ridotti all’impotenza da questo o quell’evento inaspettato. Non è sempre così, ma è abbastanza frequente.

Basti pensare a Steve de “La Vagina Infestata”, un musicista fallito che si fa bullizzare da un senzatetto. Nella primissima scena del libro, lo vediamo mentre viene scopato dalla fidanzata, impietrito dalla paura per via della vagina infestata di lei.

Dopo la discussione fece l’amore con me. Per lei, fu il sesso più selvaggio che avesse mai sperimentato. Mi aveva inchiodato sotto di sé, mi succhiava il labbro inferiore screpolato, e fece scivolare il mio pene dentro le sue parti intime infestate, godendo dell’espressione terrorizzata sul mio volto. Io non mi ero mai sentito così a disagio in vita mia facendo sesso. Giuro che quella notte sentii strane cose agitarsi dentro di lei. Sentivo i respiri dei fantasmi sulla punta del cazzo.

Ho qualche serio dubbio che il rapporto sia definibile consensuale.

Di contro, le storie di Mellick sono piene di donne forti, quando non proprio sadiche. Gli antagonisti sono quasi sempre di sesso femminile, donne bellissime e pericolose che faranno il culo tarallo al protagonista. Anche quando non sono il cattivo della situazione, lo mettono comunque in soggezione e lo riducono in una condizione di inferiorità.

Intendiamoci: non ne esce una visione della donna negativa. Al più, ho la sensazione che a volte la visione dell’umanità in toto sia negativa o quanto meno ambigua.

Possiamo parlare di FemDom?

Non ci allarghiamo. Non so se Mellick faccia parte del giro (e non mi interessa), ma sono abbastanza sicura che la disparità uomo-donna delle sue storie abbia motivazioni squisitamente narrative.

Il ragazzo sfigatello che si fa mettere i piedi in testa da tutti, donne e uomini, è il suo protagonista tipo. La donna spregiudicata e pericolosa, bellissima e sexy, che distribuisce calci in culo come caramelle ad Halloween è anch’essa un personaggio tipo. Come tutti gli autori prolifici, Mellick tende infatti a usare più volte le figure con le quali si trova bene. Niente di strano, sotto questo fronte.

Secondo me, questa fissazione per le donne forti e un po’ sadiche è anche figlia del desiderio di turbare gli animi. Nell’immaginario comune, la violenza è una caratteristica tutta maschile. Vedere una donna brutale ci turba, ci fa paura.

Ci eccita?

Ecco quindi che i racconti di Mellick si riempiono di donne in grado di metterti sotto, a letto e non solo. Donne strane, bizzarre, proprio come le storie nelle quali si muovono.


1 I libri di bizarro fiction sono fatti prima per divertire e poi, forse, per far riflettere, specie i migliori. Chi cerca di capovolgere i due punti di solito non ottiene né l’una né l’altra cosa.

Una storia concepita per coinvolgere il lettore e basata sul concetto di “scrivi ciò che conosci” trasmetterà anche la visione del mondo dell’autore, che questo lo voglia o no. Una storia che pretende di fare la morale senza curarsi di essere coinvolgente, invece, sarà quasi sempre noiosa e quindi fallirà nel trasmettere qualsiasi messaggio.

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“Come petali di ciliegio”: habemus dominante non abusivo! https://www.cleisende.it/come-petali-ciliegio-recensione/ Wed, 08 Jul 2020 20:21:40 +0000 https://www.cleisende.it/?p=703 “Come petali di ciliegio” di Mia Another è un romanzo piacevole ma abbastanza prevedibile. Perché ne parlo, quindi? Perché riesce là dove i più falliscono:...

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“Come petali di ciliegio” di Mia Another è un romanzo piacevole ma abbastanza prevedibile. Perché ne parlo, quindi? Perché riesce là dove i più falliscono: rappresentare un rapporto BDSM sano.

Come avrai capito leggendo la mia recensione di “365 Days”, non amo come si rappresenta il BDSM di solito. Il dominante da romanzo erotico medio è quasi sempre un imprenditore di successo e, in teoria, una persona intelligente. Nonostante questo, fa fatica a comprendere concetti elementari come “consenso” o “no”, che pure dovrebbero essere l’ABC del sadomaso.

Insomma, la letteratura erotica BDSM è piena di cloni di Christian Gray, belli e ricchi come lui, abusivi ed ossessivi come lui (se non peggio di lui). Diciamo che c’è poco di cui stare allegri.

Le eccezioni si contano sulle dita di una mano monca e “Come petali di ciliegio” è una di queste.

La trama

L’irlandese Isabel Devlin si è trasferita a Tokyo per rincorrere un sogno: imparare a disegnare dai grandi maestri e diventare una fumettista. Eppure, qualche volta sente di non riuscire a sopportare la nostalgia di casa che l’attanaglia, qualche volta sogna di mollare tutto e tornare a casa. Meno male che c’è Tyler a darle conforto.

Tyler è americano e si è trasferito a Tokyo da ormai sei anni, per studiare medicina alla Todai insieme al suo migliore amico Ryuu. Quest’ultimo è per metà giapponese ed è il ritratto dello studente perfetto, forse perfino dell’uomo perfetto: bello, intelligente, coscienzioso, quasi ossessivo nello studio. Ha solo uno scheletro nell’armadio: pratica il kinbaku, l’arte giapponese del bondage con le corde.

Sulle prime, Isabel e Ryuu si sopportano a malapena e solo per amore di Tyler. Pian piano, però, cominciano a intravvedere nuovi aspetti l’uno dell’altro. Quando Isabel scopre il segreto di Ryuu e gli chiede di legarla per capire cosa si prova, i due stringono un nuovo tipo di rapporto: quello tra rigger e bunny.

Un rapporto che si potrebbe rivelare troppo intimo…

Una storia semplice con personaggi semplici

Mia Another ci racconta il più classico dei triangoli: lui, lei e il migliore amico di lui. Niente che non si sia già visto in tutte le salse immaginabili. La storia è quindi prevedibile, con tanto di finale dolce-amaro chiamatissimo. Eppure, devo dire che non mi è dispiaciuta (anche perché non ne starei parlando, altrimenti).

  1. I personaggi sono ben tratteggiati e coerenti, anche se un po’ stereotipati. Isabel è la ragazza forte e sensibile che farebbe di tutto per realizzare i propri sogni. Tyler è quello che fa sempre il cazzone, nascondendo le proprie insicurezze. Ryuu è il ragazzo giapponese che pensa solo allo studio ed è sempre silenzioso. La cosa buona è che nessuno di essi reagisce in modo stupido solo per amore del colpo di scena, espediente che si vede fin troppo spesso.
  2. Dato che i protagonisti sono persone normali, non c’è il classico colpo di fulmine con i due che si innamorano al primo sguardo non si sa perché. Nonostante ci sia un’attrazione fisica immediata, il sentimento matura nel corso della storia. Verso la fine l’autrice la mena un po’ con il destino, ma io l’ho letta più come un’interpretazione degli eventi fatta dai personaggi1 che come un effettivo espediente narrativo. Di fatto, questo “destino” non fa un ben niente.
  3. Nella sua semplicità, la storia è costruita bene: tornando indietro, ho individuato una struttura in tre atti abbastanza precisa. Forse il terzo atto comincia un po’ troppo tardi, verso l’80% del libro. Ad ogni modo, “Come petali di ciliegio” è costruito di gran lunga meglio di “Yes, my lady”, un’opera precedente della stessa autrice.
  4. Lo stile di scrittura è immersivo e scorrevole, altra cosa che non si vede spesso nei libri italiani. L’autrice ci risparmia spiegoni e descrizioni auliche. Ringrazio con tutto il cuore.
  5. C’è un dominante credibile, finalmente.

Ryuu è un dominante poco dominante?

Ho letto solo di un’altra storia italiana con un dominante che non mi fa venire voglia di chiamare la polizia, ovvero “Il fuorigioco spiegato alle ragazze” di Miss Black. Per certi versi, Ryuu e Byron si assomigliano: sono entrambi tanto dominanti a letto quanto sensibili nella vita di tutti i giorni; nessuno dei due si fa influenzare dal machismo tossico che permea alcuni aspetti della nostra società, letteratura erotica compresa.

Leggendo i commenti al libro lasciati su Amazon, ne ho trovato uno che contesta proprio questo aspetto. Secondo chi ha lasciato il commento, Ryuu è un personaggio troppo femmineo e poco dominante. Con tutto il rispetto per il commentatore, è evidente che non ha idea di come funzioni il BDSM.

Quello vero, intendo, non la violenza domestica che spacciano per BDSM in certi libri.

Una persona dominante a letto, perfino sadica, non dev’essere per forza dominante anche fuori. I dominanti che puoi incontrare a un munch sono persone normali, non pazzi che ti fanno seguire o che ti molestano sessualmente appena ne hanno l’occasione. Provano invidia, gelosia, amore, come tutte le persone. Qualche volta possono perfino essere vulnerabili, come mi piace mostrare in “Femdom Power” e in “Incontriamoci a San Valentino”.

Per tornare a “Come petali di ciliegio”, posso quindi affermare con sicurezza che Ryuu è un dominante credibile. Tra l’altro, ha anche quella tendenza al pensiero ossessivo propria di un po’ tutti i rigger.

Sarà davvero kinbaku?

Ed ecco che arriva un po’ il punto dolente: Mia Another rappresenta il bondage giapponese in modo credibile?

Ni. In certi punti, le sensazioni descritte mi hanno ricordato davvero quelle provate durante le (poche) legature subite. Ci sono però dei particolari che farebbero saltare sulla sedia qualsiasi cultore della materia. O, quanto meno, quelli che ho avuto modo di conoscere.

Premetto che sono tutte precisazioni abbastanza futili ai fini della storia.

  1. Il materiale delle corde. Nel bondage giapponese tradizionale si usano solo canapa e iuta, qualche volta il lino. Le corde in iuta sono le più pregiate e delicate sulla pelle. Eppure, a un certo punto Ryuu le esclude perché “rischierei di farle del male o di lasciarle dei segni troppo evidenti”. Nope: se vuoi una corda delicata sulla pelle, la iuta è precisamente quello che ti serve.
  2. La simmetria. Ryuu torna spesso sul concetto di simmetria, che però è proprio del rope bondage occidentale. Nel bondage giapponese studiato da Ryuu, la mancanza di simmetria è un valore aggiunto.
  3. Il dolore durante la sospensione. Il kinbaku può essere molto doloroso e violento, a seconda di chi lo pratica. Non deve esserlo per forza e dubito che un rigger esperto come Ryuu, tra l’altro molto poco sadico, non sarebbe in grado di sospendere una persona senza farle male.

La cosa buona è che l’autrice si preoccupa di precisare che il kinbaku può essere pericoloso, se lo si pratica senza le giuste competenze. Questa nota da sola compensa tutte le imprecisioni di cui sopra.

Per chiudere, consiglio “Come petali di ciliegio” a chiunque cerchi una lettura semplice e romantica, incentrata sulla dominazione sessuale ma priva di derive abusive.


1 Di tanto in tanto anche io mi lascio andare a discorsi su come il “destino” mi abbia fatto incontrare Mela. Credo che sia davvero così? No: sono solo attacchi di melensaggine.

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“Il fuorigioco spiegato alle ragazze”: amore, calcio e femminismo https://www.cleisende.it/fuorigioco-spiegato-alle-ragazze-recensione/ Tue, 16 Jun 2020 18:05:05 +0000 https://www.cleisende.it/?p=688 Non sono una fan di Miss Black, tanto per mettere le cose in chiaro. Ne seguo la produzione più per interesse professionale che per amore...

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Non sono una fan di Miss Black, tanto per mettere le cose in chiaro. Ne seguo la produzione più per interesse professionale che per amore delle sue storie che, a dirla tutta, non mi fanno impazzire. Nonostante questo, “Il fuorigioco spiegato alle ragazze” è stato una gradevolissima sorpresa, un’opera deliziosa che consiglio di leggere.

La trama

Lenny Pirie è una giornalista impegnata, colta e intelligente, carina ma non bellissima. Byron Kelsey è la punta di diamante del Chelsea, ignorante come una capra ma bello come un dio. Due individui lontani anni luce, almeno in apparenza. Li lega solo un libro, ovvero quello che sta scrivendo Lenny.

La nuova opera della giornalista parlerà delle icone inglesi contemporanee, una delle quali sarà Byron. Il campione dovrebbe rappresentare la perfezione fisica, l’agonismo, il culto del bello fine a se stesso. Lenny non si aspetta di trovare molto altro in Byron, quando inizia il ciclo di interviste per il libro.

Ovviamente, si sbaglia di grosso.

Molto meno ovviamente, il rapporto tra i due prende una piega inaspettata.

Un pizzico di umorismo non guasta mai

“Il fuorigioco spiegato alle ragazze” mi ha fatto ridere, il che non mi capita con molti libri erotici. Non nel senso buono del termine, quanto meno.

I dialoghi sono veloci e brillanti, ben caratterizzati. Ciascun personaggio ha infatti una voce unica, riconoscibile fin dalle prime battute. Lenny ha un linguaggio forbito, che usa per esprimere concetti lunghi e articolati. Byron è meno logorroico e ha un vocabolario più semplice, a volte troppo semplice per le riflessioni che vorrebbe condividere con Lenny1.

L’umorismo è naturale, mai sopra le righe. Miss Black non si lascia tentare dalle scene surreali alla “Vacanze di Natale”, che dovrebbero far ridere e invece lasciano perplessi. Le risate scaturiscono tutte dagli scambi di battute tra i due protagonisti, dagli scontri tra i due punti di vista, dalle riflessioni taglienti di Lenny. Insomma, è un umorismo intelligente.

BDSM vero. Finalmente

Io ho un problema con la massa dei libri erotici BDSM contemporanei: è piena di bietole e di “masteroni maschioni”, per usare le parole di un vecchio conoscente.

I protagonisti maschili sono tutti belli da paura, dannati, con un marcato istinto da dominatore che non deve chiedere mai. Le protagoniste femminili si vedono tutte più brutte di quello che sono e, nonostante l’apparenza forte, sognano un uomo che le protegga. Quando incontrano il protagonista, fanno qualche debole tentativo per difendere il proprio onore e alla fine capitolano, lasciandosi domare. Neanche a dirlo, si sottomettono solo per fare piacere a lui: argh.

Queste storie mi fanno venire l’orticaria, il che non stupirà nessuno: ci sarà un motivo, se ho scritto una raccolta di racconti BDSM che si chiama “Femdom Power”, no?

“Il fuorigioco spiegato alle ragazze” riprende il classico rapporto “uomo dominante-donna sottomessa”, è vero, ma con una piccola differenza: Lenny è tutto tranne che una bietola che subisce le turpi voglie del maschione. Al contrario, sa più che bene cosa le piace e non ha paura di chiederlo. Anche quando si parla di sculacciate e affini.

Evviva, finalmente una sottomessa che non sembra impagliata. Soprattutto, finalmente una sottomessa a cui piace genuinamente prenderle e un rapporto BDSM sano, nel quale si divertono tutti.

Ci voleva tanto?

Perché l’ho trovata un’opera femminista

Capiamoci: io non ho niente contro le storie di bietole e masteroni maschioni. Non mi piacciono, ma non considero stupidi né quelli che le leggono né quelli che le scrivono2. A te piacciono? Perfetto, ma concorderai con me che non sono femministe. Neanche per sbaglio.

Nelle storie classiche, l’uomo finisce quasi sempre per salvare il culo e prendersi cura di lei. Senza contare della passività con cui queste donne vivono la sessualità, sempre alla ricerca di una scusa per scopare. Comprendo le ragioni per cui questi pattern funzionano, ma non significa che mi debbano piacere.

Il fuorigioco spiegato alle ragazze” sovverte il pattern con una protagonista indipendente, che ama il sesso, intellettualmente superiore alla controparte maschile. In più, ci fa vedere un uomo sì bello e dominante a letto, ma il cui carattere non sfocia nel machismo tossico. Al contrario, Byron è una persona sensibile e con le proprie fragilità, che non ha paura di palesare i propri sentimenti e di mostrarsi “debole”.

La denuncia al culto ossessivo della bellezza

Ciliegina sulla torta, Miss Black denuncia l’attenzione ossessiva per il corpo e la cattiveria con cui spesso noi donne trattiamo altre donne.

Per quanto intelligente e colta, Lenny si trascina dietro una serie di insicurezze tutte femminili sull’aspetto fisico. Al contrario di altre protagoniste femminili, infatti, lei non è una bellissima che si vede bruttina: è una donna carina e nella media.

A un certo punto della storia, Lenny deve affrontare delle cattiverie sul proprio aspetto francamente gratuite, molte delle quali si intuisce provengano da donne. Ne emerge una denuncia al culto di una bellezza spesso impossibile da raggiungere, presentata però come se dovesse essere lo standard.

La cosa peggiore è che spesso siamo proprio noi donne a portare avanti queste idee, anche attaccando coloro che cercano di emanciparsi da esse. Basti pensare alle cattiverie contro la cellulite di questa o quella collega, ai giudizi sul vestiario troppo casto o troppo provocante delle attrici, ai commenti contro coloro che decidono di non depilarsi più… Triste a dirsi, ma spesso noi donne siamo vittime di un “fuoco amico” duro a morire.

Le criticità

Ho fatto un sacco di complimenti a Miss Black: direi che possiamo passare ai punti che non mi sono piaciuti.

Io amo i dialoghi, specie se intelligenti e naturali come quelli de “Il fuorigioco spiegato alle ragazze”. Devo però ammettere che qui sono parecchi e che c’è poca azione. Alcuni lettori potrebbero annoiarsi.

Ammetto anche che alcune scene di sesso mi sono sembrate un po’ forzate, come se fossero state buttate lì giusto per fare numero. Parte del finale stesso sembra più un’occasione per farli scopare, che per far andare avanti la storia. In fondo fa brutto scrivere un romanzo erotico nel quale la gente scopa poco, no?

Infine, mi permetto di fare un appello a Miss Black e a chiunque sia all’ascolto: gente, piantatela con le scene in cui il sesso anale fa male. Va bene che Lenny è masochista e un po’ di dolore le piace pure, ma il sesso anale non deve fare male. Se fa male, significa che si stanno formando delle microlesioni e non va per un cazzo bene.

Okay che è fiction, ma certe scene rinforzano false credenze fin troppo radicate nella mente delle persone. Non buttiamo benzina sul fuoco.


1 Questo non gli impedisce di usare il “piuttosto che” nel modo giusto, al contrario di molti giornalisti.

2 Tra l’altro, sono l’ultima persona ad avere il diritto di sparare giudizi: da qualche parte a casa dei miei, ho ancora la saga completa di Twilight nell’edizione cartonata.

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Parasite Milk di Mellick III: lunga vita al sesso sicuro https://www.cleisende.it/parasite-milk-mellick-recensione/ Sun, 22 Mar 2020 20:19:22 +0000 https://www.cleisende.it/?p=549 Parasite Milk di Carlton Mellick III sembra uno spot sull’importanza del sesso sicuro. Uno spot bizzarro, erotico e a tratti terrificante

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Parasite Milk di Carlton Mellick III sembra uno spot sull’importanza del sesso sicuro. Uno spot bizzarro, erotico e a tratti terrificante

Premetto una cosa, anzi, due:

  • il libro di cui mi accingo a parlare è (per ora) disponibile solo in inglese;
  • Mellick non è un autore di libri erotici nel senso stretto del termine, ma di “bizarro fiction”. I suoi romanzi partono da premesse assurde e le portano alle estreme conseguenze. Il risultato? Storie disturbanti e bizzarre – è proprio il caso di dirlo – ma del tutto coerenti.

Perché parlo di un autore del genere in un blog dedicato al sesso e al BDSM? Perché Mellick ha sempre la testa “lì”. Tutti i suoi libri hanno una forte componente sessuale; a volte è parte stessa della storia, come in Parasite Milk o in La Marcia Carnale; in altri fa solo da contorno, come in Testa d’Uovo.

Nello specifico, Parasite Milk riesce nella difficile impresa di eccitarti e inorridirti allo stesso tempo. Una chicca per gli amanti dell’erotismo bizzarro.

La trama di Parasite Milk

Copertina di Parasite Milk di Mellick IIIGli esseri umani hanno scoperto come teletrasportarsi nello spazio, entrando finalmente in contatto con le numerose civiltà che lo popolano. Quali tipi di business sono nati, grazie a questa favolosa rivoluzione?

  • Reality trash ambientati su altri pianeti.
  • Turismo sessuale, per chi sogna di scopare con affascinanti (?) aliene.

Irving Rice non conosce nessuno dei due settori, ma dovrà imparare in fretta. Il ragazzo ha infatti accettato un lavoro da cameraman nel reality Bizarre Food, edizione interplanetaria. Come primo incarico, dovrà seguire la star Andrew Zimmern e il produttore Mick Meyers sul pianeta Kynaria, un incubo popolato da funghi senzienti. Questo non sembra scoraggiare Mick, intenzionato a fare sesso con le “bellezze” locali e a portare Irving con sé.

Il produttore sessuomane trascina il nostro conservativo protagonista in un bordello locale, per provare tutti i gusti del posto. Peccato che Irving non abbia nessuna voglia di tuffarsi nelle vasche di fango gelido che sostituiscono i letti. Né tanto meno di farsi toccare dagli orribili lumaconi che vi dormono dentro, le prostitute del bordello.

E se invece si avventurasse fuori, alla ricerca della meravigliosa ninfa che ha visto arrivando? Cosa potrebbe mai andare storto?

Com’è scritto il libro

Mellick ha un problema comune a tanti scrittori di nicchia: deve scrivere tanto e velocemente, se vuole pagarsi l’affitto con le proprie parole. Per questo motivo, tanti suoi libri sono un po’ troppo sbrigativi in certi punti, si lasciano andare a qualche spiegone di troppo e si fanno trascinare dalle premesse assurde. Nel caso di Parasite Milk, questi problemi sono quasi del tutto assenti.

Fin dalla prima pagina, sei nella mente di Irving e vivi le sue disavventure in prima persona. Il punto di vista è del tutto immerso, il che significa che percepisci tutto ciò che accade solo attraverso i sensi del protagonista. Oltre a questo, hai un accesso diretto ai pensieri di Irving e alle informazioni in suo possesso. Se Irving sa qualcosa di importante per la storia, lo sai anche tu; se è all’oscuro di qualcosa, lo vieni a scoprire insieme a lui.

Il punto di vista immersivo rende la lettura del libro quasi sensoriale, forse un po’ troppo forte per i lettori più sensibili. I rapporti sessuali sono descritti in modo nitido, lasciando spazio anche a sensi come l’olfatto e il gusto. Tutto questo rende il sesso ancora più eccitante e terrificante, non appena ne scopri le implicazioni.

Mai fare sesso alieno non protetto

A livello di trama, l’unica cosa che mi ha dato davvero fastidio è la storia delle erezioni di Irving. All’inizio del romanzo, il protagonista ci dice di essere afflitto da un durello perenne. Peccato che la cosa venga piantata lì quasi subito e non abbia conseguenze concrete. Mi chiedo se non sarebbe stata meglio tagliarla. Per il resto, la storia è coerente e lineare.

L’inizio del romanzo è un pochino lento: Mellick si prende tutto il tempo per mostrarci l’ambientazione e farci vivere lo schifo provato da Irving. In queste pagine, l’autore ne approfitta anche per introdurre il tema del sesso protetto.

Mick è un assiduo frequentatore di prostitute – aliene e non – e affronta l’eventuale rischio di malattie con una certa leggerezza. Ciononostante, fa una cosa cui tanti libertini come lui non pensano: porta i preservativi sempre con sé.

Mick e Irving discutono di quanto sia sicuro fare sesso con una prostituta aliena. Traduzione mia.

[Irving] “Va bene, è se i kynariani avessero una strana malattia che ti scioglie il pene? Non potresti saperlo.”

“Guarda, ho fatto sesso con dozzine di aliene di dozzine di mondi diversi: il massimo che mi sono preso è un raffreddore. Ti serve solo un preservativo e andrà tutto bene.”

Guardo fuori dal finestrino, fissando le costruzioni di funghi che ci passano accanto. Ormai non mi importa più di discutere con Mick. Non c’è nulla che possa dire che alleggerisca le mie preoccupazioni.

Mick dice: “Se vuoi andare sul sicuro, fatti fare un pompino e basta. Vai sempre sul sicuro con un pompino.”

Sorvoliamo sulla domanda: “un pompino è sempre sicuro per chi?”1 Mick mette comunque in chiaro una cosa: fai quello che vuoi, ma fallo con un preservativo addosso. Indovina un po’ chi dimentica tutte le paranoie di poco prima, non appena vede una bella ninfetta? Ebbene sì: il nostro caro Irving è prudente solo a parole.

Non dirò niente sulle conseguenze – bizzarre – dell’imprudenza del protagonista. Sappi solo che sono deliziosamente orripilanti.

Quando il bizzarro va a braccetto con la realtà

Io amo Mellick, specie quando parla di sesso e di bizzarrie e di bizzarrie sessuali. Le sue storie sono di genere fantastico/fantascientifico, eppure riescono a delineare certi tratti della società in modo molto più realistico di tanti libri mainstream. Parasite Milk non è da meno.

Mellick ci propone un protagonista normale, quasi mediocre, che fa le stupidate che tanti di noi hanno fatto o potrebbero fare. L’unica differenza è l’ambiente assurdo che lo circonda, che amplifica le conseguenze dei suoi atti. Ti trovi quindi a leggere le vicende di qualcuno quasi come te, che fa le tue stesse stronzate e finisce in un incubo.

Irving fa la figura del cretino, ma ragiona proprio come fanno tante persone all’apice del loro infoiamento: “figurati se capiterà a me”. È un pensiero del tutto normale, ma che non ha niente di SSC e che può portare al disastro. Perché, caro mio, siamo sinceri: secondo te, le 3.443 persone che nel 2017 hanno scoperto di avere l’HIV immaginavano che sarebbe andata a finire così? Ho la vaga sensazione di no.


1 Spoiler: non per la persona che lo fa. Il sesso orale non protetto può veicolare moltissime malattie, specie se fatto con l’ingoio. Lo so, non sono cose che vorresti sentirti dire.

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Histoire d’O e il mito del “vero” sadomaso https://www.cleisende.it/histoire-do/ Thu, 04 Apr 2019 16:21:34 +0000 https://www.cleisende.it/?p=278 Histoire d’O è un romanzo simbolo nel mondo del BDSM. Per tanti versi ne ha addirittura plasmato l’immaginario. Eppure, ha ben poco del “vero” BDSM....

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Histoire d’O è un romanzo simbolo nel mondo del BDSM. Per tanti versi ne ha addirittura plasmato l’immaginario. Eppure, ha ben poco del “vero” BDSM. Perché?


Quando uscì “Cinquanta Sfumature di Grigio” avevo poco più di vent’anni e non praticavo BDSM. Ricordo un’enorme discussione riguardo la trilogia, su un forum che frequentavo a quel tempo. Nel corso di questa, feci un confronto tra le Sfumature e “Histoire d’O”, ovviamente a discapito delle prime. Presentai la Storia di O come un genuino esempio di sadomaso, al contrario dell’obbrobrio della James.

Credo di aver scritto poche altre stronzate così grosse. L’opera di Pauline Réage – pseudonimo di Dominique Aury – ha infatti ben poco del “vero” BDSM.

Riassunto del romanzo “Histoire d’O”

Preparazione in Histoire D'O

Nel caso non l’avessi letto, “Histoire d’O” è un romanzo francese del 1954 di genere erotico. Il libro parla di O, una ragazza senza nome fidanzata con il bel René. Un giorno René la porta a fare una passeggiata in una zona che non conosce, la fa salire su un taxi, la spoglia e la porta in un castello a Roissy.

Al castello abitano due gruppi di persone: ragazze come O, portate lì da fidanzati o amici come prova d’amore; uomini che hanno come unico divertimento frustare e sodomizzare le suddette. Durante il suo soggiorno, O impara ad annullare la propria volontà per diventare la perfetta schiava sessuale di René.

O rimane una schiava anche una volta uscita dal castello. L’anello che indossa la bolla come ragazza di Roissy; chiunque ne conosca il significato, può disporre di lei a piacere. Ciononostante, O è a tutti gli effetti proprietà di René. Lui decide quindi di cederla all’amico fraterno sir Stephen, che la fa marchiare con le proprie iniziali.

Alla fine del romanzo, sir Stephen lascia O e lei decide di uccidersi (forse)1.

Roissy, ovvero il sogno bagnato degli amanti del BDSM

Il castello di Roissy in Histoire d'O
Histoire d’O” – romanzo e film – ha plasmato l’immaginario degli amanti del BDSM in tanti modi. Prima di tutto, Roissy sembra quasi un mondo a parte, basato tutto sull’estetica fetish e il sesso. Gli abiti di uomini e donne servono a facilitare il rapporto sessuale, il trucco mette in risalto genitali e attributi sessuali. Non c’è spazio per il pigiama o la ciabatta scucita: è come se tutti fossero in dress code 24 ore su 24.

Ciò che però ha stuzzicato tanti, almeno secondo me, è la semplicità d’approccio tra dominanti e sottomesse. Le donne di Roissy sono facili da riconoscere, se sai dove guardare: l’anello non lascia spazio a dubbi. Se fai parte del circolino, non servono parole o spiegazioni prima di far partire le danze.

Oggi forse fa un po’ ridere, ma conta che il romanzo “Histoire d’O” è degli anni ‘50 (gli stessi anni di Bettie Page) e il film è del 1975. In quel periodo era dura la vita del pervertito. Senza internet, trovare qualcuno con dare spazio alle proprie fantasie era una vera impresa. Le vicende del castello di Roissy offrivano invece l’illusione di un’alternativa, grazie a un segno di riconoscimento chiaro e al contempo discreto.

Sadomasochismo che non è sadomasochismo

Quando si parla della Storia di O, se ne parla quasi sempre in rapporto al sadomasochismo. Le recensioni che ho visto sul web vanno spessissimo in quella direzione, lo mettono addirittura in rapporto alle Cinquanta Sfumature. Ovviamente, ciò porta a un sacco di interpretazioni scandalizzate, dato che di SSC non c’è neanche l’ombra nel libro.

C’è un problema: il fatto che “Histoire d’O” abbia influenzato l’immaginario del BDSM non lo rende un romanzo sul BDSM. Va bene, ci sono fruste e sesso e collari come se piovesse. Sicuro, O è una perfetta schiava sessuale per René prima e per sir Stephen dopo. Il libro, però, non parla di sadomaso. Il libro parla di libertà da sé stessi e dipendenza dall’altro.

O non è masochista nel senso proprio del termine. Lei non prova piacere nel dolore o nel farsi usare come un oggetto sessuale. Più di una volta mette l’accento invece sulla libertà da sé stessa.

Sotto gli sguardi, sotto le mani, sotto i sessi che l’oltraggiavano, sotto le fruste che la straziavano, si perdeva in una delirante assenza da se stessa che la restituiva all’amore, e l’avvicinava forse alla morte.

A molti sfugge, ma in una coppia BDSM si divertono entrambe le parti. Il sottomesso prova un genuino piacere sessuale nel farsi maltrattare e, nel momento nel quale non si diverte più, può bloccare il gioco. Per O non è così: lei si sottopone a torture e umiliazioni pur di non restare sola con sé stessa. Tant’è che, nel momento in cui sir Stephen decide di lasciarla, O decide di farla finita.

La tortura sessuale come libertà assoluta da sé stessi

Renè e O abbracciati
Il terzo anno di università, credo, seguii un bel corso di Estetica. Durante una delle lezioni, il professore parlò anche del rapporto malato tra i due protagonisti di “Histoire d’O”. Io non avevo ancora letto il romanzo, quindi alzai la manina e chiesi cosa ci fosse di male. Insomma, se a una persona piace prenderle e all’altra darle, va bene così. No?

Il professore replicò che René e O non hanno il rapporto complementare tipico di chi pratica BDSM. Invece di completarsi, O usa le pratiche per scendere in una spirale autodistruttiva che non può che finire in tragedia. Non so se il mio professore praticasse BDSM, anche se giravano voci equivoche sul suo conto. Penso però che avesse ragione.

La libertà da sé stessi è uno dei temi cardine del BDSM: il sottomesso si affida al dominante in tutto e per tutto. Ciononostante, mantiene sempre una forte responsabilità verso di sé: se pensa che il gioco stia andando in una direzione sgradita, ha il diritto e dovere di fermarlo. Invece, O perde sé stessa pagina dopo pagina, chiudendosi in una prigione senza via di uscita.

Dietro le immagini erotiche c’è il terrore dell’eccesso di libertà. O si affida a René e soprattutto a sir Stephen per non dover più pensare, per non avere responsabilità, per non essere. Questa è una dinamica molto più vicina all’autolesionismo che al BDSM.

Ma che sollievo, che delizia l’anello di ferro che fora la carne e pesa per sempre, il marchio che non si cancellerà mai, la mano di un padrone che ti stende su un letto di roccia, la mano di un padrone che sa impadronirsi senza pietà di chi ama.

Perché libro e film “Histoire d’O” mandano messaggi diversi

Il finale di Histoire d'O
Nel 1975 è uscito un film tratto da “Histoire d’O”, abbastanza esplicito e con alcune differenze rispetto al libro. Nonostante la storia sia identica, ci sono particolari che gettano una luce diversa sul personaggio di O e sul rapporto con sir Stephen. Anche il finale è diverso e cambia il senso della storia.

Nel film, sir Stephen dice più volte di essere innamorato di O, specie nel finale. Il rapporto tra i due è di fatto molto più paritario, più vicino a un vero rapporto BDSM. Addirittura, il finale lascia spazio a un capovolgimento di ruoli. I due sono abbracciati teneramente sul divano e fumano lo stesso sigaro. Lui dice che la ama e O ridacchia.

SIR STEPHEN: Perché sorridi?

O: Tu dici che mi ami, ma se io ti chiedessi di subire una sola delle prove che io ho sopportato per te, accetteresti?

SIR STEPHEN: Sì, sono tuo.

(O spegne il sigaro, prende la mano di sir Stephen e preme la punta del sigaro sul dorso. Lui sussulta, ma non dice niente.)

NARRATORE: Ella seppe allora che era giunta alla fine del viaggio, trionfante. Ora stava a lui darle prova del suo amore.

(La camera si avvicina, mostrando l’anello di Roissy di O e il segno della bruciatura sulla mano di sir Stephen.)

Nel libro è impensabile che O si prenda la responsabilità anche solo di immaginare di dominare sir Stephen. Tutto il suo percorso serve ad annullarsi, mentre nel film è più simile a un viaggio alla ricerca di sé stessa. Le torture e le umiliazioni rendono la O interpretata da Corinne Cléry più forte, in grado di sopportare le sfide della vita a testa alta.

Certo, in questo modo mancano buona parte degli elementi che rendono il libro così sconvolgente. La storia assume tinte più “normali” e lascia meno spazio alla riflessione.


1 Ci sono due finali. In uno O si uccide, nell’altro sir Stephen la abbandona a Roissy. Quest’ultimo è il finale raccontato in “Ritorno a Roissy”, seguito di qualità discutibile e infatti poco conosciuto.

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