Cleis Ende https://www.cleisende.it/ Parole sporche Tue, 11 May 2021 16:57:16 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.3 https://www.cleisende.it/wp-content/uploads/2020/11/cropped-Icona-CleisEnde-1-32x32.jpg Cleis Ende https://www.cleisende.it/ 32 32 Sexify di Netflix, come (NON) parlare di orgasmo femminile https://www.cleisende.it/sexify-netflix-recensione/ Tue, 11 May 2021 16:57:09 +0000 https://www.cleisende.it/?p=891 Sexify”, la nuova serie polacca di Netflix, vorrebbe parlare di orgasmo e di imprenditoria femminile, entrambe tematiche interessanti. Di fatto, non riesce a fare nessuna...

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Sexify”, la nuova serie polacca di Netflix, vorrebbe parlare di orgasmo e di imprenditoria femminile, entrambe tematiche interessanti. Di fatto, non riesce a fare nessuna delle due cose.

Dovrei piantarla di farmi del male così e lasciare il compito al buon Mela: mi darebbe sicuramente più soddisfazioni. Eppure continuo imperterrita a guardare telefilm di dubbia qualità, che si preannunciano imbarazzanti fin dai primi episodi. Chissà, magari spero in un colpo di scena a metà stagione che mi faccia cambiare idea; oppure sono più masochista di quanto non mi piaccia ammettere.

Tutto questo pippone per dire che “Sexify” fa cagare su tutta la linea: struttura della storia, contenuti, messaggio finale. Davvero, una Caporetto del telefilm al femminile. Vediamo di tirarne fuori qualcosa di buono.

La trama

Dio santo, le premesse non erano nemmeno malvagie.

Natalia è una studentessa di informatica che sta lavorando a una app per ottimizzare il sonno, da presentare a un concorso universitario che mette in palio un sostanzioso finanziamento. Peccato che il professore bocci la sua idea e la metta di fronte a una scelta:

  • unirsi al progetto di un altro gruppo, ma Natalia è del tutto incapace di socializzare, se non proprio nello spettro autistico;
  • lavorare a una nuova app, ma mancano solo 3 mesi al concorso.

Insomma, la nostra protagonista è in merda.

Dopo un tentativo fallimentare di unirsi al progetto di un compagno di corso, Natalia decide di convertire la sua app sul sonno in una app per ottimizzare l’orgasmo femminile. Sarebbe anche una bella idea, non fosse che lei è vergine e probabilmente asessuale.

Ad aiutarla nell’impresa ci saranno la sua migliore amica Paulina e la figlia di papà Monica. La prima sta insieme a un uomo che non sa nemmeno cosa significhi la parola “preliminare”. La seconda scopa come un riccio, ma riesce a venire solo se pensa al suo ex. Il terzetto delle meraviglie.

Si può sapere di cosa parla “Sexify”?

E tu mi dirai: “ma non l’hai scritto sopra?” Ni: sopra ti ho esposto la trama di “Sexify”, ma qui sto parlando del tema della storia, il filo rosso che unisce tutte le mirabolanti avventure di protagonista e coprotagoniste. Non dev’essere niente di particolarmente profondo, basta che ci sia: serve a rendere la narrazione organica, non a svelarti il senso della vita.

In una storia scritta come si deve, il protagonista ha un difetto fatale in linea con il tema scelto (ne parlo anche nella recensione di “Ho imparato a odiarti”). Non è l’unico difetto che ha, sia chiaro, ma è l’unico rilevante ai fini della trama. Se non sarà in grado di superare quel difetto, infatti, non riuscirà ad affrontare le sfide che gli si presentano davanti e perderà per sempre qualcosa di importante. In questo modo tutta la vicenda verte su questo tema e dimostra il punto di vista dell’autore a riguardo. Se il tema non è chiaro, è improbabile che il difetto del protagonista lo sia: sono due cose strettamente legate.

Se nella storia ci sono un protagonista con dei coprotagonisti, come in questo caso, ciascuno di essi incarna una variante dello stesso difetto fatale. Questo è importante per mantenere la narrazione coerente e organica.

Spesso lo spettatore non si rende nemmeno conto dell’esistenza di questo filo rosso, ma si accorge fin troppo bene della sua mancanza: la storia non va da nessuna parte e non se ne capisce il punto, i protagonisti sono superficiali, il finale è stupido… Sono le rimostranze tipiche, in questi casi.

Quale problema devono risolvere le protagoniste?

Di cosa parla “Sexify”, quindi? In teoria, basterebbe trovare il difetto fatale delle protagoniste per capirlo. In teoria.

All’inizio, pensavo che fosse l’importanza di imparare a comunicare: Natalia è incapace di interagire con gli altri, appunto, quindi sarebbe un difetto fatale perfetto per lei. Anche Paulina ha dei seri problemi di comunicazione con il compagno. Inutile specificare quanto si sposi bene con la questione dell’orgasmo femminile.

Il tema della comunicazione emerge anche con Monica, soprattutto in alcuni dialoghi con la madre. Ciononostante, non so quanto si applichi bene a lei.

All’inizio della storia, Monica non frequenta l’università, il padre le ha appena tagliato i fondi, scopa con chiunque per noia. A occhio, sembrerebbe una persona che non ha ben chiaro cosa vuole fare della propria vita, più che una persona incapace di comunicare.

Man mano che la storia va avanti, il focus inizia a ballare ancora di più: il tema della comunicazione sparisce, di fatto. Sembra che il telefilm si concentri soprattutto sull’importanza di conoscersi e di seguire la propria strada, anche quando è diversa da quella che vorrebbero gli altri. Si adegua alla vicenda di Monica, insomma.

Il tema in questione non sarebbe nemmeno male, intendiamoci, e potrebbe essere in linea con le vicende di Paulina. Ci sono due problemi, però:

  • sarebbe dovuto essere centrale fin dall’inizio per tutte, non cicciare fuori a metà stagione;
  • non c’entra un tubo con Natalia, almeno per buona parte del telefilm.

Una protagonista che non agisce

Natalia è un personaggio privo di una direzione e si vede: agisce poco e, quelle poche volte che lo fa, non ottiene niente. Ben presto la storia finisce in mano alle due coprotagoniste, in particolare a Monica. È quest’ultima che trova la “soluzione” per la app, che la mette in atto, che le prepara un pacchetto accattivante. Natalia si limita quasi sempre a seguirla.

Il problema di Natalia è che ha un mucchio di difetti, ma non un unico difetto fatale. Come detto sopra, il protagonista dovrebbe avere un difetto che spicca su tutti gli altri da risolvere. Natalia ha problemi di comunicazione, non conosce il proprio corpo e non ha ben chiaro cosa vuole, è troppo influenzata da ciò che la società vorrebbe da lei, è incapace di collaborare. Ciascuna di queste cose le mette i bastoni tra le ruote e rischia di farla fallire, ma nessuna si delinea come IL problema da risolvere.

Ovvio che non si capisca un tubo!

Verso la fine il suo personaggio trova pressapoco una direzione, adeguandosi a quella presa dalle altre e aperta da Monica. Lo fa dopo aver passato tutto il telefilm girando a caso e senza cambiare (ovviamente, perché come dai un arco di trasformazione a un personaggio senza un difetto fatale?). Sarebbe stato già abbastanza brutto per un personaggio secondario, ma è inaccettabile per un protagonista, che dovrebbe essere il motore della storia.

Il clitoride, il grande assente

Ottimo, abbiamo demolito “Sexify” sul fronte della scrittura. Passiamo al resto.

Senza fare spoiler, alla fine il telefilm pare volersi concentrare sull’importanza di conoscersi e di trovare una propria dimensione, indipendentemente da quello che vogliono gli altri. Non solo il tema spunta fuori verso la fine – e no, non basta un monologo appassionato della protagonista per renderlo il vero tema del telefilm – ma è in aperta contraddizione con buona parte di ciò che vediamo.

Parliamo di orgasmo femminile, no? Sapete chi è il grande assente, in tutto questo? Il clitoride, dio santo, il clitoride! Si calcola che più dell’80% delle donne non riesca ad avere un orgasmo senza la stimolazione del clitoride, punto percentuale in più o in meno. Eppure, in un telefilm che vorrebbe parlare di orgasmo femminile, questo viene citato a dir tanto tre volte e solo di sfuggita.

Si cerca la chiave universale del piacere e si dimentica il cazzo di passepartout che abbiamo in mezzo alle gambe!

In “Sexify” il piacere femminile è sempre trattato in relazione alla penetrazione, in linea con i peggiori stereotipi da film porno mainstream. E no, non è la visione iniziale che verrà poi contraddetta dai fatti: dall’inizio alla fine, l’orgasmo femminile è quella cosa che avviene con un partner e mediante penetrazione. La masturbazione viene trattata solo di sfuggita e quasi sempre in termini negativi.

Con buona pace del “seguire altre strade”, “conoscere te stessa” e queste cose qui. Complimenti.

Asessualità, il grande sconosciuto

La peggiore contraddizione a quello che vorrebbe essere il messaggio finale, però, arriva da Natalia. La nostra cara Natalia è asessuale, è evidente: non si masturba, non le interessa il sesso, non prova alcun tipo di eccitazione neanche quando è fatta fino alla punta dei capelli. Non è una persona inibita come Paulina: non gliene frega proprio niente.

Sarebbe stato un aspetto interessantissimo da esplorare, specie in linea con il “conosci te stessa e fai il cazzo che vuoi”. Si sarebbe potuto costruire un arco nel quale lei cercava disperatamente di interessarsi al sesso, fino a prendere atto della propria asessualità e abbracciarla. Ci ho (ingenuamente) sperato fino alla fine.

Che povera illusa.

In realtà, alla fine del telefilm Natalia si butta sul classico “non conosco me stessa e non so come comunicarlo”, presentando la app come la soluzione al problema. Insomma, la ciliegina su una torta di merda.

Devo anche specificare che non vi consiglio la visione di “Sexify”?

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Recensione di “Ho imparato a odiarti”: il mistero del protagonista scomparso https://www.cleisende.it/recensione-ho-imparato-a-odiarti/ Thu, 22 Apr 2021 16:59:28 +0000 https://www.cleisende.it/?p=877 “Ho imparato a odiarti” di Vi Keeland e Penelope Ward (“Hate notes”, in originale) è il classico romance con due punti di vista e due...

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“Ho imparato a odiarti” di Vi Keeland e Penelope Ward (“Hate notes”, in originale) è il classico romance con due punti di vista e due protagonisti. In apparenza. In realtà, il protagonista è uno solo

La mia recensione di “Ho imparato a odiarti” non è del tutto negativa ma nemmeno positiva, metto subito le mani avanti. In linea con la policy del blog, avrei dovuto metterlo da parte e fare finta di niente, eppure eccomi qua: perché?

Nonostante i tanti difetti, questo romance ha avuto un ottimo riscontro da parte del pubblico italiano e straniero. A mio dire, buona parte del merito va all’inizio e a una delle due linee narrative, ovvero quella del protagonista maschile Reed. Giocando con questi due elementi, le autrici sono riuscite a compensare una protagonista femminile poco coinvolgente come Charlotte.

Andiamo più nel dettaglio.

Di cosa parla “Ho imparato a odiarti”

Il romanzo inizia con la ventottenne Charlotte alla canna del gas: ha scoperto che il fidanzato la tradiva, l’ha mollato a un passo dall’altare, si è dovuta licenziare (perché ovviamente lavorava con l’ex), è rimasta senza un soldo.

Pacchetto completo, insomma.

Mentre cerca di rivendere il vestito da sposa, trova un abito stupendo con un biglietto azzurro all’interno. Il biglietto è scritto da un tale Reed ed è dedicato ad Allison, probabilmente la ex proprietaria del vestito. Charlotte rimane folgorata dal romanticismo che trasuda dal biglietto, tanto che cerca l’autore online. Lo trova e scopre che lavora per un’importante agenzia immobiliare. Ed è single.

Adesso non resta che trovare un modo per incontrarlo.

Due protagonisti con i quali empatizzare

L’inizio di “Ho imparato a odiarti” ha un enorme pregio: ti mette dalla parte di entrambi i protagonisti. Charlotte emerge fin da subito come una brava ragazza, forse un po’ troppo impulsiva, che però non merita ciò che le sta capitando. Insomma, la ragazza ci viene presentata come una brava persona presa a calci dalla vita, il che suscita in noi tenerezza e voglia di vederla vincere.

Come si suol dire: la prima impressione è tutto.

Non vediamo subito Reed, ma sembra un ragazzo romantico e innamorato, probabilmente mollato sull’altare per colpe non sue. O almeno questo crede Charlotte, contagiando noi lettori con questa convinzione. Non è molto, ma è comunque meglio di niente: nel primo incontro con Charlotte, infatti, Reed si comporta un po’ da stronzo.

Se avessimo visto prima lo stronzo e poi l’uomo romantico, sarebbe stato più difficile prendere a cuore la sua sorte.

I cambiamenti di Reed e l’immobilità di Charlotte

I problemi iniziano (o meglio, diventano evidenti) dopo il primo incontro tra i due. Charlotte fissa un appuntamento per visitare un loft che non può permettersi, presa dalla curiosità. Reed capisce subito che è lì solo per curiosare, quindi la umilia e la accusa di voler far perdere tempo alla gente che lavora. Lei scoppia a piangere e scappa in bagno.

Qui le cose precipitano.

In bagno, Charlotte incontra una simpatica signora di nome Iris che l’ascolta sfogarsi. Signora che si scopre essere la proprietaria dell’agenzia e la nonna di Reed, nonché l’emissaria del messaggio del romanzo: “segui le tue passioni fregandotene di quello che pensa il mondo”. Iris, questo è il suo nome, porta il messaggio prima a Charlotte e poi a Reed, ma i due reagiscono in modo diverso.

Reed si comporta da protagonista, per così dire: sulle prime bolla il consiglio come una cazzata, facendo di tutto per andare avanti con la propria vita. Man mano che la storia va avanti, si convince della bontà del consiglio della nonna e inizia a cambiare, finché questo cambiamento non lo porta al lieto fine. Noi lettori lo seguiamo lungo il percorso, facendo il tifo per lui e soffrendo insieme a lui, quando le cose vanno male.

Per Charlotte è diverso. Nel corso del romanzo, dichiara più volte di essersi annullata mentre stava con il suo ex. Non abbiamo motivo per non crederle. Nel corso della storia, però, fa tutto tranne che annullare i propri desideri: già prima dell’incontro con Iris, Charlotte si è portata a casa un abito da sposa inutile e ha messo su una sceneggiata per vedere l’autore del biglietto, entrambe decisioni prese sull’onda della passione. Il cambiamento c’è stato, ma precede l’inizio del romanzo.

Il fatto che Charlotte non cambi lungo la storia non sarebbe necessariamente un problema, anche se rende più difficile legarsi a lei. In teoria, sarebbe potuta essere una di quei protagonisti che funge da catalizzatore, spingendo gli altri personaggi a cambiare.

No, il problema è un altro: Charlotte non ha niente da perdere.

Perché Charlotte non è una vera protagonista

L’inizio serve per farci affezionare ai protagonisti, ma è inutile senza una posta in gioco. Affinché la storia sia davvero appassionante, i protagonisti devono avere una posta in gioco, ovvero qualcosa che rischiano di perdere. Non dev’essere necessariamente questione di vita o di morte, ma dev’essere importante per loro e difficile da ottenere. In “Ho imparato a odiarti”, l’unico ad avere una vera posta in gioco è Reed.

Reed viene fin da subito mostrato come un uomo che vive solo per il lavoro, che ha rinunciato a tutte le cose belle della vita. All’inizio non sappiamo cos’è successo con Allison, ma è stato chiaramente doloroso. Quando Charlotte entra nella sua vita, fa di tutto per tirarlo fuori dal guscio che si è costruito e lui, ovviamente, sulle prime fa resistenza.

Noi lettori capiamo subito che la vera posta in gioco non è la storia con Charlotte, ma una vita piena di amore e di gioia. Se Reed rifiuterà i sentimenti che prova per Charlotte, si chiuderà definitivamente in se stesso e non ne uscirà più. Questa consapevolezza ci mette in ansia per lui, spingendoci ad andare avanti nella storia.

E Charlotte?

Charlotte non ha niente da perdere, o così sembra. Se dovesse andare male con Reed, si leccherà le ferite e andrà avanti per la propria strada: ce lo dimostra più volte. Il lavoro offerto da Iris è ben pagato, ma non è il lavoro dei sogni: se dovesse perderlo, ne troverà un altro. Inoltre, le autrici ci fanno sapere che sia Reed sia la nonna sia il fratello di lui si prodigherebbero per cercale un altro lavoro.

Meglio per lei, ci mancherebbe, però questo rende la sua parte della vicenda molto meno interessante. Di fatto, la storia avrebbe funzionato anche senza il suo punto di vista, a parte per l’inizio. Il suo unico compito è innescare il cambiamento di Reed. Per carità, non c’è niente di male, ma è un po’ poco per un protagonista.

La “posta in gioco” di Charlotte (Spoiler)

Chi ha letto il romanzo potrebbe replicare che, non fosse stato per il rapporto con Reed, Charlotte non avrebbe mai trovato la madre prima che questa morisse. Vero, ma c’entra poco con il concetto della posta in gioco.

Reed si mette a cercare la madre di Charlotte per conto suo, senza chiederle niente. Quando la trova, Charlotte lo segue senza protestare né esitare. Il ritrovamento della donna non dipende dalle azioni di Charlotte, quindi, quanto da una buona dose di fortuna. Inoltre, il tutto avviene verso la fine: i lettori non sviluppano alcuna tensione nel corso del romanzo, che dovrebbe essere il compito della posta in gioco.

 

In definitiva, “Ho imparato a odiarti” è un romanzo che si fa leggere. Peccato che una buona metà verta su una protagonista che non cambia, non si trova mai davvero in difficoltà, non ha niente da perdere. Il suo unico ruolo è fungere da punto di vista femminile, fondamentale in romanzi di questo genere.

Peccato.

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“Unfit vol. 1: Rachel”: il romance vittoriano si fa femminista https://www.cleisende.it/unfit-rachel-miss-black/ Mon, 29 Mar 2021 16:39:25 +0000 https://www.cleisende.it/?p=873 “Bridgeton” di Netflix è stato solo l’ennesimo caso di romance vittoriano zozzarello di successo. Miss Black ha deciso di cavalcare l’onda con una serie a...

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“Bridgeton” di Netflix è stato solo l’ennesimo caso di romance vittoriano zozzarello di successo. Miss Black ha deciso di cavalcare l’onda con una serie a tema, di cui “Rachel” è il primo libro.

La nostra cara Miss Black è sempre sul pezzo, niente da dire. Nonostante qualche scivolone, la sua produzione rimane di gran lunga sopra la media dei romance e degli erotici italiani. Il primo volume di “Unfit – Amori di tre ragazze impresentabili” non fa eccezione.

La trama

Le sorelle Vassemer sono destinate a rimanere zitelle, c’è poco da fare. Il padre, sir Henry, le ha cresciute in modo troppo bizzarro, perché trovino posto nella società. Sono tutte colte, indipendenti, disinteressate a quello che la gente pensa di loro. Nessuna delle tre accetterebbe mai di farsi imbrigliare da un uomo, il che le rende una pessima scelta per qualsiasi giovane dotato di buon senso.

Quando però crolla il tetto della loro dimora, Cranwell House, tutto cambia.

Il padre delle sorelle muore nell’incidente; la maggiore delle tre, Rachel, si salva per miracolo.

Se si fosse già ritirata per la notte, come ogni brava gentildonna avrebbe dovuto fare a quell’ora, sarebbe certamente rimasta uccisa. Tuttavia, (…) Rachel era nella torretta, intenta a osservare il cielo stellato di settembre attraverso il grande telescopio riflettore da trentasei pollici (…)

L’uomo ha lasciato una discreta rendita alle sorelle Vassemer, il che dovrebbe garantire loro una vita più che dignitosa. C’è solo un problema: nel testamento, il padre ha anche disposto che le figlie vengano affidate a tre tutori. Il documento è vecchio, risalente a quando le tre erano solo delle bambine. Ciò non toglie che sia ancora valido.

Nonostante abbia ben trentatré anni e sia perfettamente in grado di cavarsela da sola, Rachel viene spedita nella tenuta del Marchese di Northdall. L’uomo è vedovo e con due figli, si accompagna a un bizzarro servitore indiano e ama i propri cavalli sopra qualsiasi cosa. Soprattutto, chiede a Rachel di sforzarsi di essere un minimo presentabile.

Si preannuncia una convivenza scoppiettante.

Lo stile

Il libro inizia con uno spiegone in terza persona con narratore onnisciente, il che di solito è un pessimo segno: nel 99,9% dei casi, si potrebbe mostrare tutto con una scena progettata ad hoc, invece che raccontare. Per fortuna l’incipit dura poco e presenta comunque qualche elemento concreto, che ne rende la lettura un po’ più piacevole.

Il resto del romanzo è scritto in terza persona al passato, prevalentemente dal punto di vista di Rachel. La gestione del punto di vista è quasi sempre buona, a parte per qualche scivolone qua e là. Verso la fine, c’è una scena nella quale il punto di vista fa avanti e indietro tra due personaggi, rendendo il tutto un po’ troppo confuso. Non mi vengono in mente altre scene con problemi di questo tipo, però.

A parte per lo spiegone iniziale, le parti in raccontato sono ridotte al minimo: troviamo qualche riga di riassunto qua e là, ma niente di eccessivo. Per il resto, la narrazione è nitida e aiuta il lettore a immergersi nella vicenda. Pollice in alto, insomma.

Perché ce l’ho con gli “spiegoni”

Sto per dire qualcosa di sconvolgente: le regole per scrivere bene non sono state calate dall’alto, anzi. Se certe norme sono finite nei manuali è perché – sorpresa! – qualcuno ha notato che funzionano. Certo, volendo si possono anche violare, a patto però di conoscere le conseguenze. Il che ci porta agli spiegoni e al perché mi stanno sulle scatole.

In uno spiegone – o infodump, se vogliamo usare il termine corretto – un narratore ci butta addosso informazioni crude, raccontando ciò che succede invece che mostrandolo. Ciò riduce il senso di immersione del lettore e interrompe la narrazione o, se lo spiegone è all’inizio, la ritarda.

Ti faccio un esempio.

Stai sognando di essere a cena con Jason Momoa (o con chi pare a te, non importa). Stai già pregustando uno scoppiettante dopocena, quando si spegne tutto e compare un tizio con un foglio in mano. Il nuovo arrivato inizia a raccontarti cosa succede dopo la cena, invece di fartelo vivere in prima persona.

Il tizio in questione è il narratore che ti butta addosso il brano in raccontato, interrompendo così il tuo bel sogno ad occhi aperti. Potrà anche essere bravo a parlare, ma rimane sempre lo stesso problema: ti sta appioppando un monologo al posto del tuo dopocena con Jason Momoa. Fastidioso, no?

Com’è strutturata la storia

Il libro si concentra su Rachel, come il titolo suggerisce in modo molto subdolo. Ciononostante, nella prima parte del romanzo troviamo qualche capitolo dedicato alle sorelle. In questo modo il lettore si fa un’idea di quale sia la loro situazione di partenza, in vista dei prossimi due romanzi dedicati a loro.

Oltre a Rachel, seguiamo anche le vicende di Northdall; l’uomo è alle prese con il figlio maggiore, che pare star imboccando una brutta strada. Pur essendo una linea narrativa secondaria in questo romanzo, sono sicura che acquisterà importanza nei libri successivi.

Per quanto riguarda la struttura, devo dire che è abbastanza chiara per chi ha un minimo di occhio. Primo turning point, midpoint e secondo turning point sono abbastanza facili da trovare (analisi con spoiler pesanti nella nota)1.

Femminista sì, ma al passo con (quei) tempi

Miss Black è femminista e si vede: le sue donne sono forti, indipendenti, con un sano appetito sessuale. Potrebbero campare benissimo anche senza un uomo accanto e, proprio per questo, cercano un compagno di viaggio piuttosto che una stampella cui appoggiarsi.

“Rachel” non fa eccezione: la protagonista è caparbia, forte, colta. Peccato che viva in un tempo nel quale le donne sono in gran parte “piante da interni” (parole di Miss Black). C’era il rischio che Rachel risultasse anacronistica, essendo così strana rispetto alle altre donne del suo tempo. Per fortuna, l’autrice ha gestito la cosa senza problemi.

Pur essendo una donna decisamente avanti, Rachel rimane figlia del suo tempo: mantiene quel minimo di rispettabilità che si chiede a una donna ed è ignorante su tutto ciò che riguarda il sesso, il che si rivelerà importante per la storia. Lo stesso vale per Northdall: pur essendo molto avanti su certe cose (il suo migliore amico è un servitore indiano, per dire), rimane ancorato al concetto di “presentabilità”.

Questo approccio mi è piaciuto molto. Da una parte, Miss Black ci fa assistere alla genesi del femminismo contemporaneo. Dall’altra, non fa l’errore di applicare schemi mentali contemporanei a tempi non ancora maturi.


1 L’incidente scatenante dovrebbe essere il crollo della casa di famiglia. Il primo turning point, ovvero quando le cose cambiano in modo tale da non poter tornare più indietro, è quando Rachel comincia i suoi giochini con lo stalliere e scopre le gioie della masturbazione. Nel midpoint, Rachel accetta di sposare Northdall dopo essere stata stuprata dallo stalliere in questione; in sostanza, è costretta a cambiare la propria visione del mondo e impara a fidarsi di Northdall. Nel secondo turning point, la prima notte di nozze, questa fiducia viene messa a dura prova. In seguito, Rachel scopre di potersi fidare di Northdall anche dal punto di vista sessuale e vissero tutti felici e contenti.

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Com’è fatto un master BDSM? Ce lo spiega Lara Esse https://www.cleisende.it/master-bdsm-lara-esse/ Thu, 11 Mar 2021 21:19:40 +0000 https://www.cleisende.it/?p=863 Il tema di come è fatto un “vero” master BDSM è una delle più sentite nell’ambiente, specie dai giovani uomini. Il libro “Nel buio ti...

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Il tema di come è fatto un “vero” master BDSM è una delle più sentite nell’ambiente, specie dai giovani uomini. Il libro “Nel buio ti vedo” di Lara Esse parla proprio di questo

Spoiler: il “vero” master, quello alla Christian Grey, non esiste. O meglio, esiste ma non vuoi andarci a letto né tanto meno praticarci BDSM. Come già accennato nella recensione di “Come petali di ciliegio”, i maschioni protagonisti di tanti libri erotici sono in realtà figure abusive. Rimane quindi da capire com’è fatto davvero un uomo dominante e, magari, anche un po’ (tanto) sadico.

Nel buio ti vedo” di Lara Esse gira proprio intorno a questa domanda, motivo per cui lo userò come pretesto per approfondire l’argomento dopo un’analisi più formale.

Di cosa parla “Nel buio ti vedo”

Alice è una giovane donna normale, che divide la propria vita tra casa e lavoro. La tipica ragazza acqua e sapone che frequenta ragazzi altrettanto normali e innocui. In apparenza.

In realtà, sono anni che Alice cerca il coraggio per entrare nell’ambiente BDSM. Pur essendosi iscritta a diversi munch, ne ha frequentati solo un paio e non ha mai approfondito la conoscenza con nessun membro della Scena. Forse il suo momento è arrivato.

Un giorno Alice trova una lettera anonima nella cassetta delle lettere. Un uomo la invita a casa sua, promettendole di farle scoprire i segreti della dominazione erotica a una condizione: prima di ogni incontro, Alice dovrà indossare una benda.

L’uomo senza volto, ribattezzato “MrDark” dalla protagonista, porterà Alice in luoghi di se stessa che non avrebbe mai pensato di raggiungere. Qual è la sua vera identità, però?

Che sia qualcuno che Alice conosce già?

Analisi tecnica del romanzo

Prima di passare al discorso sul “vero” master BDSM, due parole su com’è scritto e strutturato il romanzo.

La storia

Mi piacerebbe dire che la premessa di “Nel buio ti vedo” è assurda1, ma sarei molto ottimista. Pochi MrDark ti lasciano una lettera nella cassetta della posta (per fortuna), però di masteroni che ti propongono incontri al buio su internet è pieno il mondo. Allo stesso modo, è pieno il mondo di persone giovani che si buttano a capofitto nell’esperienza.

Diciamo che di solito non va come nel romanzo. Probabilmente, l’aspetto più inverosimile della storia è che MrDark si riveli una persona tutto sommato seria, desiderosa di instaurare un legame duraturo con Alice. Nella realtà, una persona che non gioca così tanto a carte coperte è probabilmente una persona abusiva. Fatta eccezione per questa cosa, però, il romanzo dà un’immagine abbastanza fedele del BDSM.

Dopo le famigerate Sfumature, il panorama erotico si è riempito di autori che scrivono di BDSM senza saperne un tubo. Lara Esse è invece una persona che ne capisce ed è evidente per due motivi:

  • la storia gira intorno a un problema reale all’interno della Scena, descrivendo un rapporto di dominazione e sottomissione realistico, anche se romanzato;
  • le sessioni descritte non si limitano alle solite due pacchette sul culo che si vedono nei libri erotici. Niente contro le sculacciate, anzi, però è bello leggere un libro con qualche pratica BDSM un po’ diversa dal solito. Alice si diletta con figging, kinbaku, breath play, elettro play… Insomma, c’è un po’ di varietà.

La struttura del romanzo è un po’ approssimativa: la vicenda inizia con Alice che incontra MrDark, senza lasciarci il tempo di conoscere la protagonista; Valerio, un personaggio importante per la storia, entra in scena solo al 37% del romanzo; certe scelte sembrano essere state prese in corso d’opera. In compenso, il conflitto è sempre presente e non ci sono momenti di noia.

Secondo me, sia i pro sia i contro sono dati dalla modalità di scrittura dell’autrice. Lara Esse nasce infatti su Wattpad e i suoi romanzi sono di fatto feuilleton, storie a puntate. Ciò significa che bisogna entrare subito nel vivo dell’azione, tenere alta l’attenzione dei lettori e saper improvvisare.

Lo stile

Le vicende sono narrate in prima persona da Alice, intervallate da parti in corsivo narrate invece da MrDark. L’autrice rimane fedele al punto di vista scelto, il che facilita l’immersione nella mente della protagonista. Ciononostante, devo segnalare due punti dolenti.

  • L’uso di una prosa inutilmente ricercata in alcuni punti, specie quando si descrivono atti sessuali. Usare tante parole desuete e metafore rende le descrizioni opache e meno immersive, il che viola il principio base di un romanzo: farti vivere l’esperienza come se fossi sul posto. A discolpa di Lara Esse, devo dire che è una tendenza comune nel genere. Presto o tardi approfondirò la cosa.
  • Una punteggiatura spesso incerta. Niente di irreparabile, sia chiaro: basterebbe una revisione un minimo approfondita per risolvere il problema.

Per il resto, c’è qualche spiegone qua e là, ma niente di terribile. In generale, l’unica cosa che mi sento davvero di consigliare all’autrice è di alleggerire la prosa. Basterebbe questo per migliorare nettamente lo stile, dato che i principi base del buon scrivere ci sono già: mostrare le scene invece che riassumerle; evitare di saltellare da un punto di vista all’altro.

Non è banale come sembra.

Come si riconosce un master?

L’intera storia ruota intorno a una domanda: qual è il vero volto di un master, nella vita di tutti i giorni? MrDark è indubbiamente un uomo dominante e anche parecchio sadico, seppure nei limiti di sicurezza e consenso. Eppure, Alice non ha idea di chi sia veramente né di come sia fatto.

Fino al secondo turning point, né il lettore né Alice conoscono la vera identità dell’uomo. L’unica cosa che scopriamo, verso un terzo del libro, è che Alice ha già incrociato MrDark in un contesto informale e che non l’ha riconosciuto come un “vero” master e, anzi, l’ha scambiato per un sottomesso. Questo l’ha – comprensibilmente – mandato in puzza.

È da qui che voglio partire.

Alice ha fatto un errore: dare per scontato che un uomo dominante a letto sia sempre riconoscibile a colpo d’occhio. È davvero così? Chi domina nel privato fa emergere questo tratto anche nella vita di tutti i giorni? Per esperienza, no. Ci sono master che rispecchiano lo stereotipo da libro erotico, ma sono la proverbiale eccezione che conferma la regola.

Ci sono due ragioni, a mio parere.

  1. L’idea platonica del Master BDSM è, appunto, un’idea: nella realtà non esiste. Si parla prima di tutto persone, ciascuna con il proprio carattere specifico, i propri feticismi, le proprie fissazioni. Cercare di farli entrare tutti nello stesso stampino è inutile e stupido. Alcuni sono dominanti a 360°, altri lo sono solo a letto, altri ancora lo sono a letto e in altri ambiti specifici della vita. Non esiste una regola2.
  2. L’istinto dominante non sorge solo in figaccioni alti un metro e novanta, con l’addominale scolpito, che vestono solo Armani e con un attico nel centro di Milano. Lo so, è una grossa delusione.

Un dominante debole non è un dominante

A dispetto di quanto visto sopra, verso un terzo del libro Alice ci dice:

Un dominante non può permettersi di farsi vedere debole, tutto in lui deve manifestare quell’idea di controllo che poi mette in atto. E non mi riferisco all’abbigliamento ma proprio a come si pone. Voce, parole, gesti e sì, anche presenza fisica, devono rispecchiare quello che si vuole trasmettere. (…) Mi dispiace, un dominante deve essere capace di farmi vivere certe sensazioni e con una caricatura di uomo non ci riuscirei.

Ci sono momenti in cui la nostra Alice si fa proprio volere bene, vero? La citazione è decontestualizzata per non fare spoiler, ma il messaggio è forte e chiaro: un dominante debole, magari pure alto un metro e un tappo, non può essere un vero master. Ovviamente la nostra eroina dovrà rivedere certe opinioni, ma non corriamo troppo.

Quella di Alice è un’opinione estrema e poco condivisibile? Poco ma sicuro: come detto sopra, chi gioca da dominante nel BDSM non necessariamente è dominante nella vita o si attiene a certi canoni estetici. All’interno del gioco, il master mantiene il controllo della situazione ed è auspicabile che trasmetta anche una certa sicurezza. Non si può pretendere che sia così anche una volta messi via i frustini.

Il BDSM è fatto di persone e, psicopatici a parte, le persone hanno momenti di debolezza e incertezze. È questo che Alice non capisce, in un primo momento: le persone sono puzzle e il “master” è solo uno dei tanti pezzi. MrDark è sì cattivissimo e sexyssimo quando Giocano, ma ha anche lui diritto ad avere dei punti deboli.

Vuoi un altro esempio di master sadico nel gioco quanto tenero nella vita? Leggi il mio articolo su “Nana to Kaoru”.

Sotto i quaranta non puoi essere un master

Lo stereotipo del masterone maschione figaccione è un problema sotto tanti punti di vista. Punto uno: se sei alto un metro e sessanta, puoi considerarti un vero master? Punto due: se un completo Armani costa quanto un tuo stipendio, puoi considerarti un vero master? Punto tre: se sei disoccupato e hai paura per il futuro, puoi considerarti un vero master?

Ma soprattutto: se hai vent’anni e qualcosa, puoi considerarti un vero master? E qui iniziano i problemi.

I papabili MrDark sono persone adulte, quindi il libro non tocca la questione dell’età. Nella vita di tutti i giorni è invece un problema non da poco. Ho sentito diversi ragazzi che giocano da dom lamentarsi di essere presi poco sul serio, in quanto troppo giovani: se non hai quarant’anni di età e cinquant’anni di esperienza nel BDSM, non puoi essere un vero master.

Il che è una stronzata, mi pare ovvio.

Torniamo al libro e vediamo quali sono gli elementi che rendono MrDark un vero master:

  • ha “intenzioni serie” con Alice, con la quale instaura un rapporto continuato di dominazione e sottomissione;
  • mantiene sempre un ottimo controllo della situazione, anche in momenti critici;
  • mostra un’ottima capacità di rimanere nel personaggio durante le sessioni, stuzzicando la fantasia di Alice;
  • ha competenze tecniche in ambito BDSM, che gli consentono di andare oltre le solite pacchette sul culo che vediamo nei libri erotici.

L’età di MrDark è ininfluente e, per quanto ne sappiamo all’inizio, potrebbe anche essere fatto così: vent’anni e qualcosa, tono perennemente pacato, fisico esile, faccino pulito da bravo ragazzo3.

Come in altri ambiti della vita, si dà per scontato che una persona “grande” sia anche “esperta”. Non è vero. L’effettiva bravura di un master dipende non solo dagli anni di pratica, ma anche dall’impegno e dallo studio. So di ammazzare un po’ la poesia, però certe pratiche BDSM richiedono di tornare sui libri; il kinbaku è uno degli esempi più eclatanti, ma di sicuro non l’unico.

Si può praticare per vent’anni alla carlona, senza preoccuparsi di imparare come far godere – e soffrire – un sottomesso. Si può praticare per un paio, passando ore e ore sui libri a imparare le tecniche più sadiche.

Dipende dalla persona, non dall’età.

Una vera slave è senza limiti?

Dopo aver smontato lo stereotipo del vero masterone che non deve chiedere mai, alto due metri e con un arnese di trenta centimetri, una piccola nota anche sulla “vera” slave.

All’inizio della storia, Alice si rifiuta di stabilire hard limit e soft limit, ovvero pratiche che non vuol nemmeno sentire nominare e pratiche che preferisce non fare. A suo dire, le basta la consapevolezza che MrDark si fermerà al primo accenno di safeword. Questa scelta ha un senso in funzione del finale della storia, ma in una vera relazione BDSM potrebbe essere problematica.

La completa assenza di limiti non solo non è vista come qualcosa di buono4, ma può essere considerata una “red flag”. In parole povere, un campanello d’allarme che potrebbe spingere la figura dominante a non giocare con quella persona.

Non esiste nessuno senza limiti. Anche i sottomessi più masochisti hanno qualcosa che fa loro paura o che non piace. Se quindi qualcuno si rifiuta di comunicare i propri limiti, sta:

  • mentendo per fare bella figura;
  • prendendo la cosa alla leggera, magari a causa dell’inesperienza.

Nessuna delle due cose è auspicabile e questo emerge molto bene nel libro. Alice inizia non ponendosi dei limiti (a parole), tanto è desiderosa di provare tutto del BDSM. Questo costringe MrDark a mettere dei paletti al posto suo, però.

Voglio farle provare nuove sensazioni, nuove situazioni, anche se ammetto il suo non mettere limiti è un limite grande. Vorrei spingerla oltre la soglia, ma lei si ostina a non volerla tracciare. È pronta a tutto con me, ma io non sono pronto a tutto solo per darle una lezione.

Una persona responsabile vuole sapere fin dove si può spingere, almeno a grandi linee. Altrimenti, è costretta a giocare con i piedi di piombo o a non farlo affatto.

Il finale di “Nel buio ti vedo”

Chiudo l’articolo con uno spoiler, come spero sia chiaro dal titolo. Se non hai letto il libro, ci salutiamo qui: spero tornerai per leggere le mie opinioni sul finale.

Fino al secondo turning point, verso i tre quarti del libro, ci sono due MrDark papabili: Mattia e Valerio. Queste sono le loro descrizioni.

Mattia:

Non è neanche brutto, certo, i biondi non sono mai stati il mio stereotipo, ma il suo visino pulito riesce a dare un senso anche a quelli.

Valerio:

Qui, davanti a queste due figure rigide in una perfetta e impeccabile uniforme di servizio mi sento un piccolo moscerino. […] Mi sforzo di guardare le due montagne di carne per presentarmi…

Il primo è detto l’infermierino ed è un collega di Alice, dall’aspetto tutto sommato innocuo. Ciononostante, nel corso del libro fa delle affermazioni che lasciano intravedere un lato oscuro. Valerio, invece, è un militare che frequenta il centro in cui lavora Alice e con il quale lei collabora. Nonostante abbia il “physique du rôle” da master, si mostra sempre tranquillo e pacato.

Considerato il tema alla base del romanzo e quello che sappiamo del primo incontro tra MrDark e Alice, Mattia sarebbe stato la scelta migliore. Il ragazzo non ha per nulla l’aria del sadico e vede abitualmente Alice, anche se i due non si frequentano fuori dall’orario di lavoro. Inoltre è quanto di più diverso ci possa essere da Alex, l’amico di MrDark che Alice incontra a metà libro e che, nella sua immaginazione, dovrebbe assomigliare al suo master misterioso.

Neanche a dirlo, il vero MrDark è Valerio. Secondo me, l’autrice l’ha scelto solo perché Mattia iniziava ad essere una scelta troppo ovvia.

Per come viene descritto Valerio, nessuno darebbe per scontato che sia un sub come ha fatto invece Alice. Esistono tantissimi sub alti e fisicati; quando però vedi una montagna d’uomo a un munch, anche se vestito alla cazzo di cane, dai quasi sempre per scontato che giochi da dom. Mattia, con il suo faccino pulito da bravo ragazzo, avrebbe potuto ingannare Alice molto più facilmente.

Da un certo punto di vista sono anche contenta, ti dico la verità: in un certi punti, Mattia è così insistente da sfiorare l’abusivo. A mio parere, però, sarebbe stato meglio se Valerio avesse avuto un aspetto meno imponente e un po’ più ambiguo.

In compenso, il finale risolve la questione della mancanza di limiti di Alice. Il libro si chiude con Valerio che regala un collare ad Alice dopo – finalmente! – la prima vera negoziazione che si vede nel libro. Con questi due gesti i due formalizzano l’intenzione di portare avanti un percorso insieme, come un vero master e una vera slave.

Direi che è una buona chiusura.


1 Come avevo fatto nella prima stesura dell’articolo.

2 Cosa sulla quale molti non concordano, ci tengo a precisarlo. Secondo alcuni, il vero rapporto Master-Slave non è semplicemente un rapporto stabile di dominazione e sottomissione, ma soprattutto un rapporto 24/7 che permea tutti gli aspetti della vita. Io ho già preso una laurea in “Litigare sul Sesso degli Angeli”, AKA Filosofia, quindi non ho intenzione di litigare anche su questa cosa. Pensate quel che vi pare.

3 Descrizione fatta pensando ad almeno un paio di dom sadicissimi realmente esistenti.

4 Da un master serio, si intende.

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A casa non c’è nessuno – Il Risveglio 02 https://www.cleisende.it/casa-nessuno-racconto/ Mon, 21 Dec 2020 09:09:24 +0000 https://www.cleisende.it/?p=849 Angela è sempre più insofferente e il rapporto con Carlo inizia a starle stretto. Quando una sera torna a casa prima, la situazione precipita Leggi...

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Angela è sempre più insofferente e il rapporto con Carlo inizia a starle stretto. Quando una sera torna a casa prima, la situazione precipita

Leggi la prima parte di “Il Risveglio”

Raddrizzo l’auto nel parcheggio sotto caso e la spengo. Tiro fuori il cellulare dalla borsa: c’è un messaggio di Carlo.

“Scusa amo, non ce la faccio per cena.”

Ributto il cellulare in borsa e scendo dall’auto. Sbatto lo sportello alle spalle e mi incammino a grandi passi verso casa.

Mi sta sempre tra i piedi quando finisco tardi, ma per una volta che riesco a uscire prima da lavoro non c’è.

Le luci di casa sono spente, quindi mamma e papà sono ancora fuori. Solo una finestra brilla in mezzo agli alberi del giardino, al secondo piano. Dovrebbe essere quella di Elisa. Magari ci penserà mia cugina a tenermi compagnia per cena.

Il cancello esterno è aperto e lo richiudo di dietro di me. Apro la porta di casa ed entro. Il soggiorno è immerso nel buio e dal piano di sopra vengono delle voci. Elisa starà guardando un film, o parlando con qualcuno al telefono.

Mi sfilo le scarpe, alla cieca. Recupero il cellulare e appendo giacca e borsa. La luce dello schermo filtra tra le dita e rischiara il pavimento sotto di me. Accanto all’appendiabiti c’è un paio di scarpe da ginnastica da uomo: sono enormi, troppo grandi per essere di papà. Magari le ha dimenticate Carlo l’altro giorno, quando siamo andati a correre.

Attraverso la stanza e scosto la porta che separa primo e secondo piano. Le voci si fanno più alte. Un uomo urla.

Un horror? Un film drammatico?

Imbocco le scale, il cellulare puntato in avanti per illuminare i gradini.

Un uomo ride. «…smetterla?»

Mugolii.

Sono sul pianerottolo. Un letto cigola e la voce rimbomba tra le pareti del corridoio.

«No che non devo smettere, eh?»

La porta della camera di Elisa è socchiusa, una lancia di luce attraversa il pavimento.

I rumori arrivano da lì.

«Ti piace zoccoletta, eh?»

In che razza di film parlano così? Solo in quelli che guardo di nascosto la sera, quando tutti dormono.

Ho la bocca secca. Ho messo la mano libera in mezzo alle gambe, il palmo schiacciato sulla collinetta e le dita tra le cosce. Nonostante i jeans, l’odore di muschio mi solletica il naso. Forse è solo un’impressione. O forse non è il mio odore.

Infilo il cellulare in tasca e l’unica luce che rimane è quella che filtra da camera di Elisa. Mi avvicino rasente al muro. Mi sporgo quel tanto che basta per vedere l’interno della stanza.

Elisa è nuda e c’è un uomo sul letto insieme a lei.

Scatto indietro e mi poggio spalle al muro. Ha portato un uomo in casa nostra? Mamma e papà tirerebbero su un casino, se lo sapessero. La butterebbero fuori di casa.

Fare sesso vale tanti rischi?

Mi faccio scivolare a terra e sbircio. Elisa ha le braccia tirate indietro e i polsi legati alla testiera. È rossa in viso, sudata, gli occhi tirati indietro e le guance gonfie. Ha la bocca piena e dalle labbra spunta un lembo di stoffa. Il busto è teso ad arco e le gambe sono spalancate, con le caviglie legate alle estremità del letto.

Tra le sue gambe c’è un ragazzo con in mano un’asta, sormontata da una semisfera. La usano in alcuni film sconci, per fare quello che io di solito faccio con le dita.

Il ragazzo tiene la testa del vibratore sul clitoride di Elisa. Lei si contorce, mugola. I muscoli si contraggono e si rilassano.

Il ragazzo ride. «Questo era l’orgasmo numero… Ho perso il conto, sai?»

Si abbassa su di lei. Le scosta una ciocca di capelli dall’orecchio e vi poggia la bocca. «Adesso è il mio turno, no?»

Mette il vibratore di lato e si raddrizza. Afferra le cosce di Elisa da sotto e il suo cazzo sparisce lì in mezzo. Elisa muove il bacino verso di lui, le chiappe strette e sollevate dal materasso.

Ho la mano nei pantaloni. Quando me li sono slacciati? Sto massaggiando il clitoride e il calore mi prende la gola. Mordo il labbro inferiore. Sospiro, gemo.

Il ragazzo si blocca. «Hai sentito?»

Elisa lascia andare la schiena sul letto. Annuisce e si gira nella mia direzione.

Se mi trovano così faccio la figura della pervertita. Camera mia è proprio qui accanto, per fortuna: mi alzo con i pantaloni mezzi abbassati e corro via. Entro in camera e mi sbatto la porta alle spalle.

Mi riallaccio i pantaloni.

Fuori dalla porta ci sono dei passi, la voce di Elisa.

«Cazzo, giuro che non ci doveva essere nessu—»

«Calmati. Parlaci e vedi che si sistema tutto.»

Bussano alla porta. «Angela, ci sei?»

Bussano di nuovo. «Angela, ti prego.»

Apro.

Elisa è ancora porpora e indossa solo un accappatoio, che tiene chiuso con le mani. Mi fissa con gli occhi lucidi.

«Angela, io… Era tanto che io e Fabio non stavamo insieme e non abbiamo soldi per un albergo… Non dirlo ai tuoi, ti prego.»

Pensa davvero che lo direi ai miei? La rimanderebbero giù in Calabria per direttissima.

Scuoto la testa. «Certo che non glielo dirò.»

Il suo abbraccio ha un odore muschiato e acidulo.

«Non dirò niente, ma ne vale la pena?»

Si stacca e fa spallucce. Non capisce.

«Vale la pena rischiare così per il sesso? Io non so com’è. Carlo… Carlo mi rispetta.» Storco la bocca.

«Ah, allora voi—»

«Spiegami tutto. Non dirò niente, ma aiutami a capire com’è.»

Il tepore si accede nel petto e scende in mezzo alle gambe. Passo una mano sul retro del collo e la ritiro sudata.

Elisa mi fissa a bocca aperta. «Va bene.»

Scosta lo sguardo, annuisce. «Si può fare.»

Spalanco la porta e le indico l’interno della stanza. Entra e si siede sul letto.

Comincia a spiegare.

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Una brava ragazza – Il Risveglio 01 https://www.cleisende.it/brava-ragazza-racconto/ Fri, 27 Nov 2020 16:08:04 +0000 https://www.cleisende.it/?p=815 Angela non dovrebbe avere nulla di cui lamentarsi: ha una famiglia che la ama, un lavoro, un ragazzo. È la classica brava ragazza. Forse è...

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Angela non dovrebbe avere nulla di cui lamentarsi: ha una famiglia che la ama, un lavoro, un ragazzo. È la classica brava ragazza. Forse è proprio questo il problema.

I fari illuminano una buca larga metà della corsia. Giro il volante. Le sterpaglie sul ciglio della strada scricchiolano sotto le ruote. Torno sull’asfalto.

Accanto a me, Carlo va avanti con le sue lamentele.

«Ho sempre paura di dare fastidio. Va bene che stiamo insieme da cinque anni, ma c’è anche tua cugina ospite in questi giorni. Che dici?» Mi punzecchia il braccio con un dito. «Mi stai ascoltando?»

Mi mordo il labbro: dovrebbe essere in arrivo un’altra buca di quelle profonde. Una pozza buia interrompe il giallo dei fari. La evito.

«Allora?» La voce di Carlo è stridula. Mi punzecchia la spalla.

Perché cavolo non capisce che ho bisogno di concentrarmi quando guido?

Faccio spallucce. «Ti conoscono da quando avevi quattordici anni…»

La strada si piega a gomito e scende. Rallento, cambio la marcia.

«E…?»

La strada torna pianeggiante, le case di avvicinano: la parte brutta è finita. Sospiro.

«Certo che non dai fastidio: sei tipo un figlio per loro.»

Mamma e papà sono fin troppo contenti che sia sempre da noi, anche quando preferirei passare la sera per conto mio. Forse gli dovrei dire di non tornare più e basta. I miei ci resterebbero male, però.

Lancio un’occhiata di lato. È piegato di lato, verso di me, gli occhi fissi sul volante e lo sguardo perso. Un sorrisetto gli increspa le labbra.

«Per me è perché non abbiamo scopato prima del matrimonio. Loro ci tengono a queste cose.»

Mi passa una mano sulla nuca, la fa scendere fino al bordo del colletto, la fa risalire. Le unghie scheggiate graffiano la pelle. Muovo la testa, ma la mano si chiude intorno alla base della treccia.

«Lasciamo nella via dietro.» Ha la voce acuta e si mangia le parole.

Ah, è una di quelle serate in cui mi dimostra come rispetta la mia verginità.

Giro intorno alla palazzina rossa dove vive e giro a sinistra, dentro i parcheggi del supermercato. La luce gialla dei fari si interrompe contro il muretto in mattoni. Li spengo e rimane solo il chiarore del lampione all’entrata dello spiazzo.

Carlo mi lascia la treccia e fa scattare la cintura di sicurezza. Ha la patta dei pantaloni aperta e la t-shirt è alzata, quel tanto che basta per far fare capolino alla punta del cazzo.

Mi poggia un bacio a stampo sulle labbra. Fa scattare anche la mia cintura e con l’altra mano mi accarezza la testa. Ha le labbra semiaperte e il respiro rapido.

«Faccio schifo, lo so. Sono un uomo…»

Mi spinge la faccia sul cazzo. Profuma di pino: almeno si lava e da questa angolazione è solo un pene. Potrebbe essere di chiunque, anche del bel moretto del reparto vendite.

Lecco le labbra e aspiro il calore che viene da sotto: se lo prendessi subito in bocca capirebbe che mi piace e tirerebbe su un casino.

Devo essere paziente. Devo essere santa. Devo essere virtuosa.

Ansima. «Ti prego, angelo mio. Fallo per me.» Preme sulla mia testa e mi schiaccia la bocca sulle palle.

Strofino le ginocchia tra loro. Faccio scendere una mano tra le gambe. No, meglio dopo, a casa. Mi metto in ginocchio sul sedile e apro le labbra.

Carlo mi alza la testa, me lo ficca dentro e mi spinge giù. Mi riempie la bocca e affonda in gola; sotto la pelle liscia la carne pulsa di vita propria.

Chissà se anche il cazzo del moretto è asprigno e sodo come un pomodoro maturo. Sarebbe bello succhiarglielo. Lui magari farebbe scendere una mano lungo la mia schiena, mi alzerebbe la gonna e mi ficcherebbe due dita nella figa. Magari dopo ci metterebbe anche qualcos’altro.

Ho il petto pesante, ad ogni respiro un’ondata di calore mi prende in mezzo alle gambe.

Muovo le labbra su e giù lungo l’asta e gioco con la lingua intorno alla punta. Ho la bocca piena di saliva, rivoli escono dagli angoli e scendono sul mento.

Le mani mi premono ancora di più verso il basso, solletico le palle con il naso. La gola si contrae intorno alla punta: apro la bocca in cerca di aria, ma Carlo spinge ancora. Mi brucia la gola. Emetto un piccolo lamento. Una colata di saliva scivola fuori e si raccoglie sotto il mento.

Carlo sposta le mani. Alzo la testa e prendo una boccata d’aria.

Tiene gli occhi semichiusi e si morde il labbro inferiore. Mi poggia una mano sulla testa, l’altra chiusa intorno al cazzo. Se lo mena su e giù. Strizza gli occhi e un getto di sborra mi colpisce il naso e la bocca, caldo e amaro.

Raccolgo con il dorso della mano le gocce di sperma che mi scivolano sul collo, prima che sporchino la maglietta. Abbasso la gonna e mi raddrizzo. Tiro fuori una salviettina umidificata dal dispenser vicino al cambio e pulisco il pasticcio che ha combinato Carlo, come al solito.

Lui si riallaccia i pantaloni.

«Grazie amore, ci voleva proprio.»

Forse gli dovrei chiedere di ricambiare il favore, per una volta. No, mi risponderebbe che le ragazze per bene non hanno queste esigenze.

«Di niente. Ci sentiamo domani.»

Fa un cenno di saluto e scende. Si allontana nello specchietto retrovisore, sparisce.

La figa brucia. Metto una mano sotto la gonna: le mutandine sono fradice. Che shock sarebbe per Carlo: perfino io mi bagno!

Mi giro: il parcheggio è deserto.

Scosto le mutandine e affondo indice e medio dentro di me. Chiudo gli occhi, muovendo le dita avanti e indietro. Stringo un seno con la mano libera. Contraggo la figa intorno alle dita, mi accartoccio, l’aria abbandona il mio corpo e mi sciolgo.

Apro gli occhi. Prendo una salviettina e asciugo le dita.

Come sarebbe con un’altra persona dentro?

Mi mordo le labbra. Non dovrei pensare a certe cose: le brave ragazze non la danno via prima di sposarsi. Le brave ragazze si conservano per un unico uomo e io sono una brava ragazza.

Sono una brava ragazza, vero?


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Love & Anarchy: quando la normalità è una prigione https://www.cleisende.it/love-and-anarchy-recensione/ Sun, 08 Nov 2020 19:22:34 +0000 https://www.cleisende.it/?p=817 “Love & Anarchy” è prima di tutto un inno alla stranezza, al diritto di andare controcorrente, e solo dopo una storia d’amore. Perché? Quando mi...

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“Love & Anarchy” è prima di tutto un inno alla stranezza, al diritto di andare controcorrente, e solo dopo una storia d’amore. Perché?

Quando mi metto a lavorare a maglia, finisco sempre per beccare roba strana. Una volta è quella cagata di “365 Days”, un’altra è quella mezza delusione di “Qualcuno deve morire”… A questo giro mi sono imbattuta in un’opera abbastanza ben scritta, ovvero “Love & Anarchy” (“Kärlek & Anarki” in svedese).

La serie si fa guardare e, per un volta, ha un finale sensato. Pur essendo graziosa, mi ha però urtato un pelo i nervi in certe parti.

La trama

Sofie Rydman è una consulente aziendale freelance sposata con un noto regista pubblicitario, madre di due figli. La sua è una vita opprimente: quando non lavora, sta badando ai figli o al padre, che entra ed esce dall’ospedale psichiatrico; il marito non la calcola di pezza; gli amici sono i classici conoscenti buoni solo per partecipare alle feste.

I suoi unici momenti di sollievo sono quando si chiude in bagno per masturbarsi, mentre i figli bussano alla porta per chiederle roba. Mi stavo deprimendo per lei.

Sofie inizia a lavorare per una casa editrice sull’orlo del fallimento e qui incontra Max, informatico poco più che ventenne e bello come il sole. Max ha anche una notevole faccia di bronzo: quando sorprende Sofie a masturbarsi in ufficio, la fotografa e le fa credere di volerla ricattare.

Questo primo “incidente” dà il via a una serie di sfide bizzarre, tutte volte a contraddire norme sociali che consideriamo normali: “non urlare senza motivo”, “guarda dove cammini”, “rimani al tuo posto”… Inutile dire che le cose prenderanno presto una svolta romantica.

Uniformarsi o uscire dal guscio?

Il tema principale della serie è il valore della normalità nella nostra società. A causa della malattia del padre, Sofie è sempre molto attenta al rispetto delle norme sociali, troppo attenta. Di fatto si masturba non tanto per desiderio sessuale, quanto per alleviare il peso delle regole che la schiacciano.

L’oppressività delle regole sociali emerge anche in altri personaggi, come nella figlia maggiore e nel padre. La prima è una ragazzina solitaria e matura, che preferisce passare l’intervallo sui libri piuttosto che stare con gli altri. Il secondo è un vecchio comunista che cerca (invano) di combattere l’avanzata della tecnologia. Entrambi soffrono all’idea di adattarsi a “come vanno le cose”, il che li rende quasi dei reietti.

Tutto il telefilm è quindi una difesa dell’essere “strano” e genuino, nonché della necessità di trovare una propria strada indipendentemente da quello che pensano gli altri. Il messaggio è condivisibile di per sé; il problema è un po’ la messa in atto.

“Strano” è sempre bello?

Premetto che questa è un’idea del tutto personale. Condivido il tema centrale del film, specie perché io stessa mi sono sempre collocata tra quelli “strani”. Non mi ha fatto impazzire com’è stato declinato in certi punti, però.

Tutto “Love & Anarchy” è impregnato di una non troppo velata critica ai tempi moderni, a internet, alla perdita di valori. A me queste cose fanno sempre girare un po’ le palle, perché mi sembrano semplificazioni stucchevoli.

I giovani sono sempre mezzi lobotomizzati, troppo concentrati sui loro telefoni per vivere davvero. Se preferisci leggere piuttosto che stare con gli altri, sei un’anima sensibile e unica. Gli psicologi sono sempre individui tristi, che vogliono soffocare la luce speciale che brilla in te. Se vuoi fare vera arte, non puoi attenerti a regole o a piani editoriali.

Dio santo, manca solo il classico: “non ci sono più le mezze stagioni” per avere il quadro completo.

Da scrittrice capisco che spesso si debba semplificare per mandare un messaggio. In questo caso, però, gira tutto intorno a messaggi discutibili, pensati per vincere la simpatia di chi si sente un delicato fiocco di neve in una società cattiva.

Sofie e Max, la strana coppia

Finito l’angolo della polemica, il tema della “stranezza” si declina anche nel rapporto tra Sofie e Max. I due protagonisti sono legati da una bizzarra e ambigua amicizia, ben lontana da quello che le norme sociali prescrivono.

Ci si aspetterebbe che Max dia corda alle avance delle sue coetanee, invece che fissarsi con una donna di vent’anni più vecchia. Dal canto suo, Sofie dovrebbe comportarsi da madre di famiglia responsabile, non lasciarsi incantare dal vigore giovanile del collega. Invece, i due legano sempre di più e in modo tutt’altro che amicale.

Devo dire di aver gradito questo modo di rappresentare il tema, ben più delle cavolate viste sopra. Nella nostra società è considerato normale che un uomo adulto flirti o addirittura scopi con una ragazza più giovane. Il contrario è sempre visto di cattivo occhio, come qualcosa di strano e addirittura inquietante.

Basti pensare alle malignità dette su Brigitte Macron, venticinque anni più vecchia del presidente francese. Melania Trump è venticinque anni più giovane dell’ormai ex presidente, ma la cosa non pare aver altrettanto turbato gli animi.

Il finale

Il finale di “Love & Anarchy” è in linea con il tema della serie, al contrario del finale di “Cuties”.

Il marito di Sofie, stufo delle stranezze della moglie e del suocero, decide di trasferire l’intera famiglia a Londra. Sofie si spegne e pianta in asso sia il povero Max sia la casa editrice, che è più che mai in merda.

Durante una giornata alla spa con degli amici, Sofie capisce però di non volere quella vita. Molla marito e amici, raggiunge la casa editrice e si ricongiunge con il suo amore. Quanto alla casa editrice, si intuisce che potrebbe trovare la salvezza grazie a un manoscritto eccezionale.

Sorvoliamo sull’ottimismo di cui l’ultima frase è pregna. In ogni caso, alla fine i “buoni” rifiutano le convenzioni sociali, scegliendo di seguire la propria strada indipendente da ciò che dicono gli altri. Questo li premia con l’amore, l’amicizia e con nuove soddisfazioni personali. Perfettamente in linea con il tema della serie, se ci si ferma qui: l’importante è non fare un’altra stagione.

Netflix, non girare “Love & Anarchy 2”!

Con tutti i suoi piccoli problemi, “Love & Anarchy” è comunque una serie finita, che non ha bisogno di un seguito. Anzi, i protagonisti hanno raggiunto i loro obiettivi, il tema si è concluso e va bene così. Una seconda stagione potrebbe solo smontare il messaggio della prima stagione.

Alla fine della prima stagione, la casa editrice è ancora messa male come all’inizio e questo è una svista abbastanza grave. Il grande problema della casa editrice è infatti il suo rifiuto di piegarsi a certe convenzioni; guardando il tema del telefilm, questo dovrebbe essere solo un bene, e invece… Per sopravvivere in una seconda stagione, dovrebbe fare i compromessi che ha rifiutato.

Meglio sorvolare, lasciando credere agli spettatori che il romanzo finale è bastato a salvarle il culo.

Quanto a Max e Sofie, in una seconda stagione sarebbero una coppia senza giochi o scommesse (a meno di non voler fare una copia della prima stagione), quindi relativamente normale. Non vedo quali altre tematiche interessanti potrebbero sviscerare.

No no, speriamo che Netflix si fermi finché è in tempo.

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Come funziona un corso di bondage? Mi devo spaventare? https://www.cleisende.it/corso-bondage-consigli/ Mon, 02 Nov 2020 09:00:00 +0000 https://www.cleisende.it/?p=781 Un corso di bondage è un must per chiunque voglia legare il partner con le corde. “No corso, no party” come diceva una vecchia pubblicità....

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Un corso di bondage è un must per chiunque voglia legare il partner con le corde. “No corso, no party” come diceva una vecchia pubblicità. O forse non era così.

Nell’articolo sul BDSM soft, ho citato la questione del bondage con le corde. Le corde sono uno strumento meraviglioso, ma possono causare anche un sacco di casini. Nonostante alcuni siti le indichino come qualcosa di innocuo, richiedono un minimo di manualità e tecnica.

Se l’unica cosa che ti interessa è fare un paio di manette, un tutorial fatto da una persona seria basta. In quel caso, ti consiglio però di comprarti un paio di polsiere imbottite e morta lì. Se invece vuoi imparare i segreti del rope bondage, meglio se inizi a cercare il corso di bondage più vicino a casa.

Perché?

A cosa serve un corso di bondage?

Quando pratichi bondage con le corde, ci sono un sacco di cose che possono andare malissimo.

  • Blocco della circolazione sanguigna. La legatura si stringe stroppo e il sangue non circola più. Nei casi peggiori, di’ ciao ciao alla mano o al piede (a onor del vero, fermarsi per tempo è abbastanza facile. In teoria).
  • Compressione di un nervo. Le corde sono sottili, quindi la pressione si concentra su una superficie limitata ed è più forte. Se posizioni la corda male, puoi quindi premere con forza sui nervi che passano più vicini alla superficie e lesionarli.
  • Lesioni varie. Questo vale anche per altri tipi di bondage, a onor del vero. Movimenti bruschi e posizioni sbagliate aumentano il rischio che la persona legata si faccia male.
  • Asfissia posturale. Se leghi il partner in una posizione nel quale non respira bene, potrebbe soffocare. Oibò.

Un corso di bondage ti insegna come evitare tutte queste belle cose, il che non è male. In più, ti insegna come legare il partner in modo piacevole.

Posso imparare a legare online?

Prima di impacchettare il partner come un salame, è meglio che ti informi a dovere. Spero che sia chiaro. Dato che io stessa ho il braccino corto, posso leggerti nel pensiero la seconda domanda: i tutorial online (gratis) bastano? Per una manetta, sicuro. Sempre che siano fatti da gente seria come i tutorial di La Quarta Corda.

Per appendere la gente al soffitto? Neanche per il cazzo.

Quando si parla di giocare con la vita di una persona, è auspicabile rivolgersi a qualcuno di competente. Qualcuno che abbia dedicato e dedichi tanto tempo all’arte del bondage giapponese, magari facendo perfino viaggi in Giappone per imparare. Qualcuno che ti spieghi dove sbagli e ti faccia vedere come correggere gli errori che fai.

Qualcuno che abbia fatto del kinbaku un lavoro, insomma. E, l’ultima volta che ho controllato, il lavoro si paga.

Inizia a vagliare le scuole di bondage della tua zona e scegli quella con il CV migliore. Chiedi informazioni, iscriviti e segui i consigli nei prossimi paragrafi. Ah, c’è una pandemia in corso, dici? Quello potrebbe essere un problema.

Dato il periodo del cavolo che stiamo vivendo, i corsi online in livestream tenuti da scuole serie sono un buon compromesso. Sottolineo in livestream per una ragione ben precisa: consentono di interagire con l’insegnante in caso di dubbi, avvicinandosi il più possibile a quelli dal vivo. Non sono la stessa cosa, ma meglio di un calcio nel sedere.

Posso partecipare anche da solo?

Il bondage si pratica in due o più. In compenso, puoi partecipare a un corso di bondage anche da solo, a patto di avvertire prima. Le scuole che conosco mettono in contatto l’allievo con un aspirante “bunny”, ovvero una persona disposta a farsi legare durante il corso. In questo modo possono partecipare anche i single.

Ovviamente, l’allievo non si deve azzardare a mettere le mani addosso al bunny, se non nei modi previsti dal corso. Niente toccatine moleste, niente allusioni sessuali, niente libertà eccessive. Se partecipando al corso di bondage sviluppi una simpatia ricambiata per il bunny, siete liberissimi di scambiarvi il numero e uscire insieme. Altrimenti, giù le mani.

Il problema dei single è l’esercizio, in realtà. Una volta finito il corso, per acquisire la tecnica bisogna ripetere gli stessi movimenti il più possibile. Solo così si diventa davvero fluenti nei movimenti. Funziona un po’ come nelle arti marziali. Per ovviare anche a questo problema, sono nati degli eventi specifici.

Rope jam e training sessions

Quando non c’è una pandemia in corso, alcune scuole di bondage organizzano incontri settimanali per esercitarsi. Gli incontri prevedono un piccolo contributo economico, sia per chi lega sia per chi si fa legare, e sono rivolti a tutti.

Le sessioni di training non sono corsi frontali veri e propri. In caso di dubbi, però, puoi sempre chiedere consiglio ai docenti o ai rigger più esperti. I bunny non ti cascheranno tra le braccia da soli, ma l’ambiente è abbastanza rilassato: sii educato e difficilmente avrai problemi per trovare una “cavia”.

Vale la pena precisare che queste sessioni non sono play party, quindi vale quanto detto per i bunny che si mettono a disposizione durante i corsi.

Neanche le rope jam sono play party, anche se il carattere didattico è un po’ meno marcato. Si tratta di eventi più grandi delle training sessions, duranti i quali si mangia, si parla di bondage e ovviamente si lega. Sono anch’esse ottime occasioni per fare conoscenza e per esercitarti, anche se non avrai docenti che girano per correggerti e sono meno frequenti. Anche in questo caso, l’ingresso è subordinato a un piccolo contributo.

Cosa mi serve per partecipare al corso?

Per partecipare al corso hai bisogno di questo abbigliamento:

  • calze (negli spazi dedicati si gira senza scarpe);
  • pantaloni comodi e non troppo larghi;
  • magliette comode e non troppo larghe;
  • reggiseno senza ferretti.

Non si sta nudi durante le lezioni: non è un play party. La parola d’ordine è comunque comodità, quindi serve un abbigliamento che non dia fastidio con le corde e che faciliti le legature.

Per quanto riguarda il materiale da usare durante il corso, invece, ti servono:

  • 6 corde lunghe 8 metri e con un diametro di 5-6 millimetri, realizzate in canapa (lavorata) o iuta. Nel dubbio, puoi comprare i set direttamente dalla scuola o in negozi online convenzionati;
  • un paio di forbici di sicurezza, come quelle che si trovano nelle cassette del pronto soccorso;
  • una coperta.

Un consiglio personale: se hai intenzione di legare un uomo o una donna molto alta, prendi un set da 10 metri.

Devo aspettarmi cose zozze?

Niente cose zozze durante il corso di bondage, tranquillo. Si tratta di un corso, quindi il taglio è didattico e professionale. Il professore spiega la teoria dietro una certa legatura, fa vedere come si fa e solo dopo gli allievi provano a propria volta. Durante la pratica, il docente passa da tutti gli allievi e controlla come sta andando.

No, non è particolarmente sexy.

La mia esperienza

Anche se non lego da una vita, ho un’ottima opinione dell’arte del bondage con le corde e ho anche imparato qualcosa.

Ho partecipato a qualche corso in qualità di bunny. Non ho mai avuto problemi con gli allievi che mi hanno legata, che sono stati sia uomini sia donne. La cosa divertente è che ho imparato qualcosa anche in questa veste, anche se partecipare da bunny non è paragonabile a seguire un corso da rigger.

A inizio 2017, ho seguito il corso base intensivo di Rope Tales in veste di rigger. Il mio bunny era Mela, il mio allora neo fidanzato e attuale compagno. Il corso è stato interessante e con tanto di video per ripassare a casa, dato che non si possono fare foto o video durante le lezioni.

Ho riscontrato solo due problemi:

  • Mela è troppo alto per farmi da bunny, dato che io sono alta meno di un metro e sessanta e lui più di un metro e ottanta;
  • imparare a legare bene richiede davvero tanto esercizio, motivo per cui ho dovuto mettere da parte tutto.

Per il momento, almeno.

L'articolo Come funziona un corso di bondage? Mi devo spaventare? proviene da Cleis Ende.

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Lo scambio – Racconti Erotici https://www.cleisende.it/scambio-racconti-erotici/ Mon, 26 Oct 2020 06:00:00 +0000 https://www.cleisende.it/?p=755 Anna e Matteo si conoscono da quando erano ragazzini e non hanno mai fatto sesso con altri. Dopo anni di matrimonio e due figli, la...

L'articolo Lo scambio – Racconti Erotici proviene da Cleis Ende.

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Anna e Matteo si conoscono da quando erano ragazzini e non hanno mai fatto sesso con altri. Dopo anni di matrimonio e due figli, la noia inizia però a insinuarsi nella loro vita di coppia. Lo scambismo è la soluzione? Un racconto erotico sullo scambio di coppia visto da due “vergini”.

I gradini sono finiti e per raggiungere la porta del club devo per forza mollare il corrimano. Cadrò con la faccia a terra, ne sono certa. Perché cavolo mi sono fatta convincere a mettere scarpe così alte? Perché mi sono fatta convincere a venire qui?

Piagnucolare non serve a niente. Prendo un profondo respiro e faccio un passo in avanti. Il tallone dondola in equilibrio precario sul tacco, si raddrizza. Faccio un secondo passo senza cadere su Matteo, che sale gli ultimi gradini dietro di me e mi raggiunge.

Mi prende per mano. «Sei bellissima.»

Sorride, il disgraziato.

Alessio e Giorgio avranno cenato? Che razza di madre abbandona i propri figli sabato sera per andare in un locale per scambisti?

Sfilo la mano da quella di mio marito. «Lo dirai anche quando mi vedrai trombare con uno sconosciuto?»

Il sorriso tremola. «Vedrai che ci divertiremo.»

Ma certo! Tua moglie bacia il collega? Accompagnala a fare tutto il resto! Questa storia è ridicola.

Teo apre la porta. Il sorriso si è dissolto, mi guarda indeciso. «Andiamo?»

Questa storia è ridicola, ma in fondo io e Matteo abbiamo fatto un sacco di cose ridicole insieme. Ci daremo un’occhiata attorno e, una volta che si sarà reso conto di quanto sia assurda l’idea di “aprirci” ad altre persone, ce ne torneremo a casa. Semplice, no?

«Va bene, andiamo.»

L’anticamera del locale è immersa in una luce rossa. Di fronte a noi ci sono piccolo corridoio e un bancone a semicerchio sulla sinistra, popolato da fogli, foglietti e un computer del secolo scorso. Oltre il computer c’è un uomo allampanato e con una massa di capelli bianchi, che scribacchia su un quaderno.

«Benvenuti.» Strizza gli occhi. Fruga tra i fogli, ne tira fuori un paio di occhialetti e se li infila con una mano sola. «Siete nuovi? Per entrare serve la tessera.»

«Sì.» Matteo sfila il portafoglio dalla tasca dei pantaloni. «Amore, mi passi la tua carta d’identità?»

Una nuova tessera da mettere tra quella del club della maglia e la Fidaty dell’Esselunga.

Infilo la mano in borsa, tocco le chiavi, il rossetto, il bordo frastagliato dei preservativi. Niente carta d’identità. Eppure l’ho presa prima di uscire di casa.

Sfilo la borsa e do le spalle a Matteo. La spalanco: la copertina trasparente del documento riflette le luci rosse. Eccola!

Entra una coppia. Lei è carina, piccola e con i capelli scuri, così piccola che arriva appena al petto del suo accompagnatore, che la tiene per mano come se si stesse portando dietro una bambina. Si avvicinano e dall’ombra emergono gli occhi neri e le labbra carnose piegate in un sorriso di lui.

Dio mio, che figo: sembra un attore. Allora non è vero che in questi locali girano solo panzoni che ti guardano da lontano con aria allupata.

«Anna?» Matteo mi scuote per la spalla.

Ah già, la carta d’identità. Gliela allungo.

Lo sconosciuto e la sua accompagnatrice si avvicinano, le tessere già alzate. L’uomo dietro il bancone lancia loro un’occhiata, piegato sui documenti miei e di Matteo.

Fa cenno con la testa verso il corridoio. «Avete rinnovato il mese scorso, vero? Andate, andate.»

Frequentatori abituali.

Lo sconosciuto si infila la tessera in tasca. «Grazie, a più tardi, Gio.»

Ha una voce profonda, che scende dalla testa fino al bassoventre. Si muove con l’andatura di un gatto, o forse di un felino molto più grosso e pericoloso. Anche il sorriso che mi lancia, con gli occhi stretti e un angolo della bocca più in alto dell’altro, ricorda quello di un predatore.

Fa cenno verso la porta che dà sul locale vero e proprio. «Noi ci vediamo dentro.»

Dentro. Nel covo di depravati.

Matteo annuisce. «Sì. A dentro.»

Mio marito guarda me e guarda nella direzione verso cui i due si sono allontanati. Si infila le mani in tasca, come fa sempre quando vuole fingere nonchalance. Le tira fuori e incrocia le braccia sul petto.

«Beh, lui sembra un bel tipo. Ti piace, no?»

Cos’è quella nota stridula nella sua voce? Gelosia? Davvero? Dopo aver passato due settimane a convincermi a venire in un locale per scambisti?

«Dillo che ti piace: ti ho portato io qui…»

E insiste pure.

Matteo arriverà al mento dello sconosciuto e di sicuro quelle spalle se le sogna. La cintura dei suoi pantaloni affonda nella carne e due piccole maniglie sbucano al di sopra. Ne è passato di tempo da quando poteva mangiare tre pizze da solo senza mettere un etto.

«Sì, mi piace. Contento? Anche lei è carina.» Sistemo la borsa in spalla. «Ti piacerebbe…»

Ti piacerebbe scoparci? La domanda rimane sospesa tra noi.

Matteo fa spallucce. «Se vuoi.»

Neanche per idea: diamo un’occhiata e ce ne torniamo a casa.

«Ecco le vostre tessere e i documenti. Si paga all’uscita, insieme ai cocktail.» L’uomo dietro il bancone sorride. «Passate una buona serata.»

Se va come dico io, sarà soprattutto una serata breve.

Teo prende le tessere e guarda la porta dietro la quale è sparito lo sconosciuto. «Quel tipo si sarà scopato un sacco di donne.»

«Immagino di sì.»

«Io ho scopato solo con te in tutta la mia vita.»

Mi guarda con gli occhi sgranati, come se alle mie spalle ci fosse un mostro o chissà quale altra creatura strana. Quand’è l’ultima volta che l’ho visto così spaventato? Forse solo quando è nato Alessio.

«E io ho fatto l’amore solo con te, Teo. Non era questo il punto?» Lo prendo per mano. «Se vuoi possiamo andare via, ma credi davvero che… boh? Credi davvero che ti sostituirò o ti amerò di meno perché non hai scopato più donne?»

Povero il mio amore. Povero il mio amore insicuro.

Mi passa una mano tra i capelli. «Hai ragione. Scusa, è stato un pensiero stupido.»

Scende sulla guancia. Piego la testa e il suo tocco morbido passa sul collo. Brividi scivolano lungo la schiena, un accenno di calore si spande nel bassoventre.

La sua voce è ridotta a un sussurro. «Possiamo restare? Vuoi andare via?»

Sarebbe l’occasione ideale per tornare a casa, levarmi queste dannate scarpe e guardarmi l’ultimo episodio di Breaking Bad. E non scoprire mai cosa c’è nel covo dei pervertiti.

Scuoto la testa. «No, rimaniamo pure. Però diamo giusto un’occhiata.»

***

Matteo si guarda attorno, la mano stretta attorno alla mia tanto da farla formicolare.

La stanza è troppo piccola e troppo vuota. Sulla sinistra c’è un divanetto con una coppia. Lui è poggiato contro lo schienale, la testa sulla spalla della compagna e qualcosa tra le gambe. La luce cattura una coda di cavallo che ondeggia avanti e indietro all’altezza del cavallo; delle spalle e una schiena femminili spariscono nell’ombra.

Qui il pudore non esiste proprio.

Sulla destra c’è un bar. Dietro il bancone, una ragazza con la treccia serve una donna bruna con indosso un vestito rosso. La bruna si gira verso di noi e ci fa l’occhiolino leccandosi le labbra. Bocca troppo sporgente per essere vera, zigomi enormi: non proprio il mio tipo. E neanche quello di Matteo. Spero.

Possibile che siamo solo noi? No, il corridoio procede verso una pesante tenda rossa. Probabilmente la festa vera e propria è da quella parte.

«Ehi, vi unite a noi? Siamo qui!»

Chi ha parlato? È una voce femminile.

Lo sconosciuto e la sua compagna sono seduti all’estremità del bancone, seminascosti dietro a un vaso. Lei sventola una mano e si sporge nella nostra direzione, un grosso sorriso stampato in faccia.

Matteo stiracchia un sorriso. «Certo, perché no?»

Perché non vuoi davvero immaginarmi mentre mi faccio sbattere da quel tipo. E neanch’io: è troppo allettante.

I due si tengono per mano, una coppietta di piccioncini come quelle che si vedono in giro per il centro la domenica pomeriggio. Se li incrociassi al supermercato, non direi mai che sono scambisti. Il bancone davanti a loro è vuoto e la barista sta lavando dei bicchieri, poco lontano. Quindi non hanno ordinato niente: ci stavano aspettando.

Vogliono davvero fare sesso con noi? La cosa è disturbante. Forse è per questo che il mio bassoventre si contrae così.

Un gemito dietro di noi: dev’essere l’allegro terzetto. Magari anche loro hanno cominciato la serata così, parlando al bar e fantasticando l’uno sull’altro. Che lo sconosciuto stia fantasticando su di me? Difficile: è troppo impegnato a guardare la sua compagna per pensare a me o a chiunque altro.

Matteo gli allunga la mano. «Non ci siamo ancora presentati. Io sono Matteo e questa è mia moglie Anna.»

I due si scambiano un sorriso.

Lo sconosciuto ricambia la stretta. «Piacere. Luca ed Erica. Prima volta, vero?»

Difficile scambiarci per depravati navigati. Ai loro occhi saremo come Cappuccetto Rosso di fronte al Lupo travestito da nonna. Due fessacchiotti da spolpare vivi.

Faccio cenno di sì. «Voi invece siete…»

Erica sorride. «Veniamo qui più o meno due volte al mese.»

Quella boccuccia sorridente avrà succhiato più uccelli di quelli che io ho visto in tutta la mia vita, porno compresi. E lui? Con quante donne sarà andato a letto? È probabile che non le ricordi neanche tutte.

Scende dallo sgabello. «Stavamo pensando di entrare. Vi unite? Potremmo chiacchierare un po’.»

Sì, “chiacchierare”.

Luca mi guarda con aria assorta, come se stesse cercando di capire qualcosa. Magari mi sta immaginando nuda, in ginocchio come la donna al divanetto. Un brivido mi scorre lungo la schiena, in mezzo alle chiappe, tra le gambe.

«Che ne dici, amore?» Teo fa cenno verso la tenda rossa. «Andiamo?»

Solo una chiacchierata. Andrà tutto bene.

«Va bene.»

Luca guarda Matteo dall’alto, con le mani in tasca e un lieve sorriso stampato in faccia. Accanto a lui, sembra ancora più alto e grosso: quelle sono le spalle di uno che passa i sabati in palestra, non alle prese con carrelli della spesa e bambini.

«Teo, mi permetti di rubarti la moglie?» Gli fa l’occhiolino. «Solo fino al divanetto.»

Mi porge i braccio. Sotto la camicia ci sono solo muscoli duri e caldi. Ogni volta che abbraccio Matteo le dita affondano nello strato di ciccetta che ha messo su negli ultimi anni.

Erica prende Matteo per un braccio. «Mi accompagni tu?»

«C-certo.»

Luca avanza a grandi passi oltre il bar, dentro la stanza principale. I passi di Teo sono incerti dietro di me.

I mugolii e i gemiti fanno da accompagnamento alla musica che esce dagli altoparlanti. La stanza è tappezzata di pannelli in legno e intervallata da pilastri, in mezzo ai quali ci sono divanetti grandi e piccoli. Su buona parte dei divanetti si muovono coppie e terzetti e perfino quartetti.

Passiamo accanto a un uomo sdraiato sul divanetto, la faccia coperta dalle chiappe di un altro uomo e un terzo accucciato tra le sue gambe. Una donna osserva la scena con un bicchiere in mano, sorridente. Più in là un ragazzo sta in piedi accanto a un pilastro e regge una rossa, aggrappata a lui braccia e gambe.

Certo che qui il pudore non esiste proprio.

Luca si infila in una rientranza con un tavolino e un divanetto a ferro di cavallo.

«Ci mettiamo comodi?»

La parete copre gli altri divanetti. Ci ha cercato un posto riparato. Un posto riparato per scopare. Dio mio, ho la bocca piena di sabbia. Non sarebbe stato male prendere un cocktail: almeno avrei potuto affogare l’imbarazzo nell’alcool.

«Perfetto.» Mi siedo sul bordo del divanetto. Dovrò dire loro che però siamo qui solo per parlare, che non voglio fare niente e che vogliamo solo dare un’occhiata.

Matteo si siede dall’altra parte del tavolino, accanto ad Erica. Lei gli poggia una mano sulla coscia con fare noncurante, la muove su e giù.

Dovrei essere gelosa. Insomma, una donna sconosciuta sta mettendo le mani addosso a mio marito. Eppure il bassoventre si contrae in uno spasmo di eccitazione.

Non è normale. Non sono normale.

Il cuscino affonda sotto il peso di Luca. Poggia un braccio sullo schienale alle mie spalle, l’altra mano abbandonata sulle gambe accavallate.

«Mai fatto niente con altre coppie, quindi.»

Faccio no con la testa e Matteo mi imita. Le sue guance sembrano rosse, ma è difficile dirlo con questa luce. Mi guarda, forse si aspetta che dica qualcosa, che le dica di allontanarsi da lui. La mano di Erica sale lungo la sua gamba, gli occhi fissi su di me.

Se non la fermo ora, finirà per scoparsi mio marito. E io finirò per scoparmi il suo.

«Siete praticamente vergini. Che carini!» Le sue dita si chiudono attorno al pacco di Teo. «Non vi preoccupate: c’è sempre una prima volta.»

Il braccio di Luca si sposta sulle mie spalle. «Dici bene, mia cara.»

La mano si sposta sul mio braccio, le unghie lo accarezzano giù fino al gomito e ancora più in basso. La mano di Luca si ferma sulla mia, poggiata sulla coscia. Il suo corpo è caldo, teso verso di me.

Giro la testa e quegli occhi color carbone sono a pochi millimetri dai miei. Il suo alito sa di menta e le labbra socchiuse sono un invito a fare io la prima mossa. Se adesso lo bacio, starò autorizzando Teo a fare lo stesso con Erica, gli starò dando il mio permesso.

Le labbra di Giorgio dell’amministrazione erano screpolate e sapevano del caffè delle macchinette. L’unico uomo che ho baciato al di fuori di Teo e non era neanche granché.

Che sapore hanno i baci di uno sconosciuto?

La bocca di Luca è morbida, si muove piano sulla mia. La lingua mi sfiora le labbra, gioca e mi penetra ancora più a fondo. Il calore del bacio scende fino al bassoventre, mi fa tremare.

Non avrei dovuto.

Di più, voglio di più.

La bocca di Luca si chiude, si stacca da me.

Matteo è attaccato ad Erica, le mani poggiate sui suoi fianchi, gli occhi chiusi. Muove le labbra su quelle della donna, di tanto in tanto lascia intravedere un pezzetto di lingua. È così anche quando bacia me? Forse qualche volta dovremmo filmarci.

Erica si gira verso di me. «Posso assaggiare tuo marito?»

«Assaggiare… Ah!» Vuole succhiarglielo. È da una vita che non faccio pompini a Teo e adesso uno sconosciuta mi chiede di succhiarglielo.

Lui mi guarda, in attesa che decida cosa fare. Come se di fatto non fosse già tutto deciso. Come se, in fondo in fondo, non avessi sperato che finisse così, nonostante tutte le mie proteste.

Annuisco. «Sì… assaggia pure.»

Erica slaccia la cintura di Matteo e libera l’erezione.

Luca mi sfiora la coscia. «Caro Matteo, posso assaggiare tua moglie?»

Vuole leccarmela?

Matteo alza gli occhi dalla donna inginocchiata tra le sue gambe, tentenna. «Certo.»

Erica gli srotola un preservativo sull’uccello e la sua faccia sparisce tra le cosce di mio marito. Glielo succhierà molto meglio di quanto io abbia mai fatto: forse avrei dovuto dire di no.

Luca si sposta davanti alla scena. Si sfila la giacca e slaccia la camicia con la rapidità di chi ha ripetuto quel gesto centinaia di volte. La apre sui pettorali scolpiti e il ventre piatto da frequentatore abituale di palestre. Ci ho azzeccato con la mia piccola analisi: è davvero un gran figo. Chissà com’è toccare un corpo del genere. Ah già, adesso posso farlo. Si aspetta che lo faccia.

Passo l’indice sulla linea che divide i pettorali, scendo sugli addominali. La pelle è tesa sopra i muscoli, un blocco di marmo bollente e liscio.

Che strano toccare un uomo senza peli, senza pancia, senza unghiate di gatti o lividi lasciati dai giochi al parco.

Apro la mano, poggio tutto il palmo e scendo. La mano si blocca contro la cintura. La allontano e la poggio sul divanetto.

Luca si inginocchia di fronte a me, gli occhi scendono al livello dei miei, a quello delle mie tette, del bassoventre. Poggia le mani sulle cosce e solleva il vestito.

Dio mio, chissà se con questa luce si vede la cellulite. Forse dovrei fermarlo, dirgli che non importa e va bene così, che―

Affonda il naso tra le mie cosce, aspira l’odore del mio sesso ed espira con forza. Una scarica di piacere mi fa tremare da testa a piedi.

Alza lo sguardo su di me, da sopra la curva del monte di venere. «Vuoi che te la lecchi?»

Matteo ha la testa abbandonata sullo schienale del divano, gli occhi socchiusi e la bocca aperta, che si muove in parole mute. Fa quella faccia anche quando sono io a succhiarglielo? Non ci ho mai fatto caso.

Il respiro di Luca mi solletica il clitoride, le sue dita sfiorano la fessura e giocano con le piccole labbra.

«Allora?»

Tanto, ormai…

«Sì. Sì, ti prego.»

Sorride e scosta le mutandine. Poggia un bacio leggero sul clitoride e il mondo vacilla. Tira fuori la punta della lingua e la passa a lato della mia perla, sopra, di nuovo di lato.

Un lieve solletico sale dal bassoventre, si diffonde e arriva alla testa. Mi lascio andare all’indietro, sospiro. Chiudo gli occhi e rimane solo la lingua che gira attorno al mio clitoride e le dita che si insinuano dentro di me.

Certo che fa caldo qui dentro. Tiro la scollatura del vestito, nel tentativo di liberarmi dalla stoffa che mi strizza e si arrotola in pieghe.

La lingua passa sul clitoride e il mondo si fa bianco. Inarco la schiena e contraggo le dita sulla stoffa del divanetto. Mi mordo le labbra per non urlare: non devo, non si fa.

Ma perché? Qui non ci sono vicini da disturbare. Lascio andare un lungo gemito strozzato.

La lingua aumenta il ritmo, il piacere sale.

«Dio mio…» La voce è roca, non sembra neanche mia.

Luca mi strizza la coscia, muove le dita avanti e indietro con forza. La sua lingua tintinna il clitoride su e giù, mi avvolge in una bolla di calore e piacere che mi mozza il respiro.

Affondo la mano tra i capelli lisci e un po’ appiccicosi di gel.

Strabuzzo gli occhi e il mio grido inarticolato risuona in tutto il locale.

Matteo mi guarda, seduto sul divanetto e con Erica poggiata contro il fianco. Si leva la camicia e i pantaloni e si avvicina a me nudo; le maniglie dell’amore ondeggiano a ogni passo e i peli del pube sono attorcigliati in un cespuglio informe, in mezzo al quale svetta il preservativo rosa brillante.

Mette una mano sulla spalla di Luca. «Permetti?»

Luca sfila le dita da me. «Ci mancherebbe.»

Matteo si toglie il preservativo e si abbassa. Le sue labbra sanno di fragola e di sesso. Affonda la mano tra i miei capelli e mi stringe a sé. Con l’altra mano scende lungo la schiena e abbassa la cerniera dell’abito. Da quanto tempo il suo tocco non mi faceva rabbrividire così?

Annaspo tra le sue labbra, affondo le dita nella schiena morbida e accogliente. Lo lascio e mi alzo per spogliarmi, allontano l’abito con un calcio.

Luca e Matteo ed Erica mi guardano. Ci sono perfino un paio di sconosciuti in piedi vicino al muro. Guardano il reggiseno a balconcino e le mutandine trasparenti e le scarpe con il tacco. Guardano me.

Dovrei vergognarmi. Allora perché il calore cresce invece di diminuire?

Erica si accosta a me. Mi sfiora il seno e poggia l’altra mano sulla mia nuca. Nella luce incerta del locale i suoi occhi sono neri, blu, grigi. Il suo alito profuma di fragola e le sue labbra sono dischiuse, in attesa. Chissà se sono morbide come sembrano.

Poggio un bacio leggero sulla sua bocca. Le punte delle nostre lingue si incontrano a metà strada, si sfiorano, si intrecciano. Il sapore della fragola mi invade la bocca, dolce e un po’ chimico.

Erica si stacca. Mi prende per le spalle e mi gira. «Poggia le mani sullo schienale e piegati in avanti.»

Lo faccio.

Lei afferra il cazzo di Matteo e lo trascina in avanti. La punta sfiora la mia figa, la solletica, la penetra.

Scopata da mio marito, quindi, anche se con il pubblico e l’aiuto di un’altra donna. Può andare come inizio.

Matteo mi prende per i fianchi e affonda tutto dentro di me. Il calore familiare del suo uccello mi riempie fino alle viscere, il mio pezzo mancante. Mi accarezza la schiena e sta lì, immobile come se si stesse godendo anche lui il mio tepore.

Erica slaccia i pantaloni di Luca, in piedi accanto a me. Il cazzo salta fuori dalle mutande, scuro e privo di peli come quelli che si vedono nei film. Come si fa ad avere una pelle così liscia proprio lì?

Il sorriso di Erica è a un soffio dalla mia faccia. «Ti andrebbe di provare il cazzo di mio marito?»

Due uomini insieme? Forse è troppo… O forse no. Le do un bacio a stampo e annuisco.

Luca guarda con un mezzo sorriso Erica che gli srotola sopra un preservativo giallo limone.

Matteo esce pian piano da me e torna dentro con una botta. Sobbalzo: da quando si è messo a fare i dispetti, lui che di solito è tutto tenero e dolce? Mi dà un’altra botta e una scarica di piacere mi attraversa da capo a piedi, strappandomi un gemito.

Erica mi accarezza la nuca e piccoli brividi si uniscono alle scosse che provengono dalla mia figa. Guida la mia testa di lato e il profumo di arancia mi invade il naso. Il cazzo di Luca è di fronte a me, retto dalla mano di sua moglie, la punta rivolta verso la mia bocca. Avrà la stessa consistenza di quello di Matteo?

Dischiudo le labbra e la punta dell’uccello impacchettato avanza. Il suo glande è allungato e sottile. Passo la lingua sul bordo arrotondato, sporgente e spesso. Sembra la cappella di un fungo. Uno strano fungo perverso.

Ridacchio e Luca sospira sopra di me, affonda un pochino di più.

Matteo mi dà uno schiaffo sulla chiappa destra. «Dai amore, fammi vedere come lo prendi tutto in bocca.»

Da quand’è che Teo parla in questo modo? Starà imitando qualche filmetto porno di quelli che guarda “di nascosto”. Va bene, sarebbe un peccato deludere mio marito.

Spalanco la bocca ed Erica mi spinge la testa in avanti. L’odore dell’arancia sovrasta quello acidulo del suo sudore, che scorre in grosse gocce sull’inguine e imperla lo scroto. Il cazzo di Luca mi blocca la lingua, scivola tra i denti e mi arriva in gola. Dio mio, speriamo di non morderlo per sbaglio.

I colpi di Matteo aumentano di intensità e Luca muove i fianchi avanti e indietro.

Non sono che un grumo di carne e di piacere.

Qualcosa di umido e morbido mi sfiora il clitoride: la lingua di Erica. Dev’essere accucciata tra me e Matteo.

Contraggo la figa attorno al cazzo di mio marito, il mio amatissimo Teo, Dio mio quanto lo amo. L’orgasmo sale e vengo con un mugolio soffocato.

Luca poggia la mano sulla mia nuca e spinge in avanti, avanti, avanti. Non ce la posso fare a prenderlo tutto in bocca, la gola si sta già contraendo, mi manca l’aria e il buio è pieno di macchie bianche.

I testicoli lisci mi sfiorano il mento. Ce l’ho fatta.

I colpi di Matteo mi spingono verso Luca e il suo cazzo e la lingua di Erica che gira attorno al mio clitoride e mi fanno fremere.

Dio mio, sto per venire di nuovo.

Strabuzzo gli occhi e mi accartoccio. Stringo così forte che il cazzo di Teo sguscia fuori con uno schizzo caldo. È venuto, è il suo sperma? No, è qualcosa di mio. Devo aver fatto una di quelle cose che si vedono nei porno, in cui lei inizia a schizzare come un idrante.

E io che pensavo fossero solo stronzate.

Luca scivola fuori di me. Che strano essere così vuota.

Mi lascio andare sul divanetto.

Matteo mi accarezza una guancia e la sua mano è gelida. O forse sono io ad essere bollente.

«Stanca, amore?»

Sorrido. «Un po’.»

Luca mi dà una strizzatina alla spalla. «Che ne dici di riposare mentre ci dedichiamo all’altra signora?» Ammicca. «La notte è ancora lunga.»

***

Chiudo la porta con una culata e poggio i sacchetti della spesa a terra.

«Alessio, vieni a darmi una mano!»

La porta di camera sua si apre e fa capolino con aria scocciata. Il ciuffo è diventato fuxia: quando si è andato a tingere? Bah, avrà usato una di quelle tinte che vendono al supermercato, fai da te.

«Allora, ti muovi?»

Alza gli occhi al cielo. «Sì, sì, che fretta c’hai? Arrivo.»

Si avvicina con passo strascicato e le mani nella felpa. Ne tira fuori una giusto per prendere il sacchetto più vicino e si allontana con l’altra ancora infilata in tasca.

Mamma mia, ma a quattordici anni ero anch’io così?

Molla il sacchetto a terra e torna da me. E adesso che c’è?

«Oh, vi siete persi questo.» Tira fuori dalla tasca un biglietto spiegazzato.

Cavolo, sono i numeri di telefono di Erica e Luca: deve essermi caduto l’altra sera. Meno male che non c’è scritto niente di compromettente.

«Grazie.» Lo infilo in tasca. Meglio copiare i numeri sul cellulare, prima di perdermelo di nuovo.

Alessio fa cenno col mento alla mia tasca. «Chi sono?» Stringe gli occhi. «Non sono nella vostra compagnia di vecchi.»

Gli avrò fatto uno sguardo da pesce lesso, ma non gli sfugge proprio niente. Dannazione.

Ho la faccia bollente e Alessio mi guarda con aria concentrata. Devo inventarmi una balla plausibile, in fretta. Non è difficile, dai.

«Sono…» Mi schiarisco la voce. «Erica è appena arrivata nel club della maglia. Luca è suo marito. Sono amici nuovi.»

Chissà se Erica sa lavorare a maglia. Ha un sacco di talenti, quello è certo.

Alessio fa spallucce. «Club della maglia. Oh, che noiosi che siete.»


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“Qualcuno deve morire”: l’omosessualità è solo la punta dell’iceberg https://www.cleisende.it/qualcuno-deve-morire-recensione/ Mon, 19 Oct 2020 14:31:28 +0000 https://www.cleisende.it/?p=766 Tutti coloro che parlano di “Qualcuno deve morire”, la miniserie Netflix uscita il 16 ottobre 2020, si concentrano sul tema dell’omosessualità nella Spagna di Franco....

L'articolo “Qualcuno deve morire”: l’omosessualità è solo la punta dell’iceberg proviene da Cleis Ende.

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Tutti coloro che parlano di “Qualcuno deve morire”, la miniserie Netflix uscita il 16 ottobre 2020, si concentrano sul tema dell’omosessualità nella Spagna di Franco. L’attenzione dei più si è focalizzata sulle difficoltà di essere gay in una società fascista. Secondo me, è una lettura dell’opera riduttiva.

Il tema dell’omosessualità fa da motore alle vicende della miniserie ed è centrale, questo è vero. L’opera va però molto oltre e affronta i drammi di una società repressiva a tutto tondo.

La trama

“Qualcuno deve morire” (“Alguien tiene que morir” nella versione spagnola e “Someone has to die” titolo internazionale) è ambientata nella Spagna degli anni ‘50.

Per chi masticasse poco la storia, siamo nel pieno della dittatura fascista di Franco, durata dal 1936 al 1975. Tra le tante amenità che hanno caratterizzato questo regime, c’è stata anche una condanna feroce dell’omosessualità maschile e femminile. “La Spagna deve rimanere pura”, ripetono più volte alcuni personaggi della miniserie ed è stato effettivamente uno dei punti essenziali del regime.

Tornando alla miniserie, Gabino è il rampollo di una ricca famiglia spagnola. Il padre ha un incarico governativo e la madre è un’immigrata messicana, trasferitasi in Spagna per amore. La nonna è la matrona che porta avanti la casa in modo rigido, secondo i dettami della dittatura. Poco stupisce che Gabino non abbia una grande considerazione per la Spagna, dalla quale è scappato ormai da 10 anni per trasferirsi in Messico.

Tutto inizia quando l’ormai adulto Gabino ha la disgraziata idea di tornare in Spagna, anche se solo temporaneamente. Quel che è peggio, torna portando con sé un bellissimo ragazzo messicano, Lazaro.

I due sono molto legati, tant’è che hanno in programma un viaggio in Europa insieme, prima di tornare in Messico. In più, Lazaro è un ballerino di danza classica. Basta questo per bollare i due come omosessuali, con tutto ciò che ne può conseguire nella Spagna franchista.

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Omosessuale? No, “sensibile”

Gabino è effettivamente gay e questo lo si capisce fin dalle prime battute, specie quando entra in scena il vecchio amico Alonso. È chiaro che c’è stato qualcosa tra i due, prima che Gabino partisse, anche se Alonso fa di tutto per negarlo e tenerlo nascosto.

Scelta forse non così stupida, dato l’andazzo nel Paese.

Il problema non è solo con chi i personaggi vanno a letto o vorrebbero andare, però. Il problema è quanto si adattano al modello di uomo o donna promosso dalla dittatura. La storia non parla della difficoltà di essere gay sotto Franco. La storia parla della difficoltà di essere se stessi e “umani” sotto Franco.

In un contesto come quello della dittatura franchista, l’unico atteggiamento accettato è un asettico opportunismo. Non c’è spazio per i sentimenti, la sensibilità, l’amore. Gli uomini devono essere forti e pronti a tutto, pur di avere successo. Le donne devono essere silenziose ma subdole, pronte a sedurre i partiti migliori. Il matrimonio è uno strumento per connettere famiglie e dare nuove braccia alla Spagna, nient’altro.

L’omosessualità non trova spazio in una realtà del genere, è chiaro. L’uomo che sceglie un suo pari come compagno di vita è un debole, qualcuno incapace di imporsi sul partner com’è “normale” in un matrimonio eterosessuale. Peggio ancora, è qualcuno che ha deciso di anteporre i sentimenti all’opportunismo. L’unione omosessuale è infatti sterile e quindi fine a se stessa, portata avanti solo per amore.

Inaccettabile.

Tutti mentono

Gabino e Alonso sono i due personaggi che hanno di più da nascondere e da perdere, se il loro segreto venisse fuori. In generale, però, quasi tutti i personaggi principali mentono in qualche misura e ne pagano le conseguenze.

  • Gabino nasconde la sua omosessualità stando lontano dalla Spagna, nel ben più permissivo Messico. Purtroppo, non si può scappare per sempre, specie quando i soldi li tira fuori papà.
  • Alonso si è costruito un’immagine di uomo forte e cinico, soffocando quello che desidera davvero per sé.
  • Mina, la madre di Gabino, si è adattata al ruolo di moglie ed è morta pian piano dentro. Cerca di tenere accesa una fiammella di empatia e sensibilità, ma non ha il coraggio per ribellarsi al sistema e fare qualcosa di concreto per aiutare gli altri.

Gli unici personaggi che prosperano sono quelli che incarnano il sistema alla perfezione, almeno all’inizio: Amparo, la nonna di Gabino; Gregorio, il padre di Gabino; Cayetana, la sorella di Alonso. Sono tutti e tre personaggi cinici, freddi, che hanno sacrificato il proprio cuore all’altare della Patria. Non per nulla, sono anche gli antagonisti della storia, coloro che cercano di soffocare la spinta al cambiamento degli altri1.

E Lazaro?

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Lazaro, colui che traina il cambiamento

Lazaro è il personaggio che cambia meno nella miniserie e per un’ottima ragione: lui è il catalizzatore del cambiamento, colui che dà il via a tutto. Al contrario degli altri, è sensibile e non si vergogna di esserlo, tant’è che è un artista. Si rivolge agli altri con spontaneità, è leale con gli amici, cerca in tutti i modi di essere una brava persona.

Insomma, Lazaro rifiuta il modello di “uomo forte” che sta alla base della Spagna franchista.

Tanta sensibilità, tanto amore per il mondo non possono restare inosservati né impuniti. Lazaro attira subito l’attenzione di tutto il circolo sociale di Gabino e, ovviamente, dà il via a una cascata di malelingue. Chi vorrebbe cambiare, imparare a vivere per quello che è veramente, viene attratto da questa figura dalla bellezza così pura. Chi invece nel modello repressivo ci sta benissimo la prende subito in antipatia.

Ecco perché Lazaro non è parte del cambiamento, quanto il suo pretesto.

Il finale

Alla fine del primo episodio, ci rendiamo conto che Lazaro e Gabino non stanno insieme. Anzi, Lazaro è eterosessuale e l’amore che nutre per Gabino è puro e fortissimo, ma solo amicale. Ciò non toglie che le voci continuino a girare, tanto che Alfonso cerca di avvertire il vecchio amico a modo suo. Ovvero pestandolo a sangue.

Eh, gli amici veri.

Nel mentre, Lazaro sviluppa un mezzo intrallazzo con Mina. Le voci continuano e sfociano in una denuncia vera e propria; Gabino viene arrestato dal padre, mentre Lazaro riesce a scappare. Ciononostante, il ragazzo torna indietro per salvare l’amico. Qui va tutto in vacca.

Lui e Mina si trovano e decidono di scopare nel bosco del circolo di caccia frequentato da lei. Una visione chiara delle priorità, direi. Stranamente, vengono beccati da Cayetana che li denuncia al marito di lei. Strano, eppure sono stati così prudenti…

EDIT: Un commento su YouTube mi ha fatto notare che era tutto un piano per dimostrare che a Lazaro piacciono le donne, indi per cui non poteva avere una relazione con Gabino. Un piano vagamente demente, ma comunque una cosa voluta. Su quella cosa in particolare, il mio rant era ingiustificato.

L’accusa di omosessualità decade, dato che Lazaro ha dato prova di essere un vero uomo scopandosi la moglie del padre del suo presunto amante. Gregorio libera il figlio e lo porta ad ammazzare madre e amico. Gabino, stranamente, non è d’accordo.

La miniserie finisce con tutti che sparano a tutti e tutti che muoiono, tranne Gabino e la madre. L’ultima inquadratura si sofferma su loro che guardano Lazaro morto.

Bene.

C’è speranza? Non è chiaro

Il finale di “Qualcuno deve morire” mi ha delusa. L’ho trovato frettoloso, incapace di prendere una posizione chiara su quale dovrebbe essere il senso dell’opera.

Piccola digressione tecnica. Tutte le storie scritte bene hanno una sorta di “morale”: ne ho accennato anche nell’articolo dedicato alla biografia di Bettie Page. Non dev’essere per forza una morale positiva o un insegnamento; piuttosto, esprime la visione del mondo dell’autore. Lajos Egri parla di “premessa”, altri lo chiamano semplicemente “tema”. La sostanza non cambia.

Il problema è che la miniserie non trasmette una visione chiara del mondo, nel finale. Durante i tre episodi emergono il senso di claustrofobia dei personaggi, l’assenza di una speranza, la voglia di fuggire da un ambiente repressivo. Sul finale, c’è solo tanta confusione.

Sorvoliamo sul brillante piano di Lazaro e Mina, che faceva acqua da tutte le parti. Ad ogni modo, cosa mi dice il finale? Alla fine, c’è speranza per chi vuole vivere la propria vita? Oppure il mondo è in mano ai cinici, destinati a vincere e a schiacciare le anime più sensibili?

Boh? Muoiono tutti, sia i cinici sia i puri. Finisce tutto a colpi di pistolettate, senza che emerga un vero senso dalla storia. Peccato.


1 A onor del vero, anche Alonso è uno degli antagonisti per buona parte della storia. Data la sua omosessualità, è diviso tra la voglia di cambiare e il desiderio di soffocare il cambiamento altrui.

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