Storie erotiche romantiche e hot, per scaldare l'animo | Cleis Ende https://www.cleisende.it/storie-erotiche/ Parole sporche Mon, 21 Dec 2020 09:09:56 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.3 http://www.cleisende.it/wp-content/uploads/2020/11/cropped-Icona-CleisEnde-1-32x32.jpg Storie erotiche romantiche e hot, per scaldare l'animo | Cleis Ende https://www.cleisende.it/storie-erotiche/ 32 32 A casa non c’è nessuno – Il Risveglio 02 http://www.cleisende.it/casa-nessuno-racconto/ Mon, 21 Dec 2020 09:09:24 +0000 https://www.cleisende.it/?p=849 Angela è sempre più insofferente e il rapporto con Carlo inizia a starle stretto. Quando una sera torna a casa prima, la situazione precipita Leggi...

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Angela è sempre più insofferente e il rapporto con Carlo inizia a starle stretto. Quando una sera torna a casa prima, la situazione precipita

Leggi la prima parte di “Il Risveglio”

Raddrizzo l’auto nel parcheggio sotto caso e la spengo. Tiro fuori il cellulare dalla borsa: c’è un messaggio di Carlo.

“Scusa amo, non ce la faccio per cena.”

Ributto il cellulare in borsa e scendo dall’auto. Sbatto lo sportello alle spalle e mi incammino a grandi passi verso casa.

Mi sta sempre tra i piedi quando finisco tardi, ma per una volta che riesco a uscire prima da lavoro non c’è.

Le luci di casa sono spente, quindi mamma e papà sono ancora fuori. Solo una finestra brilla in mezzo agli alberi del giardino, al secondo piano. Dovrebbe essere quella di Elisa. Magari ci penserà mia cugina a tenermi compagnia per cena.

Il cancello esterno è aperto e lo richiudo di dietro di me. Apro la porta di casa ed entro. Il soggiorno è immerso nel buio e dal piano di sopra vengono delle voci. Elisa starà guardando un film, o parlando con qualcuno al telefono.

Mi sfilo le scarpe, alla cieca. Recupero il cellulare e appendo giacca e borsa. La luce dello schermo filtra tra le dita e rischiara il pavimento sotto di me. Accanto all’appendiabiti c’è un paio di scarpe da ginnastica da uomo: sono enormi, troppo grandi per essere di papà. Magari le ha dimenticate Carlo l’altro giorno, quando siamo andati a correre.

Attraverso la stanza e scosto la porta che separa primo e secondo piano. Le voci si fanno più alte. Un uomo urla.

Un horror? Un film drammatico?

Imbocco le scale, il cellulare puntato in avanti per illuminare i gradini.

Un uomo ride. «…smetterla?»

Mugolii.

Sono sul pianerottolo. Un letto cigola e la voce rimbomba tra le pareti del corridoio.

«No che non devo smettere, eh?»

La porta della camera di Elisa è socchiusa, una lancia di luce attraversa il pavimento.

I rumori arrivano da lì.

«Ti piace zoccoletta, eh?»

In che razza di film parlano così? Solo in quelli che guardo di nascosto la sera, quando tutti dormono.

Ho la bocca secca. Ho messo la mano libera in mezzo alle gambe, il palmo schiacciato sulla collinetta e le dita tra le cosce. Nonostante i jeans, l’odore di muschio mi solletica il naso. Forse è solo un’impressione. O forse non è il mio odore.

Infilo il cellulare in tasca e l’unica luce che rimane è quella che filtra da camera di Elisa. Mi avvicino rasente al muro. Mi sporgo quel tanto che basta per vedere l’interno della stanza.

Elisa è nuda e c’è un uomo sul letto insieme a lei.

Scatto indietro e mi poggio spalle al muro. Ha portato un uomo in casa nostra? Mamma e papà tirerebbero su un casino, se lo sapessero. La butterebbero fuori di casa.

Fare sesso vale tanti rischi?

Mi faccio scivolare a terra e sbircio. Elisa ha le braccia tirate indietro e i polsi legati alla testiera. È rossa in viso, sudata, gli occhi tirati indietro e le guance gonfie. Ha la bocca piena e dalle labbra spunta un lembo di stoffa. Il busto è teso ad arco e le gambe sono spalancate, con le caviglie legate alle estremità del letto.

Tra le sue gambe c’è un ragazzo con in mano un’asta, sormontata da una semisfera. La usano in alcuni film sconci, per fare quello che io di solito faccio con le dita.

Il ragazzo tiene la testa del vibratore sul clitoride di Elisa. Lei si contorce, mugola. I muscoli si contraggono e si rilassano.

Il ragazzo ride. «Questo era l’orgasmo numero… Ho perso il conto, sai?»

Si abbassa su di lei. Le scosta una ciocca di capelli dall’orecchio e vi poggia la bocca. «Adesso è il mio turno, no?»

Mette il vibratore di lato e si raddrizza. Afferra le cosce di Elisa da sotto e il suo cazzo sparisce lì in mezzo. Elisa muove il bacino verso di lui, le chiappe strette e sollevate dal materasso.

Ho la mano nei pantaloni. Quando me li sono slacciati? Sto massaggiando il clitoride e il calore mi prende la gola. Mordo il labbro inferiore. Sospiro, gemo.

Il ragazzo si blocca. «Hai sentito?»

Elisa lascia andare la schiena sul letto. Annuisce e si gira nella mia direzione.

Se mi trovano così faccio la figura della pervertita. Camera mia è proprio qui accanto, per fortuna: mi alzo con i pantaloni mezzi abbassati e corro via. Entro in camera e mi sbatto la porta alle spalle.

Mi riallaccio i pantaloni.

Fuori dalla porta ci sono dei passi, la voce di Elisa.

«Cazzo, giuro che non ci doveva essere nessu—»

«Calmati. Parlaci e vedi che si sistema tutto.»

Bussano alla porta. «Angela, ci sei?»

Bussano di nuovo. «Angela, ti prego.»

Apro.

Elisa è ancora porpora e indossa solo un accappatoio, che tiene chiuso con le mani. Mi fissa con gli occhi lucidi.

«Angela, io… Era tanto che io e Fabio non stavamo insieme e non abbiamo soldi per un albergo… Non dirlo ai tuoi, ti prego.»

Pensa davvero che lo direi ai miei? La rimanderebbero giù in Calabria per direttissima.

Scuoto la testa. «Certo che non glielo dirò.»

Il suo abbraccio ha un odore muschiato e acidulo.

«Non dirò niente, ma ne vale la pena?»

Si stacca e fa spallucce. Non capisce.

«Vale la pena rischiare così per il sesso? Io non so com’è. Carlo… Carlo mi rispetta.» Storco la bocca.

«Ah, allora voi—»

«Spiegami tutto. Non dirò niente, ma aiutami a capire com’è.»

Il tepore si accede nel petto e scende in mezzo alle gambe. Passo una mano sul retro del collo e la ritiro sudata.

Elisa mi fissa a bocca aperta. «Va bene.»

Scosta lo sguardo, annuisce. «Si può fare.»

Spalanco la porta e le indico l’interno della stanza. Entra e si siede sul letto.

Comincia a spiegare.

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Una brava ragazza – Il Risveglio 01 http://www.cleisende.it/brava-ragazza-racconto/ Fri, 27 Nov 2020 16:08:04 +0000 https://www.cleisende.it/?p=815 Angela non dovrebbe avere nulla di cui lamentarsi: ha una famiglia che la ama, un lavoro, un ragazzo. È la classica brava ragazza. Forse è...

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Angela non dovrebbe avere nulla di cui lamentarsi: ha una famiglia che la ama, un lavoro, un ragazzo. È la classica brava ragazza. Forse è proprio questo il problema.

I fari illuminano una buca larga metà della corsia. Giro il volante. Le sterpaglie sul ciglio della strada scricchiolano sotto le ruote. Torno sull’asfalto.

Accanto a me, Carlo va avanti con le sue lamentele.

«Ho sempre paura di dare fastidio. Va bene che stiamo insieme da cinque anni, ma c’è anche tua cugina ospite in questi giorni. Che dici?» Mi punzecchia il braccio con un dito. «Mi stai ascoltando?»

Mi mordo il labbro: dovrebbe essere in arrivo un’altra buca di quelle profonde. Una pozza buia interrompe il giallo dei fari. La evito.

«Allora?» La voce di Carlo è stridula. Mi punzecchia la spalla.

Perché cavolo non capisce che ho bisogno di concentrarmi quando guido?

Faccio spallucce. «Ti conoscono da quando avevi quattordici anni…»

La strada si piega a gomito e scende. Rallento, cambio la marcia.

«E…?»

La strada torna pianeggiante, le case di avvicinano: la parte brutta è finita. Sospiro.

«Certo che non dai fastidio: sei tipo un figlio per loro.»

Mamma e papà sono fin troppo contenti che sia sempre da noi, anche quando preferirei passare la sera per conto mio. Forse gli dovrei dire di non tornare più e basta. I miei ci resterebbero male, però.

Lancio un’occhiata di lato. È piegato di lato, verso di me, gli occhi fissi sul volante e lo sguardo perso. Un sorrisetto gli increspa le labbra.

«Per me è perché non abbiamo scopato prima del matrimonio. Loro ci tengono a queste cose.»

Mi passa una mano sulla nuca, la fa scendere fino al bordo del colletto, la fa risalire. Le unghie scheggiate graffiano la pelle. Muovo la testa, ma la mano si chiude intorno alla base della treccia.

«Lasciamo nella via dietro.» Ha la voce acuta e si mangia le parole.

Ah, è una di quelle serate in cui mi dimostra come rispetta la mia verginità.

Giro intorno alla palazzina rossa dove vive e giro a sinistra, dentro i parcheggi del supermercato. La luce gialla dei fari si interrompe contro il muretto in mattoni. Li spengo e rimane solo il chiarore del lampione all’entrata dello spiazzo.

Carlo mi lascia la treccia e fa scattare la cintura di sicurezza. Ha la patta dei pantaloni aperta e la t-shirt è alzata, quel tanto che basta per far fare capolino alla punta del cazzo.

Mi poggia un bacio a stampo sulle labbra. Fa scattare anche la mia cintura e con l’altra mano mi accarezza la testa. Ha le labbra semiaperte e il respiro rapido.

«Faccio schifo, lo so. Sono un uomo…»

Mi spinge la faccia sul cazzo. Profuma di pino: almeno si lava e da questa angolazione è solo un pene. Potrebbe essere di chiunque, anche del bel moretto del reparto vendite.

Lecco le labbra e aspiro il calore che viene da sotto: se lo prendessi subito in bocca capirebbe che mi piace e tirerebbe su un casino.

Devo essere paziente. Devo essere santa. Devo essere virtuosa.

Ansima. «Ti prego, angelo mio. Fallo per me.» Preme sulla mia testa e mi schiaccia la bocca sulle palle.

Strofino le ginocchia tra loro. Faccio scendere una mano tra le gambe. No, meglio dopo, a casa. Mi metto in ginocchio sul sedile e apro le labbra.

Carlo mi alza la testa, me lo ficca dentro e mi spinge giù. Mi riempie la bocca e affonda in gola; sotto la pelle liscia la carne pulsa di vita propria.

Chissà se anche il cazzo del moretto è asprigno e sodo come un pomodoro maturo. Sarebbe bello succhiarglielo. Lui magari farebbe scendere una mano lungo la mia schiena, mi alzerebbe la gonna e mi ficcherebbe due dita nella figa. Magari dopo ci metterebbe anche qualcos’altro.

Ho il petto pesante, ad ogni respiro un’ondata di calore mi prende in mezzo alle gambe.

Muovo le labbra su e giù lungo l’asta e gioco con la lingua intorno alla punta. Ho la bocca piena di saliva, rivoli escono dagli angoli e scendono sul mento.

Le mani mi premono ancora di più verso il basso, solletico le palle con il naso. La gola si contrae intorno alla punta: apro la bocca in cerca di aria, ma Carlo spinge ancora. Mi brucia la gola. Emetto un piccolo lamento. Una colata di saliva scivola fuori e si raccoglie sotto il mento.

Carlo sposta le mani. Alzo la testa e prendo una boccata d’aria.

Tiene gli occhi semichiusi e si morde il labbro inferiore. Mi poggia una mano sulla testa, l’altra chiusa intorno al cazzo. Se lo mena su e giù. Strizza gli occhi e un getto di sborra mi colpisce il naso e la bocca, caldo e amaro.

Raccolgo con il dorso della mano le gocce di sperma che mi scivolano sul collo, prima che sporchino la maglietta. Abbasso la gonna e mi raddrizzo. Tiro fuori una salviettina umidificata dal dispenser vicino al cambio e pulisco il pasticcio che ha combinato Carlo, come al solito.

Lui si riallaccia i pantaloni.

«Grazie amore, ci voleva proprio.»

Forse gli dovrei chiedere di ricambiare il favore, per una volta. No, mi risponderebbe che le ragazze per bene non hanno queste esigenze.

«Di niente. Ci sentiamo domani.»

Fa un cenno di saluto e scende. Si allontana nello specchietto retrovisore, sparisce.

La figa brucia. Metto una mano sotto la gonna: le mutandine sono fradice. Che shock sarebbe per Carlo: perfino io mi bagno!

Mi giro: il parcheggio è deserto.

Scosto le mutandine e affondo indice e medio dentro di me. Chiudo gli occhi, muovendo le dita avanti e indietro. Stringo un seno con la mano libera. Contraggo la figa intorno alle dita, mi accartoccio, l’aria abbandona il mio corpo e mi sciolgo.

Apro gli occhi. Prendo una salviettina e asciugo le dita.

Come sarebbe con un’altra persona dentro?

Mi mordo le labbra. Non dovrei pensare a certe cose: le brave ragazze non la danno via prima di sposarsi. Le brave ragazze si conservano per un unico uomo e io sono una brava ragazza.

Sono una brava ragazza, vero?


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Lo scambio – Racconti Erotici http://www.cleisende.it/scambio-racconti-erotici/ Mon, 26 Oct 2020 06:00:00 +0000 https://www.cleisende.it/?p=755 Anna e Matteo si conoscono da quando erano ragazzini e non hanno mai fatto sesso con altri. Dopo anni di matrimonio e due figli, la...

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Anna e Matteo si conoscono da quando erano ragazzini e non hanno mai fatto sesso con altri. Dopo anni di matrimonio e due figli, la noia inizia però a insinuarsi nella loro vita di coppia. Lo scambismo è la soluzione? Un racconto erotico sullo scambio di coppia visto da due “vergini”.

I gradini sono finiti e per raggiungere la porta del club devo per forza mollare il corrimano. Cadrò con la faccia a terra, ne sono certa. Perché cavolo mi sono fatta convincere a mettere scarpe così alte? Perché mi sono fatta convincere a venire qui?

Piagnucolare non serve a niente. Prendo un profondo respiro e faccio un passo in avanti. Il tallone dondola in equilibrio precario sul tacco, si raddrizza. Faccio un secondo passo senza cadere su Matteo, che sale gli ultimi gradini dietro di me e mi raggiunge.

Mi prende per mano. «Sei bellissima.»

Sorride, il disgraziato.

Alessio e Giorgio avranno cenato? Che razza di madre abbandona i propri figli sabato sera per andare in un locale per scambisti?

Sfilo la mano da quella di mio marito. «Lo dirai anche quando mi vedrai trombare con uno sconosciuto?»

Il sorriso tremola. «Vedrai che ci divertiremo.»

Ma certo! Tua moglie bacia il collega? Accompagnala a fare tutto il resto! Questa storia è ridicola.

Teo apre la porta. Il sorriso si è dissolto, mi guarda indeciso. «Andiamo?»

Questa storia è ridicola, ma in fondo io e Matteo abbiamo fatto un sacco di cose ridicole insieme. Ci daremo un’occhiata attorno e, una volta che si sarà reso conto di quanto sia assurda l’idea di “aprirci” ad altre persone, ce ne torneremo a casa. Semplice, no?

«Va bene, andiamo.»

L’anticamera del locale è immersa in una luce rossa. Di fronte a noi ci sono piccolo corridoio e un bancone a semicerchio sulla sinistra, popolato da fogli, foglietti e un computer del secolo scorso. Oltre il computer c’è un uomo allampanato e con una massa di capelli bianchi, che scribacchia su un quaderno.

«Benvenuti.» Strizza gli occhi. Fruga tra i fogli, ne tira fuori un paio di occhialetti e se li infila con una mano sola. «Siete nuovi? Per entrare serve la tessera.»

«Sì.» Matteo sfila il portafoglio dalla tasca dei pantaloni. «Amore, mi passi la tua carta d’identità?»

Una nuova tessera da mettere tra quella del club della maglia e la Fidaty dell’Esselunga.

Infilo la mano in borsa, tocco le chiavi, il rossetto, il bordo frastagliato dei preservativi. Niente carta d’identità. Eppure l’ho presa prima di uscire di casa.

Sfilo la borsa e do le spalle a Matteo. La spalanco: la copertina trasparente del documento riflette le luci rosse. Eccola!

Entra una coppia. Lei è carina, piccola e con i capelli scuri, così piccola che arriva appena al petto del suo accompagnatore, che la tiene per mano come se si stesse portando dietro una bambina. Si avvicinano e dall’ombra emergono gli occhi neri e le labbra carnose piegate in un sorriso di lui.

Dio mio, che figo: sembra un attore. Allora non è vero che in questi locali girano solo panzoni che ti guardano da lontano con aria allupata.

«Anna?» Matteo mi scuote per la spalla.

Ah già, la carta d’identità. Gliela allungo.

Lo sconosciuto e la sua accompagnatrice si avvicinano, le tessere già alzate. L’uomo dietro il bancone lancia loro un’occhiata, piegato sui documenti miei e di Matteo.

Fa cenno con la testa verso il corridoio. «Avete rinnovato il mese scorso, vero? Andate, andate.»

Frequentatori abituali.

Lo sconosciuto si infila la tessera in tasca. «Grazie, a più tardi, Gio.»

Ha una voce profonda, che scende dalla testa fino al bassoventre. Si muove con l’andatura di un gatto, o forse di un felino molto più grosso e pericoloso. Anche il sorriso che mi lancia, con gli occhi stretti e un angolo della bocca più in alto dell’altro, ricorda quello di un predatore.

Fa cenno verso la porta che dà sul locale vero e proprio. «Noi ci vediamo dentro.»

Dentro. Nel covo di depravati.

Matteo annuisce. «Sì. A dentro.»

Mio marito guarda me e guarda nella direzione verso cui i due si sono allontanati. Si infila le mani in tasca, come fa sempre quando vuole fingere nonchalance. Le tira fuori e incrocia le braccia sul petto.

«Beh, lui sembra un bel tipo. Ti piace, no?»

Cos’è quella nota stridula nella sua voce? Gelosia? Davvero? Dopo aver passato due settimane a convincermi a venire in un locale per scambisti?

«Dillo che ti piace: ti ho portato io qui…»

E insiste pure.

Matteo arriverà al mento dello sconosciuto e di sicuro quelle spalle se le sogna. La cintura dei suoi pantaloni affonda nella carne e due piccole maniglie sbucano al di sopra. Ne è passato di tempo da quando poteva mangiare tre pizze da solo senza mettere un etto.

«Sì, mi piace. Contento? Anche lei è carina.» Sistemo la borsa in spalla. «Ti piacerebbe…»

Ti piacerebbe scoparci? La domanda rimane sospesa tra noi.

Matteo fa spallucce. «Se vuoi.»

Neanche per idea: diamo un’occhiata e ce ne torniamo a casa.

«Ecco le vostre tessere e i documenti. Si paga all’uscita, insieme ai cocktail.» L’uomo dietro il bancone sorride. «Passate una buona serata.»

Se va come dico io, sarà soprattutto una serata breve.

Teo prende le tessere e guarda la porta dietro la quale è sparito lo sconosciuto. «Quel tipo si sarà scopato un sacco di donne.»

«Immagino di sì.»

«Io ho scopato solo con te in tutta la mia vita.»

Mi guarda con gli occhi sgranati, come se alle mie spalle ci fosse un mostro o chissà quale altra creatura strana. Quand’è l’ultima volta che l’ho visto così spaventato? Forse solo quando è nato Alessio.

«E io ho fatto l’amore solo con te, Teo. Non era questo il punto?» Lo prendo per mano. «Se vuoi possiamo andare via, ma credi davvero che… boh? Credi davvero che ti sostituirò o ti amerò di meno perché non hai scopato più donne?»

Povero il mio amore. Povero il mio amore insicuro.

Mi passa una mano tra i capelli. «Hai ragione. Scusa, è stato un pensiero stupido.»

Scende sulla guancia. Piego la testa e il suo tocco morbido passa sul collo. Brividi scivolano lungo la schiena, un accenno di calore si spande nel bassoventre.

La sua voce è ridotta a un sussurro. «Possiamo restare? Vuoi andare via?»

Sarebbe l’occasione ideale per tornare a casa, levarmi queste dannate scarpe e guardarmi l’ultimo episodio di Breaking Bad. E non scoprire mai cosa c’è nel covo dei pervertiti.

Scuoto la testa. «No, rimaniamo pure. Però diamo giusto un’occhiata.»

***

Matteo si guarda attorno, la mano stretta attorno alla mia tanto da farla formicolare.

La stanza è troppo piccola e troppo vuota. Sulla sinistra c’è un divanetto con una coppia. Lui è poggiato contro lo schienale, la testa sulla spalla della compagna e qualcosa tra le gambe. La luce cattura una coda di cavallo che ondeggia avanti e indietro all’altezza del cavallo; delle spalle e una schiena femminili spariscono nell’ombra.

Qui il pudore non esiste proprio.

Sulla destra c’è un bar. Dietro il bancone, una ragazza con la treccia serve una donna bruna con indosso un vestito rosso. La bruna si gira verso di noi e ci fa l’occhiolino leccandosi le labbra. Bocca troppo sporgente per essere vera, zigomi enormi: non proprio il mio tipo. E neanche quello di Matteo. Spero.

Possibile che siamo solo noi? No, il corridoio procede verso una pesante tenda rossa. Probabilmente la festa vera e propria è da quella parte.

«Ehi, vi unite a noi? Siamo qui!»

Chi ha parlato? È una voce femminile.

Lo sconosciuto e la sua compagna sono seduti all’estremità del bancone, seminascosti dietro a un vaso. Lei sventola una mano e si sporge nella nostra direzione, un grosso sorriso stampato in faccia.

Matteo stiracchia un sorriso. «Certo, perché no?»

Perché non vuoi davvero immaginarmi mentre mi faccio sbattere da quel tipo. E neanch’io: è troppo allettante.

I due si tengono per mano, una coppietta di piccioncini come quelle che si vedono in giro per il centro la domenica pomeriggio. Se li incrociassi al supermercato, non direi mai che sono scambisti. Il bancone davanti a loro è vuoto e la barista sta lavando dei bicchieri, poco lontano. Quindi non hanno ordinato niente: ci stavano aspettando.

Vogliono davvero fare sesso con noi? La cosa è disturbante. Forse è per questo che il mio bassoventre si contrae così.

Un gemito dietro di noi: dev’essere l’allegro terzetto. Magari anche loro hanno cominciato la serata così, parlando al bar e fantasticando l’uno sull’altro. Che lo sconosciuto stia fantasticando su di me? Difficile: è troppo impegnato a guardare la sua compagna per pensare a me o a chiunque altro.

Matteo gli allunga la mano. «Non ci siamo ancora presentati. Io sono Matteo e questa è mia moglie Anna.»

I due si scambiano un sorriso.

Lo sconosciuto ricambia la stretta. «Piacere. Luca ed Erica. Prima volta, vero?»

Difficile scambiarci per depravati navigati. Ai loro occhi saremo come Cappuccetto Rosso di fronte al Lupo travestito da nonna. Due fessacchiotti da spolpare vivi.

Faccio cenno di sì. «Voi invece siete…»

Erica sorride. «Veniamo qui più o meno due volte al mese.»

Quella boccuccia sorridente avrà succhiato più uccelli di quelli che io ho visto in tutta la mia vita, porno compresi. E lui? Con quante donne sarà andato a letto? È probabile che non le ricordi neanche tutte.

Scende dallo sgabello. «Stavamo pensando di entrare. Vi unite? Potremmo chiacchierare un po’.»

Sì, “chiacchierare”.

Luca mi guarda con aria assorta, come se stesse cercando di capire qualcosa. Magari mi sta immaginando nuda, in ginocchio come la donna al divanetto. Un brivido mi scorre lungo la schiena, in mezzo alle chiappe, tra le gambe.

«Che ne dici, amore?» Teo fa cenno verso la tenda rossa. «Andiamo?»

Solo una chiacchierata. Andrà tutto bene.

«Va bene.»

Luca guarda Matteo dall’alto, con le mani in tasca e un lieve sorriso stampato in faccia. Accanto a lui, sembra ancora più alto e grosso: quelle sono le spalle di uno che passa i sabati in palestra, non alle prese con carrelli della spesa e bambini.

«Teo, mi permetti di rubarti la moglie?» Gli fa l’occhiolino. «Solo fino al divanetto.»

Mi porge i braccio. Sotto la camicia ci sono solo muscoli duri e caldi. Ogni volta che abbraccio Matteo le dita affondano nello strato di ciccetta che ha messo su negli ultimi anni.

Erica prende Matteo per un braccio. «Mi accompagni tu?»

«C-certo.»

Luca avanza a grandi passi oltre il bar, dentro la stanza principale. I passi di Teo sono incerti dietro di me.

I mugolii e i gemiti fanno da accompagnamento alla musica che esce dagli altoparlanti. La stanza è tappezzata di pannelli in legno e intervallata da pilastri, in mezzo ai quali ci sono divanetti grandi e piccoli. Su buona parte dei divanetti si muovono coppie e terzetti e perfino quartetti.

Passiamo accanto a un uomo sdraiato sul divanetto, la faccia coperta dalle chiappe di un altro uomo e un terzo accucciato tra le sue gambe. Una donna osserva la scena con un bicchiere in mano, sorridente. Più in là un ragazzo sta in piedi accanto a un pilastro e regge una rossa, aggrappata a lui braccia e gambe.

Certo che qui il pudore non esiste proprio.

Luca si infila in una rientranza con un tavolino e un divanetto a ferro di cavallo.

«Ci mettiamo comodi?»

La parete copre gli altri divanetti. Ci ha cercato un posto riparato. Un posto riparato per scopare. Dio mio, ho la bocca piena di sabbia. Non sarebbe stato male prendere un cocktail: almeno avrei potuto affogare l’imbarazzo nell’alcool.

«Perfetto.» Mi siedo sul bordo del divanetto. Dovrò dire loro che però siamo qui solo per parlare, che non voglio fare niente e che vogliamo solo dare un’occhiata.

Matteo si siede dall’altra parte del tavolino, accanto ad Erica. Lei gli poggia una mano sulla coscia con fare noncurante, la muove su e giù.

Dovrei essere gelosa. Insomma, una donna sconosciuta sta mettendo le mani addosso a mio marito. Eppure il bassoventre si contrae in uno spasmo di eccitazione.

Non è normale. Non sono normale.

Il cuscino affonda sotto il peso di Luca. Poggia un braccio sullo schienale alle mie spalle, l’altra mano abbandonata sulle gambe accavallate.

«Mai fatto niente con altre coppie, quindi.»

Faccio no con la testa e Matteo mi imita. Le sue guance sembrano rosse, ma è difficile dirlo con questa luce. Mi guarda, forse si aspetta che dica qualcosa, che le dica di allontanarsi da lui. La mano di Erica sale lungo la sua gamba, gli occhi fissi su di me.

Se non la fermo ora, finirà per scoparsi mio marito. E io finirò per scoparmi il suo.

«Siete praticamente vergini. Che carini!» Le sue dita si chiudono attorno al pacco di Teo. «Non vi preoccupate: c’è sempre una prima volta.»

Il braccio di Luca si sposta sulle mie spalle. «Dici bene, mia cara.»

La mano si sposta sul mio braccio, le unghie lo accarezzano giù fino al gomito e ancora più in basso. La mano di Luca si ferma sulla mia, poggiata sulla coscia. Il suo corpo è caldo, teso verso di me.

Giro la testa e quegli occhi color carbone sono a pochi millimetri dai miei. Il suo alito sa di menta e le labbra socchiuse sono un invito a fare io la prima mossa. Se adesso lo bacio, starò autorizzando Teo a fare lo stesso con Erica, gli starò dando il mio permesso.

Le labbra di Giorgio dell’amministrazione erano screpolate e sapevano del caffè delle macchinette. L’unico uomo che ho baciato al di fuori di Teo e non era neanche granché.

Che sapore hanno i baci di uno sconosciuto?

La bocca di Luca è morbida, si muove piano sulla mia. La lingua mi sfiora le labbra, gioca e mi penetra ancora più a fondo. Il calore del bacio scende fino al bassoventre, mi fa tremare.

Non avrei dovuto.

Di più, voglio di più.

La bocca di Luca si chiude, si stacca da me.

Matteo è attaccato ad Erica, le mani poggiate sui suoi fianchi, gli occhi chiusi. Muove le labbra su quelle della donna, di tanto in tanto lascia intravedere un pezzetto di lingua. È così anche quando bacia me? Forse qualche volta dovremmo filmarci.

Erica si gira verso di me. «Posso assaggiare tuo marito?»

«Assaggiare… Ah!» Vuole succhiarglielo. È da una vita che non faccio pompini a Teo e adesso uno sconosciuta mi chiede di succhiarglielo.

Lui mi guarda, in attesa che decida cosa fare. Come se di fatto non fosse già tutto deciso. Come se, in fondo in fondo, non avessi sperato che finisse così, nonostante tutte le mie proteste.

Annuisco. «Sì… assaggia pure.»

Erica slaccia la cintura di Matteo e libera l’erezione.

Luca mi sfiora la coscia. «Caro Matteo, posso assaggiare tua moglie?»

Vuole leccarmela?

Matteo alza gli occhi dalla donna inginocchiata tra le sue gambe, tentenna. «Certo.»

Erica gli srotola un preservativo sull’uccello e la sua faccia sparisce tra le cosce di mio marito. Glielo succhierà molto meglio di quanto io abbia mai fatto: forse avrei dovuto dire di no.

Luca si sposta davanti alla scena. Si sfila la giacca e slaccia la camicia con la rapidità di chi ha ripetuto quel gesto centinaia di volte. La apre sui pettorali scolpiti e il ventre piatto da frequentatore abituale di palestre. Ci ho azzeccato con la mia piccola analisi: è davvero un gran figo. Chissà com’è toccare un corpo del genere. Ah già, adesso posso farlo. Si aspetta che lo faccia.

Passo l’indice sulla linea che divide i pettorali, scendo sugli addominali. La pelle è tesa sopra i muscoli, un blocco di marmo bollente e liscio.

Che strano toccare un uomo senza peli, senza pancia, senza unghiate di gatti o lividi lasciati dai giochi al parco.

Apro la mano, poggio tutto il palmo e scendo. La mano si blocca contro la cintura. La allontano e la poggio sul divanetto.

Luca si inginocchia di fronte a me, gli occhi scendono al livello dei miei, a quello delle mie tette, del bassoventre. Poggia le mani sulle cosce e solleva il vestito.

Dio mio, chissà se con questa luce si vede la cellulite. Forse dovrei fermarlo, dirgli che non importa e va bene così, che―

Affonda il naso tra le mie cosce, aspira l’odore del mio sesso ed espira con forza. Una scarica di piacere mi fa tremare da testa a piedi.

Alza lo sguardo su di me, da sopra la curva del monte di venere. «Vuoi che te la lecchi?»

Matteo ha la testa abbandonata sullo schienale del divano, gli occhi socchiusi e la bocca aperta, che si muove in parole mute. Fa quella faccia anche quando sono io a succhiarglielo? Non ci ho mai fatto caso.

Il respiro di Luca mi solletica il clitoride, le sue dita sfiorano la fessura e giocano con le piccole labbra.

«Allora?»

Tanto, ormai…

«Sì. Sì, ti prego.»

Sorride e scosta le mutandine. Poggia un bacio leggero sul clitoride e il mondo vacilla. Tira fuori la punta della lingua e la passa a lato della mia perla, sopra, di nuovo di lato.

Un lieve solletico sale dal bassoventre, si diffonde e arriva alla testa. Mi lascio andare all’indietro, sospiro. Chiudo gli occhi e rimane solo la lingua che gira attorno al mio clitoride e le dita che si insinuano dentro di me.

Certo che fa caldo qui dentro. Tiro la scollatura del vestito, nel tentativo di liberarmi dalla stoffa che mi strizza e si arrotola in pieghe.

La lingua passa sul clitoride e il mondo si fa bianco. Inarco la schiena e contraggo le dita sulla stoffa del divanetto. Mi mordo le labbra per non urlare: non devo, non si fa.

Ma perché? Qui non ci sono vicini da disturbare. Lascio andare un lungo gemito strozzato.

La lingua aumenta il ritmo, il piacere sale.

«Dio mio…» La voce è roca, non sembra neanche mia.

Luca mi strizza la coscia, muove le dita avanti e indietro con forza. La sua lingua tintinna il clitoride su e giù, mi avvolge in una bolla di calore e piacere che mi mozza il respiro.

Affondo la mano tra i capelli lisci e un po’ appiccicosi di gel.

Strabuzzo gli occhi e il mio grido inarticolato risuona in tutto il locale.

Matteo mi guarda, seduto sul divanetto e con Erica poggiata contro il fianco. Si leva la camicia e i pantaloni e si avvicina a me nudo; le maniglie dell’amore ondeggiano a ogni passo e i peli del pube sono attorcigliati in un cespuglio informe, in mezzo al quale svetta il preservativo rosa brillante.

Mette una mano sulla spalla di Luca. «Permetti?»

Luca sfila le dita da me. «Ci mancherebbe.»

Matteo si toglie il preservativo e si abbassa. Le sue labbra sanno di fragola e di sesso. Affonda la mano tra i miei capelli e mi stringe a sé. Con l’altra mano scende lungo la schiena e abbassa la cerniera dell’abito. Da quanto tempo il suo tocco non mi faceva rabbrividire così?

Annaspo tra le sue labbra, affondo le dita nella schiena morbida e accogliente. Lo lascio e mi alzo per spogliarmi, allontano l’abito con un calcio.

Luca e Matteo ed Erica mi guardano. Ci sono perfino un paio di sconosciuti in piedi vicino al muro. Guardano il reggiseno a balconcino e le mutandine trasparenti e le scarpe con il tacco. Guardano me.

Dovrei vergognarmi. Allora perché il calore cresce invece di diminuire?

Erica si accosta a me. Mi sfiora il seno e poggia l’altra mano sulla mia nuca. Nella luce incerta del locale i suoi occhi sono neri, blu, grigi. Il suo alito profuma di fragola e le sue labbra sono dischiuse, in attesa. Chissà se sono morbide come sembrano.

Poggio un bacio leggero sulla sua bocca. Le punte delle nostre lingue si incontrano a metà strada, si sfiorano, si intrecciano. Il sapore della fragola mi invade la bocca, dolce e un po’ chimico.

Erica si stacca. Mi prende per le spalle e mi gira. «Poggia le mani sullo schienale e piegati in avanti.»

Lo faccio.

Lei afferra il cazzo di Matteo e lo trascina in avanti. La punta sfiora la mia figa, la solletica, la penetra.

Scopata da mio marito, quindi, anche se con il pubblico e l’aiuto di un’altra donna. Può andare come inizio.

Matteo mi prende per i fianchi e affonda tutto dentro di me. Il calore familiare del suo uccello mi riempie fino alle viscere, il mio pezzo mancante. Mi accarezza la schiena e sta lì, immobile come se si stesse godendo anche lui il mio tepore.

Erica slaccia i pantaloni di Luca, in piedi accanto a me. Il cazzo salta fuori dalle mutande, scuro e privo di peli come quelli che si vedono nei film. Come si fa ad avere una pelle così liscia proprio lì?

Il sorriso di Erica è a un soffio dalla mia faccia. «Ti andrebbe di provare il cazzo di mio marito?»

Due uomini insieme? Forse è troppo… O forse no. Le do un bacio a stampo e annuisco.

Luca guarda con un mezzo sorriso Erica che gli srotola sopra un preservativo giallo limone.

Matteo esce pian piano da me e torna dentro con una botta. Sobbalzo: da quando si è messo a fare i dispetti, lui che di solito è tutto tenero e dolce? Mi dà un’altra botta e una scarica di piacere mi attraversa da capo a piedi, strappandomi un gemito.

Erica mi accarezza la nuca e piccoli brividi si uniscono alle scosse che provengono dalla mia figa. Guida la mia testa di lato e il profumo di arancia mi invade il naso. Il cazzo di Luca è di fronte a me, retto dalla mano di sua moglie, la punta rivolta verso la mia bocca. Avrà la stessa consistenza di quello di Matteo?

Dischiudo le labbra e la punta dell’uccello impacchettato avanza. Il suo glande è allungato e sottile. Passo la lingua sul bordo arrotondato, sporgente e spesso. Sembra la cappella di un fungo. Uno strano fungo perverso.

Ridacchio e Luca sospira sopra di me, affonda un pochino di più.

Matteo mi dà uno schiaffo sulla chiappa destra. «Dai amore, fammi vedere come lo prendi tutto in bocca.»

Da quand’è che Teo parla in questo modo? Starà imitando qualche filmetto porno di quelli che guarda “di nascosto”. Va bene, sarebbe un peccato deludere mio marito.

Spalanco la bocca ed Erica mi spinge la testa in avanti. L’odore dell’arancia sovrasta quello acidulo del suo sudore, che scorre in grosse gocce sull’inguine e imperla lo scroto. Il cazzo di Luca mi blocca la lingua, scivola tra i denti e mi arriva in gola. Dio mio, speriamo di non morderlo per sbaglio.

I colpi di Matteo aumentano di intensità e Luca muove i fianchi avanti e indietro.

Non sono che un grumo di carne e di piacere.

Qualcosa di umido e morbido mi sfiora il clitoride: la lingua di Erica. Dev’essere accucciata tra me e Matteo.

Contraggo la figa attorno al cazzo di mio marito, il mio amatissimo Teo, Dio mio quanto lo amo. L’orgasmo sale e vengo con un mugolio soffocato.

Luca poggia la mano sulla mia nuca e spinge in avanti, avanti, avanti. Non ce la posso fare a prenderlo tutto in bocca, la gola si sta già contraendo, mi manca l’aria e il buio è pieno di macchie bianche.

I testicoli lisci mi sfiorano il mento. Ce l’ho fatta.

I colpi di Matteo mi spingono verso Luca e il suo cazzo e la lingua di Erica che gira attorno al mio clitoride e mi fanno fremere.

Dio mio, sto per venire di nuovo.

Strabuzzo gli occhi e mi accartoccio. Stringo così forte che il cazzo di Teo sguscia fuori con uno schizzo caldo. È venuto, è il suo sperma? No, è qualcosa di mio. Devo aver fatto una di quelle cose che si vedono nei porno, in cui lei inizia a schizzare come un idrante.

E io che pensavo fossero solo stronzate.

Luca scivola fuori di me. Che strano essere così vuota.

Mi lascio andare sul divanetto.

Matteo mi accarezza una guancia e la sua mano è gelida. O forse sono io ad essere bollente.

«Stanca, amore?»

Sorrido. «Un po’.»

Luca mi dà una strizzatina alla spalla. «Che ne dici di riposare mentre ci dedichiamo all’altra signora?» Ammicca. «La notte è ancora lunga.»

***

Chiudo la porta con una culata e poggio i sacchetti della spesa a terra.

«Alessio, vieni a darmi una mano!»

La porta di camera sua si apre e fa capolino con aria scocciata. Il ciuffo è diventato fuxia: quando si è andato a tingere? Bah, avrà usato una di quelle tinte che vendono al supermercato, fai da te.

«Allora, ti muovi?»

Alza gli occhi al cielo. «Sì, sì, che fretta c’hai? Arrivo.»

Si avvicina con passo strascicato e le mani nella felpa. Ne tira fuori una giusto per prendere il sacchetto più vicino e si allontana con l’altra ancora infilata in tasca.

Mamma mia, ma a quattordici anni ero anch’io così?

Molla il sacchetto a terra e torna da me. E adesso che c’è?

«Oh, vi siete persi questo.» Tira fuori dalla tasca un biglietto spiegazzato.

Cavolo, sono i numeri di telefono di Erica e Luca: deve essermi caduto l’altra sera. Meno male che non c’è scritto niente di compromettente.

«Grazie.» Lo infilo in tasca. Meglio copiare i numeri sul cellulare, prima di perdermelo di nuovo.

Alessio fa cenno col mento alla mia tasca. «Chi sono?» Stringe gli occhi. «Non sono nella vostra compagnia di vecchi.»

Gli avrò fatto uno sguardo da pesce lesso, ma non gli sfugge proprio niente. Dannazione.

Ho la faccia bollente e Alessio mi guarda con aria concentrata. Devo inventarmi una balla plausibile, in fretta. Non è difficile, dai.

«Sono…» Mi schiarisco la voce. «Erica è appena arrivata nel club della maglia. Luca è suo marito. Sono amici nuovi.»

Chissà se Erica sa lavorare a maglia. Ha un sacco di talenti, quello è certo.

Alessio fa spallucce. «Club della maglia. Oh, che noiosi che siete.»


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Trenta secondi per… – Racconti erotici http://www.cleisende.it/trenta-secondi-racconti-erotici/ Sun, 31 May 2020 08:00:15 +0000 https://www.cleisende.it/?p=654 Com’è perdere il tuo volto, dissolverti in una dolce sofferenza sotto i colpi di una frusta? Continua a leggere il racconto erotico per scoprirlo Inspiro....

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Com’è perdere il tuo volto, dissolverti in una dolce sofferenza sotto i colpi di una frusta? Continua a leggere il racconto erotico per scoprirlo

Inspiro. Il petto si ferma contro le mie stesse braccia incrociate, le cinghie che le trattengono stringono e l’aria rimane bloccata a metà tra gola e polmoni. Mi gira la testa.

Niente respiri profondi: solo assaggi di aria per arrivare fino in fondo, che passino dai buchi per il naso.

Respiro. Respiro. Respiro.

Le dita formicolano. Le apro e le chiudo una ad una, accarezzandomi il mento. I polpastrelli nudi sfiorano la pelle della maschera stretta intorno alla mia testa. Sono un manichino senza volto né voce, incapace di muovermi da dove è stato messo.

Mi si chiude lo stomaco e una botta di calore scende fino all’inguine. Spingo i polpacci in avanti, ma le cinghie di cuoio li mantengono ben saldi contro le gambe della sedia. Il calore aumenta. Contraggo i muscoli del bassoventre in cerca di sollievo: forse se mi sforzo abbastanza posso riempire il vuoto che ho in mezzo alle cosce.

Niente.

Strofino le chiappe contro la seduta.

Un soffio caldo sfiora il mio collo.

«La mia troietta sta soffrendo?» sussurra Davide. La voce arriva ovattata dalla maschera.

Annuisco.

Le cinghie scivolano via dai polpacci e dal petto. Le braccia cadono in avanti, i polsi stretti tra loro. Davide mi prende per un braccio e mi solleva dalla sedia. Mi spinge in avanti, nel buio. Allungo un piede e tasto il terreno con la punta delle dita, alla ricerca di un ostacolo. Lo poggio. Faccio lo stesso con l’altro. Sfioro una superficie di legno con la pancia: dev’essere il tavolo della taverna.

Davide mi piega a novanta sul tavolo e preme la mano contro la schiena. Cado sopra le mani legate, le polsiere affondano nella carne. Colpisce una chiappa a mano aperta, colpisce l’altra.

Annaspo sotto la maschera. Apro e chiudo la bocca intorno alla ball gag e la saliva scende in rivoli, si ammassa sul mento. Allargo le narici per raccoglier l’aria che riesce a passare dai buchi della maschera: sa di legno e sudore e saliva. Mi sta scoppiando il petto.

«Ho una prova per te.» Un dito passa sull’apertura della figa, ne segue i contorni e scende lungo la coscia. Si lascia dietro una scia umida. «Superala e ti darò un po’ di sollievo.»

Sposta la mano. I suoi passi si allontanano.

Schiocca una frusta.

«È molto semplice: avrai trenta secondi di sollievo per ogni frustata che sopporterai. Più andrai avanti, più godrai. È uno scambio equo, no?»

Trenta secondi per frustata. L’ultima volta ne ho prese tre, prima di chiamare la safe. Un minuto e mezzo: un po’ poco.

Annuisco contro il tavolone.

«Ottimo. Chiappe in fuori.»

Alzo il sedere. Serro i denti intorno alla palla di silicone, strizzo gli occhi nel buio.

Uno spiffero sfiora la figa umida e le gambe nude. Il brivido sale lungo la schiena, fino alle spalle. Le stringo e affondo la testa tra loro.

La prima colpisce le chiappe proprio al centro. Una sfilettata di dolore mi fa sobbalzare, prima di stemperarsi in semplice bruciore.

Mugolo di sorpresa. Gli occhi mi si riempiono di lacrime, che scendono e si bloccano sugli zigomi, contro la maschera.

«Allora, ti bastano trenta secondi?»

Affondo i denti nella ball gag e scuoto la testa. Alzo le chiappe.

La seconda prende il retro delle cosce. Lancio un urlo, soffocato dal bavaglio e dalla maschera. Il dolore accende macchie bianche davanti agli occhi, i polmoni si chiudono.

Il bruciore si attenua e torna anche il respiro. Inspiro, le macchie diventano più chiare. Le chiappe sono calde e pulsano.

«Un minuto?»

Forse concentrandomi potrei farcela in un minuto. Forse.

Scuoto la testa.

«Ah, ti senti coraggiosa.»

Passeggia avanti e indietro alle mie spalle. Fa schioccare la frusta in aria.

Mi colpirà adesso?

Un filo d’aria accarezza i punti colpiti e scariche elettriche raggiungono la mia testa. I polsi fanno male.

Sarà adesso? Colpirà prima che conti fino a tre? Uno, due, tre.

Quattro, cinque, sei, set―

L’aria si smuove e il colpo prende la chiappa sinistra. Stringo le mani a pugno, tiro indietro la testa. Non ce la posso fare. Tre colpi sul tavolo e sarà finita. Solo tre colpi sul tavolo.

Il dolore scema e si riaccende con un colpo sulla chiappa destra. Grido con i denti chiusi sulla ball gag, gli occhi sgranati sotto la maschera.

Grido e tiro fuori l’aria che ho nei polmoni e le lacrime, che si accumulano sotto gli occhi e sulle guance.

Arriva un nuovo colpo sulle cosce e il dolore sparisce, si dissolve in mezzo ai singhiozzi che mi frantumano il petto e mi fanno bruciare la gola.

Davide mi accarezza la base del collo, scende lungo la colonna vertebrale. Mi gira e il contatto con la superficie del tavolo riaccende il dolore. Mi giro di lato e Davide mi ributta sulla schiena. Mi spalanca le gambe. Il suo respiro sfiora la figa, la lingua accarezza il clitoride.

Sussulto e lui preme sul basso ventre per ricacciarmi giù.

Bacia la mia figa, chiude le labbra intorno al clitoride, lo succhia.

Le lacrime si fermano. Il piacere sale, si fonde con il dolore, lo sovrasta. Arcuo la schiena e affondo le unghie nel petto.

La lingua di Davide gira intorno al clitoride, si ferma sopra e lo avvolge.

Mugolo sotto la maschera. Il nero si riempie di forme colorate che si muovono dietro le palpebre. Il mondo sparisce e c’è solo piacere.

Davide allontana la lingua. Cammina lungo il tavolo. Mi sfila la maschera.

La luce gialla della taverna mi fa lacrimare gli occhi: li socchiudo e giro la testa.

Davide è piegato sopra di me. Toglie la ball gag, slaccia le polsiere. Mi prende in braccio e il suo abbraccio è caldo, sa di sudore. Mi dà un braccio sulla testa.

«Sei stata bravissima. Ti meriti un bagno caldo.»

Mi lascio andare contro di lui. Si sta bene tra le sue braccia. «Con tanta schiuma?»

«Con tanta schiuma.»

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Non sono masochista, ma… – Racconti erotici http://www.cleisende.it/masochista-racconti-erotici/ Mon, 13 Apr 2020 08:07:25 +0000 https://www.cleisende.it/?p=605 Sara non ama soffrire. Essere legata e maltrattata sì, ma lei non è masochista. O così crede… Un racconto erotico sullo strano legame tra piacere...

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Sara non ama soffrire. Essere legata e maltrattata sì, ma lei non è masochista. O così crede… Un racconto erotico sullo strano legame tra piacere e dolore

I miei piedi nudi affondano nel tappeto. Le librerie a sinistra raggiungono il soffitto e incombono con i loro scaffali traboccanti fumetti, libri e paccottiglia. Arrivano fino in fondo al corridoio, dove si bloccano per lasciare spazio a una porta.

Lui la apre e mi fa cenno con una mano di entrare.

«Prego, madame.» Sorride e mi segue con lo sguardo.

Entro. La porta si chiude.

Le pareti a sinistra e a destra sono coperte da altre librerie, tutte piene. Di fronte a me una finestra si affaccia sulle vie di Milano e sotto, in piena luce, c’è una scrivania con un computer e una sedia da ufficio.

Una stanza normale, come ti aspetteresti fosse quella di una persona normale.

Che cosa pensavo di trovare? Un dungeon con le pareti nere e catene che pendono dal soffitto? Oppure una stanza dei giochi alla Cinquanta Sfumature?

Faccio qualche passo in avanti, la testa stretta tra le spalle. Mi raddrizzo: schiena dritta, ha detto.

Gli angoli accanto alla finestra sono immersi nell’ombra, eppure qualcosa lì in mezzo riflette la luce del primo pomeriggio. Poggiate in ordine su uno scaffale a sinistra ci sono cinque o sei maschere a gas. Gli occhi vuoti di vetro luccicano sulla superficie opaca color verde militare. I bocchettoni per l’aria sbucano come tante proboscidi.

«Belle, vero?» Dice alle mie spalle.

Mi giro. Si è seduto su un divanetto e mi osserva, le gambe allungate in avanti e le braccia incrociate sul petto.

Indica gli scaffali. «C’è altro: guarda ancora.»

Sotto lo scaffale ci sono dei ganci da cui pendono delle corde. Uno di questi ospita qualcosa di tondo. È frusta arrotolata su sé stessa: le estremità pendono per conto proprio ai due lati. È color cuoio, ma alcune parti del manico sono più scure delle altre. Deve averla usata parecchio.

Nell’angolo c’è un portaombrelli, da cui sbucano le punte di frustini neri e marroni. In mezzo a tutti svetta il profilo color avorio e arrotolato su se stesso di un nerbo.

«Vedi qualcosa che ti interessa?»

È proprio dietro di me. Mi volto appena e il suo viso mi sovrasta. Sorride a bocca aperta, i denti scoperti in un ghigno da predatore.

«No, io…» Ho la gola chiusa. Tossicchio, ma la voce rimane comunque roca. «Non sono masochista. Mi piace il bondage, roba così.»

Le cinghie che mi stringono, i respiri che si accorciano e la testa che diventa leggera.

Come sarebbe se mi colpisse con il nerbo mentre non posso fare nulla per reagire?

Ho la faccia bollente e la testa di nuovo incassata tra le spalle. Mi raddrizzo: fa freddo in questa posizione. Sono troppo scoperta.

Alza un sopracciglio. «Ah sì, il bondage. Ho qualcosa qui.»

Tira fuori un trolley di metallo dall’angolo a destra della finestra e lo sdraia per terra. Vi si accoscia davanti. Lo imito. Lo apre e rivela dei compartimenti simili a quelli di una cassetta per gli attrezzi. Dentro vi luccicano morse e pinzette; un paio sono grandi quanto un’unghia, mentre quella nell’angolo potrebbe ingoiarmi tutta la mano.

Afferra una maniglia laterale e il vassoio con i comparti si sposta di lato, rivelando un altro scomparto. Dentro ci sono manette di acciaio, un paio di collari, cinghie e polsiere. Tira fuori un rotolo di cinture nere di pelle. Qualcosa cade a terra in mezzo a noi.

«Intenti qualcosa del genere?»

Annuisco. L’oggetto caduto è accanto al mio ginocchio. È un’asta di metallo, con dei gommini neri alle estremità. La prendo. No, sono due aste di metallo e i gommini le tengono insieme. A cosa serve una cosa del genere?

La alzo davanti al viso e la giro tra le dita.

«Sai cos’è?»

Stringe un’altra barra, identica a quella che ho in mano io.

Faccio cenno di no con la testa.

Il suo sorriso si allarga. «Se vuoi te lo mostro.»

Farà male, ci scommetto: a lui piace il dolore e io non sono masochista.

Il cuore batte tanto da far male dentro il petto, ho la gola secca. Dovrei dire di no, lo conosco appena. E se andasse troppo oltre? No, non lo farebbe mai.

A lui piace il dolore. E il godimento. E l’unione tra le due cose.

Non sono masochista, ma davvero il dolore e il piacere possono diventare una cosa sola? Chi può mostrarmelo meglio di lui? Lui sa quello che fa.

Annuisco e gli porgo la barra.

Allarga le due astine che la compongono e ci infila dentro un polpastrello. Vi si stringono intorno, tenute insieme dai gommini alle estremità. Avvicina il dito al mio viso: la carne intorno alle aste è bianca e la punta del polpastrello è già porpora a causa della stretta.

«Questo è quello che farò con i tuoi capezzoli. Sempre che tu me lo chieda per favore.»

Deglutisco. «Per favore, posso provare?»

«Ripetilo guardandomi in faccia.»

Alzo la testa. Stringe gli occhi dietro gli occhiali e mi fissa.

«Per favore.» Mi trema la voce.

Alza un angolo della bocca. «Per favore cosa?»

Abbasso gli occhi. Li rialzo. Le parole sono bloccate in gola. «Per favore, p-p-posso provare quelli?»

«Provare dove?»

Mi manca l’aria. «Posso provarli s-sui mie ca-capezzoli?»

Poggia le barre a terra accanto a sé. Si sfila gli occhiali, li osserva in controluce e li pulisce con un lembo della felpa. Se li risistema sul naso.

Magari mi stava solo facendo un dispetto e adesso mi dirà di no.

«Come rifiutare, dato che insisti così.» Fa cenno con il dito al mio maglione. «Quello è il caso che tu lo tolga.»

Lo sfilo e lo lascio cadere accanto a me. Ho la pelle d’oca. Stringo le braccia intorno al corpo e le strofino.

«Via le braccia e schiena dritta.» Scivola più vicino a me. «Mi serve che tu tolga anche il reggiseno.»

Slaccio e sfilo anche quello.

«Guardami.»

Regge una delle due barre all’altezza del mio viso. La abbassa e la punta di gomma mi sfiora la gola, l’incavo dei seni, l’ombelico.

Allarga le due astine e le tiene aperte con una mano. Con l’altra afferra la punta del mio capezzolo destro e la tira verso di sé. La passa tra le due aste, lascia che vi si chiudano intorno. Ripete l’operazione con l’altro capezzolo.

Fastidio. Calore. E il dolore?

Sfioro la punta del capezzolo e un brivido parte da lì e scende fino alla figa.

«Fa male?»

Faccio cenno di no con la testa.

«Rimediamo subito, allora.»

Ci sono due elastici alle estremità delle barre: li avvicina al centro e le aste si stringono. Una fitta di dolore mi sale alla testa. Sgrano gli occhi. Alzo una mano, ma lui la afferra per il polso.

«Se vuoi che vada avanti devi stare ferma.» I suoi occhi passano dal mio seno al mio viso. «Se ti muovi sarò costretto a fermarmi e tu non vuoi che mi fermi, vero?»

La fitta di dolore ha lasciato il posto a un pulsare costante. Il calore si muove in onde dai seni al resto del corpo, mi avvolge. Faccio cenno di no con la testa.

Snuda i denti in un ghigno. «Molto bene, ma se permetti non mi fido.»

Infila una mano nella cassetta e tira fuori un paio di polsiere in pelle. Fa cenno con il mento alle mie mani.

Le sollevo di fronte a me. Le barre ondeggiano e una nuova fitta di dolore mi attraversa. Boccheggio: il pulsare dei capezzoli preme contro il petto, come se qualcuno ci si fosse seduto sopra. Prendo un grosso respiro. Il dolore si stempera.

Chiude le strisce di pelle intorno ai miei polsi. Si alza e si inginocchia dietro di me. Tira i polsi all’indietro, li unisce tra loro e li spinge verso il basso.

Mi piego all’indietro, il seno esposto. Sto tremando. Una goccia di sudore scende da sotto l’ascella e segue la linea del fianco. Goccioline punteggiano il seno e un paio di queste stanno sgorgando da sotto la sua attaccatura per farsi strada lungo la pancia.

Lascia le manette e torno dritta. Si alza, passeggia con aria incurante di fronte a me e mi lancia un’occhiata distaccata. Si piega quel tanto che basta per recuperare una goccia di sudore con un dito. Lo annusa.

«Dio mio, sei davvero lurida.» Pulisce il dito sui pantaloni. «Ti rendi conto di essere lurida, vero?»

Annuisco.

«Dillo.»

«Sono lurida.» La voce esce limpida e chiara: il pulsare si è attenuato.

«Decisamente.» Si accoscia di fronte a me. «Ti rendi conto di essere una troia, vero?»

Accarezza i capezzoli con un dito. Un’onda di piacere scende dritta alla figa. Annaspo.

«Non mi hai risposto.» Avvicina ancora al centro gli elastici ai lati delle barre.

La stretta aumenta e il dolore con lei. Ho la testa leggera, la vista annebbiata. Annuisco.

«Ti rendi conto di essere venuta a casa di un semisconosciuto con il solo intento di farti seviziare?» Mi afferra per i capelli e tira la testa all’indietro. Il suo viso è sopra il mio, arrossato per l’eccitazione, gli occhi lucidi. Gli occhiali sono scivolati sul naso sudato.

«Quanto bisogna essere deviati per fare una cosa del genere?»

Una goccia di sudore si stacca dall’ascella e cade sul pavimento. La frangetta si è attaccata alla fronte, una ciocca sporge davanti agli occhi. Il mio corpo trema. C’è solo dolore e calore e un piacere pulsante che mi afferra il seno e la figa. Sono così vuota e la cosa fa così male…

Sopra di me lui mi guarda. Apre la mano e la testa mi ricade sul petto: non ho più muscoli per tenerla alzata, mi sto sciogliendo.

«Guardami.»

Stringo i denti e sollevo la testa. Scivola di lato. Sto annaspando.

Sorride. «Da 1 a 10, quanto vorresti che ti scopassi in questo momento?»

10. Sgrano gli occhi, la nebbia si dilata. Non va bene, lo conosco appena e―

Sospira. «Non ti scoperò. Non questa volta. Però, voglio essere buono.» Allunga una gamba. «Se vuoi, puoi concludere da sola.»

Il suo piede mi sfiora il ginocchio. Devo cavalcarlo come farebbe un cane in calore? Sarebbe umiliante, sarebbe… sarebbe sbagliato.

Scivolo indietro sulle ginocchia e le barre attaccate ai capezzoli ondeggiano. Dolore. Piacere. La figa pulsa, mi prega di farlo.

Avanzo, lascio che il piede passi sotto di me, mi poggio sui jeans scuri. Lo devo guardare: alzo la testa e lui è mille miglia sopra di me, le braccia incrociate, gli occhi stretti dietro gli occhiali.

Muovo il bacino: sollievo.

Si piega in avanti, la sua faccia è a un soffio dalla mia.

Strofino la figa sulla sua gamba, il piacere monta, la nebbia si infittisce. Tiro la testa all’indietro, mi mordo le labbra. Accelero. Ad ogni movimento piccole scosse partono dai capezzoli e quelle che partono dalla figa e salgono alla testa.

Apro la bocca per respirare, ma i polmoni sono stretti, il corpo è contratto. Non ho più aria e non ne ho più bisogno.

Le sue mani si chiudono sulle barre, le tirano. Dà uno scossone e i capezzoli sono liberi. Il dolore riempie il mondo di macchie colorate che punteggiano il bianco dell’orgasmo. Tremo una volta, due. La figa si contrae sulla gamba.

Crollo in avanti, poggiata contro di lui. Il tremito scema, il calore si dirada. Una mano mi accarezza i capelli e l’altra mi passa un fazzoletto sul viso: ho pianto? Ho gli occhi appiccicaticci, quindi è probabile.

Si sfila da sotto di me e ricado contro il bordo del divano. Armeggia dietro di me. Ho le braccia libere.

«Preparo un tè caldo. Ti va?»

È sulla soglia della stanza. Ha i capelli scompigliati e gli occhiali un po’ storti.

«Io…» Ho la voce roca. «Io non sono masochista.»

Alza un sopracciglio. «Non oserei mai insinuare una cosa del genere.»

Le guance mi diventano bollenti. «Non sono masochista, ma non è stato male. Potrei anche rifarlo.»


Hai ancora voglia di BDSM?

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Fammi un massaggio – Racconti erotici http://www.cleisende.it/massaggio-racconti-erotici/ Thu, 13 Feb 2020 08:04:05 +0000 https://www.cleisende.it/?p=589 Quante volte un massaggio è diventato una scusa per qualcosa di più? Nella realtà, meno di quanto ci piacerebbe. Nei racconti erotici… Sfilo il vestito...

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Quante volte un massaggio è diventato una scusa per qualcosa di più? Nella realtà, meno di quanto ci piacerebbe. Nei racconti erotici…

Sfilo il vestito e lo butto sulla sedia davanti alla scrivania. Levo i tacchi con un calcio, facendoli finire dall’altra parte della stanza.

Riccardo si toglie le scarpe e le poggia vicino al suo comodino, una accanto all’altra. Segue con lo sguardo i miei collant appallottolati che volano dietro i tacchi. Alza un sopracciglio.

Faccio spallucce. «Tanto sono da lavare.»

«Ci vuole poco a metterli nel cesto―»

Lo prendo per la cravatta e lo strattono verso di me. Gli poggio un bacio a stampo sulle labbra: sanno di birra. O forse sono le mie. Faccio uscire la lingua e cerco un varco nella bocca serrata di Riccardo. Ne seguo il profilo, mi sposto sulla guancia e sul collo.

Riccardo tira indietro la testa e scopre la gola. «Vuoi distrarmi?»

Passo la lingua sulla gola, fino al collo della camicia. Slaccio un paio di bottoni e scendo ancora. Risalgo fino al collo, mi stacco.

Mi siedo sul bordo del letto, gambe accavallate.

«Non dovevi farmi un massaggio?»

«Un massaggio?» Aggrotta la fronte.

«Me l’hai promesso prima, quando eravamo ancora al ristorante.»

Slaccia gli ultimi bottoni della camicia. Si siede accanto a me, la camicia aperta ancora indosso. Fa correre gli occhi lucidi dal mio viso al seno scoperto, giù fino alle mutandine.

Si lecca le labbra. «Okay, vada per il massaggio. Sdraiati a pancia in giù.»

Faccio come mi ha detto. Incrocio le braccia sotto la testa e chiudo gli occhi. I muscoli si rilassano, è come se stessi scivolando dentro il materasso e poi ancora più giù. La testa è pesante.

Il materasso si abbassa sotto di me e le gambe di Riccardo mi sfiorano all’altezza delle reni. Le sue mani calde si poggiano sulla mia schiena, la accarezzano dalle spalle lungo la colonna vertebrale. Si staccano.

Qualcosa di morbido e tiepido mi tocca una spalla. Vibra e le sua vibrazioni penetrano dentro la mia carne, sciolgono le tensioni.

Apro gli occhi e faccio per alzare la testa.

La mano di Riccardo mi spinge contro il cuscino. «Tu non ti preoccupare.»

Le vibrazioni si spostano sull’altra spalla, scendono sulle clavicole.

Lascio andare un sospiro.

Riccardo avvicina la bocca al mio orecchio. «Devo andare avanti?»

«Ti prego…»

Il massaggio si abbassa, prende una chiappa, l’altra chiappa. Prosegue nell’interno coscia e una vampata di calore mi prende il bassoventre.

Giro la testa, ma Riccardo mi ricaccia giù. La sua mano preme contro la mia guancia, il pollice si insinua tra le labbra. Alzo gli occhi e la sua ombra è piegata sopra di me, incorniciata dai lembi aperti della camicia.

Solleva il busto e infila prima una gamba e poi l’altra in mezzo alle mie, inginocchiandosi dietro di me e costringendomi ad aprirmi per lui.

«Ti vedo un po’ tesa in questa zona.»

La vibrazione sfiorano la figa.

«Ah! Ma cosa―»

La mano di Riccardo si stringe intorno alla mia bocca.

«Piano, che è tardi,» sussurra sopra di me.

Qualcosa di tondo si fa strada tra le mie gambe, penetra dentro di me. Un’altra escrescenza liscia e tiepida mi sfiora il clitoride: un vibratore rabbit? Non importa. Le vibrazioni mi fanno tremare da dentro e da fuori.

Tiro indietro gli occhi e gemo, ma la mano di Riccardo soffoca i miei lamenti.

«Va meglio? Sei più rilassata?»

Il vibratore si spegne. Riccardo si alza e scende dal letto.

«Non ti muovere, non girarti.»

Qualcosa scivola a terra, un cassetto si apre e si richiude. Il materasso si abbassa e Riccardo è in mezzo alle mie gambe. Si piega su di me con un grosso sorriso in faccia. Stringe le sue mutande in pugno.

«Vuoi che prosegua con il massaggio?»

Il senso di vuoto in mezzo alle gambe mi prende la gola e toglie il fiato.

«Sì, scopa―»

Ficca l’involto di mutande tra le mie labbra e lo spinge fin quando non è tutto dentro. La stoffa sa di ammorbidente e di sudore e mi sfiora la gola, mozzandomi il respiro.

Riccardo mi accarezza una guancia sformata dal bavaglio. «Amore, è tardi. Bisogna fare silenzio.»

Giusto: bisogna fare silenzio.

Il vibratore rabbit riparte.

Conficco le unghie nelle lenzuola e vi affondo la faccia dentro. Alzo i glutei e Riccardo li accarezza con movimenti circolari. Allontana la mano e armeggia alle mie spalle. Due dita viscide e fredde penetrano nel mio culo.

«Vedo che ti piace il massaggio.»

La punta del cazzo si fa strada al posto delle dita. Entra ed esce, entra di nuovo più a fondo. Si muove dentro di me al ritmo del vibratore, penetra tutto fino in fondo. Le palle di Riccardo rimbalzano contro le mie chiappe e lui mi spacca in due, affondando fin dentro le viscere.

Muovo la bocca intorno al bavaglio, mugolo di piacere. Il mondo si annulla nel mio orgasmo.

Riccardo si poggia sopra la mia schiena, il suo corpo contro il mio. I suo capelli mi sfiorano il naso, i suoi occhi incontrano i miei. Sorride. Digrigna i denti, stringe gli occhi e viene.

Sbatte gli occhi, si solleva e scivola accanto a me. Mi accarezza la testa e sfila le mutande dalla mia bocca.

È indolenzita: la apro e la chiudo un paio di volte.

Sogghigna. «Andava bene il massaggio?»

Sfilo il sex toy dalla figa: ha usato il vibratore rabbit con la testina da magic wand, il furbacchione.

Faccio spallucce. «Sì, poteva andare.»

Aggrotta la fronte. «Come poteva andare?»

Rispondo con una linguaccia e lo spingo a pancia in giù. Gli salto a cavalcioni.

«Dai, che adesso è il mio turno di farti un massaggio.»

Lascia andare le braccia lungo il corpo con un sospiro e chiude gli occhi, annuendo.

Gli accarezzo il collo e scendo lungo la colonna vertebrale. Trema sotto di me.

Mi allungo fino al cassetto del comodino ancora aperto, cercando a tentoni.

«Occhi chiusi, mi raccomando.» La mano sfiora un grosso ferro di cavallo. Tiro fuori lo stimolatore prostatico rabbit.

«Tu rilassati: adesso ci penso io a te.»


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Nel silenzio – Racconti erotici http://www.cleisende.it/silenzio-racconti-erotici/ Sun, 13 Oct 2019 06:40:32 +0000 https://www.cleisende.it/?p=585 Come sarebbe eliminare qualsiasi contatto con l’esterno e lasciare spazio solo ai pensieri, al piacere? Questo racconto erotico parla proprio di questo Marco dà un...

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Come sarebbe eliminare qualsiasi contatto con l’esterno e lasciare spazio solo ai pensieri, al piacere? Questo racconto erotico parla proprio di questo

Marco dà un ultimo giro di pellicola intorno alle mie caviglie e strappa via il rotolo. Mi osserva con un sorriso, facendo passare lo sguardo lungo tutto il mio corpo. Avvicina la punta delle dita contro le piante dei miei piedi. Il sorriso si allarga. Le sfiora con le unghie, dal basso verso l’alto, dall’alto verso il basso.

Ridacchio e cerco di tirare indietro il piede, ma la pellicola mi blocca.

Aumenta il ritmo. Il prurito si trasforma in solletico.

La risatina diventa una risata isterica. Il solletico sale dalla pianta dei piedi, mi prende le gambe, le braccia, il petto. Mi contorco, piego le gambe all’altezza delle ginocchia per allontanarle. Marco le segue.

«Ti prego…» Risata. «Ti prego, smettila.»

Si blocca. «Giusto. Il solletico lo teniamo per un’altra volta.»

Percorre il perimetro del letto e si avvicina alla mia testa. Mi accarezza una guancia, fa scendere la mano lungo il collo, sul petto, fino ai seni. Solletica i capezzoli scoperti, scende lungo la pancia e accarezza il clitoride.

Il calore scivola sotto la pellicola, fino alla figa chiusa in mezzo alle cosce pressate tra loro.

Socchiudo gli occhi, mi lecco le labbra.

Allontana la mano. «Batti una mano per dirmi che sei al limite, tutte due per fermarmi. Va bene?»

E cosa devo battere per pregarti di andare avanti?

Sospiro. «Va bene.»

Marco apre il primo cassetto del comodino e tira fuori una ball gag. Si siede sul letto, piegato su di me, la ball gag tesa tra le mani e gli occhi liquidi.

«Apri la bocca, amore mio.»

Obbedisco. La palla di silicone mi costringe a spalancare la bocca, mi blocca la lingua. Sollevo la testa quel tanto che basta per far passare le cinghie. Marco le stringe con uno strattone e mi appoggia di nuovo la testa sul cuscino.

Immerge la mano nel cassetto e ne tira fuori due tappi per le orecchie. Mi volta da un lato, ne infila uno in un orecchio e fa lo stesso dall’altro lato.

Si piega su di me. «Mi senti?» La sua voce è un sussurro.

Avvicino pollice e indice tra loro: un pochino.

Sposta gli occhi sulla mia mano e annuisce. Tira fuori dal cassetto una mascherina, me la infila.

Cala il buio.

Qualcosa di morbido si poggia su entrambe le orecchie; violini e pianoforti suonano in lontananza. Il mondo sparisce sulle note della musica classica che trapela dai tappi per le orecchie. Mugolo, ma anche il suono della mia stessa voce è un ricordo lontano.

Le coperte sono morbide sotto di me, mi accolgono come un nido. Ci sto affondando dentro, sto galleggiando nelle tenebre, sempre più in basso, cullata dalle lenzuola della madre di Marco. Il mio corpo fa su e giù, su e giù nel buio.

Marco è ancora accanto a me? Sì, dev’essere per forza qui: non si allontanerebbe mai lasciandomi da sola in queste condizioni.

Dov’è? Mi sta guardando poggiato all’armadio di fronte al letto? Oppure è in piedi proprio qui accanto, piegato su di me per vedere come reagisco? Piego la testa di lato, verso il fantasma della sua presenza. Sì, è lì: l’odore del nostro bagnoschiuma alla rosa è più intenso.

Un polpastrello mi sfiora il collo e ne percorre la linea. Il brivido rimbalza nel buio in cui sono immersa, fa tremare il nido nel quale galleggio.

Tiro indietro la testa e il tocco si interrompe.

Sono sola.

No, ecco Marco. Qualcosa di morbido tocca lo stesso punto del collo, accompagnato da un soffio di calore. Mi sta baciando il collo e sta scendendo verso i miei seni. La bocca di Marco incontra la pellicola e preme contro la mia carne attraverso la barriera. Scende, si ferma sul capezzolo.

Il piacere mi fa tremare. Mugolo e la saliva si raccoglie intorno alla ball gag, scivola fuori dalla bocca. Uno, due rivoli caldi gocciolano dalle labbra sul mento, giù per il collo.

Il tocco sparisce.

Galleggio nel vuoto. Il calore del respiro di Marco è ancora intorno a me. Il suo alito mi sfiora il seno sinistro; no, il seno destro. Le sue labbra si stanno avvicinando al mio collo, dove si sono appoggiate prima.

Piego la testa di lato per offrirglielo. Niente. Galleggio nel vuoto, da sola.

Un bacio si poggia sul clitoride.

Il tocco esplode nelle tenebre, il mio nido rotea e salta su cavalloni di calore e di piacere.

Galleggio nel vuoto, ancorata solo a quelle labbra che mi succhiano e mi leccano e mi trascinano verso di loro.

Piego la schiena ad arco e i muscoli si tendono sotto la pellicola, che mi comprime in un rotolo di carne e sudore. Affondo i denti nella ball gag, strabuzzo gli occhi sotto la maschera. Macchie bianche ondeggiano nel nero, intervallate da esplosioni di colore.

Le labbra di Marco succhiano il clitoride e io mi irrigidisco, mi comprimo per assorbire tutto il piacere che galleggia intorno a me. L’orgasmo esplode nel buio, le correnti che mi trasportano impazziscono e faccio su e giù, avanti e indietro nel nulla.

Urlo, ma la mia voce sparisce in mezzo al niente. Urlo ancora e ancora. Sono sola, nessuno mi sente.

Una mano mi sfiora la guancia e la tempesta si placa. Il suono lontano dei violini sparisce. Marco mi toglie un tappo dalle orecchie e poi l’altro.

«…a posto?»

Sì, è tutto a posto. È tutto a posto.

Mi solleva un poco la testa e slaccia la ball gag. Me la sfila dalle labbra: sono intorpidite e incrostate di saliva. Toglie la benda e la luce del sole mi costringe a socchiudere gli occhi.

Sbatto le palpebre un paio di volte con la testa girata di lato. La luce si attenua. Giro la testa e Marco è sopra di me, seduto sul letto. Il mondo si è fermato.

Sono uscita dal silenzio.


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Pausa dal lavoro – Racconti Erotici http://www.cleisende.it/pausa-lavoro-racconti-erotici/ Mon, 12 Aug 2019 07:47:09 +0000 https://www.cleisende.it/?p=597 Che disastro quando il lavoro si accumula e non hai tempo nemmeno per respirare. Per fortuna Catia ha Davide e tu hai i miei racconti...

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Che disastro quando il lavoro si accumula e non hai tempo nemmeno per respirare. Per fortuna Catia ha Davide e tu hai i miei racconti erotici

Ho la bocca asciutta e la testa ovattata. Mi devo essere appisolata mentre lavoravo.

Ispiro: profumo di carne, rosmarino e pepe, accompagnato dal rumore di stoviglie proveniente dall’altra stanza. Davide sta preparando l’arrosto.

Sorrido.

Apro gli occhi e tendo le braccia in avanti, ma qualcosa le blocca.

Sono legate ai braccioli della poltrona con i nastri neri che teniamo sotto il materasso, all’altezza dei polsi e poco sotto il gomito.

Faccio per muovere le gambe, ma sono bloccate anche quelle.

«Davide?» Urlo. Dev’essere stato per forza lui: che diamine gli sarà passato per la testa?

Si affaccia alla porta dello studio.

«Ben svegliata, amore. Una ventina di minuti e l’arrosto è pronto.» Sorride come se fosse tutto normale.

Indico i nastri con il mento. «Cos’è questa storia?»

Aggrotta le sopracciglia in una finta espressione di sorpresa. «Ti piace quando ti lego al letto, no?»

Ho la testa pesante, lo stomaco brontola e c’è ancora tutto il ventunesimo capitolo da tradurre. E mio marito mi fa perdere tempo con questi giochetti!

«Non è proprio la stessa cosa.» Tengo la voce bassa, per non urlargli in faccia.

«No, non lo è.»

Davide entra nella stanza e si avvicina a me. Indossa il suo grembiule da cucina bianco, dal quale sbucano le gambe e le braccia nude. Sotto la stoffa bianca traspaiono i capezzoli e il cespuglio ricciuto dell’inguine. Ha con sé uno zainetto nero. Il nostro zainetto dei giochi.

Ho la faccia calda: sto diventando rossa, ci scommetto. Come sempre, quando sono eccitata.

Poggia lo zainetto accanto alla sedia e si inginocchia di fronte a me.

«Stai lavorando troppo: non esci di casa da due settimane, sei sempre stressata. Ti fa male.»

«Non capisco cosa―»

Mi poggia un dito sulle labbra. «Ho una proposta.» Apre lo zainetto.

«Se riesco a farti venire cinque volte prima che l’arrosto sia pronto, dopo cena ci sistemiamo e andiamo al cinema e ti dimentichi per una sera del lavoro.»

«Non ho tempo per―»

«Ne sei sicura?» La sua mano passa sui miei seni. Un brivido scende dalla base del collo lungo la schiena.

Mi slaccia i pantaloncini con una mano. Infila l’altra sotto la t-shirt e punzecchia il capezzolo sinistro.

Gemo.

La mano si sposta sul capezzolo destro.

Sorride. «Sicura?»

Diavolo, no che non sono sicura! Inarco la schiena e i lacci premono contro la carne, trattenendomi. Strizzo gli occhi.

La mano si allontana.

Rilasso la schiena e piombo sulla poltrona, tremante. Sospiro: meglio così, dai, c’è ancora tanto da fare.

Davide infila una mano nello zaino e ne tira fuori due oggetti, un siluro e un disco, entrambi più piccoli del palmo della mia mano. La coppia di vibratori che usiamo sempre. I nostri giocattolini preferiti.

Un angolo della mia bocca si alza da solo.

Davide risponde al mio sorriso con un ghigno e li accende. Poggia il siluro sul clitoride e il disco sul capezzolo sinistro.

Le vibrazioni mi attraversano da capo a piedi.

Tiro gli occhi all’indietro, spalanco la bocca per urlare, ma mi manca la voce. La mente si fa bianca, tremo, mi sciolgo.

«Uno,» sussurra Davide.

Dannazione, mi sono fatta fregare! Il lavoro, devo pensare al lavoro! Chiudo gli occhi. La traduzione del termine uber nel contesto― Le vibrazioni mi riempiono la testa. A cosa stavo pensando? Esiste solo la mia figa. La mia figa è il centro del mondo.

Mi contraggo, digrigno i denti e mi sciolgo.

«Due.»

«Non…» Le lettere si fondono nella testa e si trasformano in un lamento soffocato.

Ansimo, stringo le mani intorno ai braccioli. Tiro la testa all’indietro.

«Non va― Ah!» Strabuzzo gli occhi: ha aumentato l’intensità e il mondo vortica intorno alla sedia.

Davide mi guarda da sotto e ghigna. Sposta il disco sul capezzolo destro e toglie il siluro dal clitoride.

La nebbia si dipana.

«Non vale così,» sbraito.

«No?»

Infila il siluro nella figa. Le vibrazioni mi prendono la bocca dello stomaco, salgono fino ai polmoni e mi strappano il respiro. Urlo.

«Tre… Forse hai ragione, sai?»

Sfila l’ovetto da dentro di me. Lo poggia di lato insieme all’altro stimolatore. Mi abbassa i pantaloncini alle caviglie e affonda la faccia tra le mie cosce.

Il bacio a fior di labbra sul monte di venere mi fa venire la pelle d’oca. Il suo fiato è caldo, la bocca è calda e umida. Scende fino al clitoride, lo bacia, lo lecca. Tiene gli occhi fissi su di me.

L’onda di calore sale, ma la ricaccio indietro: non posso, non posso, non posso…

Davide succhia. Le dita si fanno strada dentro la figa e mi contraggo intorno a loro. Sono vuota e ho solo bisogno che qualcuno mi riempia. Stacco la schiena dalla poltrona, mi alzo e i lacci mi tirano di nuovo giù. Davide mi segue, la bocca attaccata al clitoride.

Mi mordo le labbra, gemo.

Si stacca. «Quattro.»

Si raddrizza. Ha due dita dentro di me. Gira il palmo della mano verso l’alto, piega le dita a uncino e le preme nella figa, fino in fondo. Le muove avanti e indietro. Mi colpisce le viscere, mi scava dentro.

Tiro indietro gli occhi. Ho solo il bianco in testa e la figa scotta ed esisto solo per quelle due dita che mi stanno artigliando.

Stringo i muscoli per risucchiare Davide ancora più dentro.

Mi sciolgo.

Liberazione.

Un liquido caldo schizza fuori dalla figa e bagna poltrona, pantaloni e Davide.

«Cinque.»

Arriva un trillo dalla cucina. Davide si alza e mi bacia. Ha addosso l’odore acidulo del mio sesso.

«Tolgo l’arrosto dal forno. Tu intanto pensa al film per stasera.»

Si alza e sparisce oltre la porta.

Sono sudata e mi manca il fiato, eppure la stanchezza è passata. Sorrido al soffitto e prendo un grosso respiro: sì, una bella serata al cinema è proprio quello che ci vuole.


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