“Ho imparato a odiarti” di Vi Keeland e Penelope Ward (“Hate notes”, in originale) è il classico romance con due punti di vista e due protagonisti. In apparenza. In realtà, il protagonista è uno solo
La mia recensione di “Ho imparato a odiarti” non è del tutto negativa ma nemmeno positiva, metto subito le mani avanti. In linea con la policy del blog, avrei dovuto metterlo da parte e fare finta di niente, eppure eccomi qua: perché?
Nonostante i tanti difetti, questo romance ha avuto un ottimo riscontro da parte del pubblico italiano e straniero. A mio dire, buona parte del merito va all’inizio e a una delle due linee narrative, ovvero quella del protagonista maschile Reed. Giocando con questi due elementi, le autrici sono riuscite a compensare una protagonista femminile poco coinvolgente come Charlotte.
Andiamo più nel dettaglio.
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Di cosa parla “Ho imparato a odiarti”
Il romanzo inizia con la ventottenne Charlotte alla canna del gas: ha scoperto che il fidanzato la tradiva, l’ha mollato a un passo dall’altare, si è dovuta licenziare (perché ovviamente lavorava con l’ex), è rimasta senza un soldo.
Pacchetto completo, insomma.
Mentre cerca di rivendere il vestito da sposa, trova un abito stupendo con un biglietto azzurro all’interno. Il biglietto è scritto da un tale Reed ed è dedicato ad Allison, probabilmente la ex proprietaria del vestito. Charlotte rimane folgorata dal romanticismo che trasuda dal biglietto, tanto che cerca l’autore online. Lo trova e scopre che lavora per un’importante agenzia immobiliare. Ed è single.
Adesso non resta che trovare un modo per incontrarlo.
Due protagonisti con i quali empatizzare
L’inizio di “Ho imparato a odiarti” ha un enorme pregio: ti mette dalla parte di entrambi i protagonisti. Charlotte emerge fin da subito come una brava ragazza, forse un po’ troppo impulsiva, che però non merita ciò che le sta capitando. Insomma, la ragazza ci viene presentata come una brava persona presa a calci dalla vita, il che suscita in noi tenerezza e voglia di vederla vincere.
Come si suol dire: la prima impressione è tutto.
Non vediamo subito Reed, ma sembra un ragazzo romantico e innamorato, probabilmente mollato sull’altare per colpe non sue. O almeno questo crede Charlotte, contagiando noi lettori con questa convinzione. Non è molto, ma è comunque meglio di niente: nel primo incontro con Charlotte, infatti, Reed si comporta un po’ da stronzo.
Se avessimo visto prima lo stronzo e poi l’uomo romantico, sarebbe stato più difficile prendere a cuore la sua sorte.
I cambiamenti di Reed e l’immobilità di Charlotte
I problemi iniziano (o meglio, diventano evidenti) dopo il primo incontro tra i due. Charlotte fissa un appuntamento per visitare un loft che non può permettersi, presa dalla curiosità. Reed capisce subito che è lì solo per curiosare, quindi la umilia e la accusa di voler far perdere tempo alla gente che lavora. Lei scoppia a piangere e scappa in bagno.
Qui le cose precipitano.
In bagno, Charlotte incontra una simpatica signora di nome Iris che l’ascolta sfogarsi. Signora che si scopre essere la proprietaria dell’agenzia e la nonna di Reed, nonché l’emissaria del messaggio del romanzo: “segui le tue passioni fregandotene di quello che pensa il mondo”. Iris, questo è il suo nome, porta il messaggio prima a Charlotte e poi a Reed, ma i due reagiscono in modo diverso.
Reed si comporta da protagonista, per così dire: sulle prime bolla il consiglio come una cazzata, facendo di tutto per andare avanti con la propria vita. Man mano che la storia va avanti, si convince della bontà del consiglio della nonna e inizia a cambiare, finché questo cambiamento non lo porta al lieto fine. Noi lettori lo seguiamo lungo il percorso, facendo il tifo per lui e soffrendo insieme a lui, quando le cose vanno male.
Per Charlotte è diverso. Nel corso del romanzo, dichiara più volte di essersi annullata mentre stava con il suo ex. Non abbiamo motivo per non crederle. Nel corso della storia, però, fa tutto tranne che annullare i propri desideri: già prima dell’incontro con Iris, Charlotte si è portata a casa un abito da sposa inutile e ha messo su una sceneggiata per vedere l’autore del biglietto, entrambe decisioni prese sull’onda della passione. Il cambiamento c’è stato, ma precede l’inizio del romanzo.
Il fatto che Charlotte non cambi lungo la storia non sarebbe necessariamente un problema, anche se rende più difficile legarsi a lei. In teoria, sarebbe potuta essere una di quei protagonisti che funge da catalizzatore, spingendo gli altri personaggi a cambiare.
No, il problema è un altro: Charlotte non ha niente da perdere.
Perché Charlotte non è una vera protagonista
L’inizio serve per farci affezionare ai protagonisti, ma è inutile senza una posta in gioco. Affinché la storia sia davvero appassionante, i protagonisti devono avere una posta in gioco, ovvero qualcosa che rischiano di perdere. Non dev’essere necessariamente questione di vita o di morte, ma dev’essere importante per loro e difficile da ottenere. In “Ho imparato a odiarti”, l’unico ad avere una vera posta in gioco è Reed.
Reed viene fin da subito mostrato come un uomo che vive solo per il lavoro, che ha rinunciato a tutte le cose belle della vita. All’inizio non sappiamo cos’è successo con Allison, ma è stato chiaramente doloroso. Quando Charlotte entra nella sua vita, fa di tutto per tirarlo fuori dal guscio che si è costruito e lui, ovviamente, sulle prime fa resistenza.
Noi lettori capiamo subito che la vera posta in gioco non è la storia con Charlotte, ma una vita piena di amore e di gioia. Se Reed rifiuterà i sentimenti che prova per Charlotte, si chiuderà definitivamente in se stesso e non ne uscirà più. Questa consapevolezza ci mette in ansia per lui, spingendoci ad andare avanti nella storia.
E Charlotte?
Charlotte non ha niente da perdere, o così sembra. Se dovesse andare male con Reed, si leccherà le ferite e andrà avanti per la propria strada: ce lo dimostra più volte. Il lavoro offerto da Iris è ben pagato, ma non è il lavoro dei sogni: se dovesse perderlo, ne troverà un altro. Inoltre, le autrici ci fanno sapere che sia Reed sia la nonna sia il fratello di lui si prodigherebbero per cercale un altro lavoro.
Meglio per lei, ci mancherebbe, però questo rende la sua parte della vicenda molto meno interessante. Di fatto, la storia avrebbe funzionato anche senza il suo punto di vista, a parte per l’inizio. Il suo unico compito è innescare il cambiamento di Reed. Per carità, non c’è niente di male, ma è un po’ poco per un protagonista.
La “posta in gioco” di Charlotte (Spoiler)
Chi ha letto il romanzo potrebbe replicare che, non fosse stato per il rapporto con Reed, Charlotte non avrebbe mai trovato la madre prima che questa morisse. Vero, ma c’entra poco con il concetto della posta in gioco.
Reed si mette a cercare la madre di Charlotte per conto suo, senza chiederle niente. Quando la trova, Charlotte lo segue senza protestare né esitare. Il ritrovamento della donna non dipende dalle azioni di Charlotte, quindi, quanto da una buona dose di fortuna. Inoltre, il tutto avviene verso la fine: i lettori non sviluppano alcuna tensione nel corso del romanzo, che dovrebbe essere il compito della posta in gioco.
In definitiva, “Ho imparato a odiarti” è un romanzo che si fa leggere. Peccato che una buona metà verta su una protagonista che non cambia, non si trova mai davvero in difficoltà, non ha niente da perdere. Il suo unico ruolo è fungere da punto di vista femminile, fondamentale in romanzi di questo genere.
Peccato.