Che disastro quando il lavoro si accumula e non hai tempo nemmeno per respirare. Per fortuna Catia ha Davide e tu hai i miei racconti erotici

Ho la bocca asciutta e la testa ovattata. Mi devo essere appisolata mentre lavoravo.

Ispiro: profumo di carne, rosmarino e pepe, accompagnato dal rumore di stoviglie proveniente dall’altra stanza. Davide sta preparando l’arrosto.

Sorrido.

Apro gli occhi e tendo le braccia in avanti, ma qualcosa le blocca.

Sono legate ai braccioli della poltrona con i nastri neri che teniamo sotto il materasso, all’altezza dei polsi e poco sotto il gomito.

Faccio per muovere le gambe, ma sono bloccate anche quelle.

«Davide?» Urlo. Dev’essere stato per forza lui: che diamine gli sarà passato per la testa?

Si affaccia alla porta dello studio.

«Ben svegliata, amore. Una ventina di minuti e l’arrosto è pronto.» Sorride come se fosse tutto normale.

Indico i nastri con il mento. «Cos’è questa storia?»

Aggrotta le sopracciglia in una finta espressione di sorpresa. «Ti piace quando ti lego al letto, no?»

Ho la testa pesante, lo stomaco brontola e c’è ancora tutto il ventunesimo capitolo da tradurre. E mio marito mi fa perdere tempo con questi giochetti!

«Non è proprio la stessa cosa.» Tengo la voce bassa, per non urlargli in faccia.

«No, non lo è.»

Davide entra nella stanza e si avvicina a me. Indossa il suo grembiule da cucina bianco, dal quale sbucano le gambe e le braccia nude. Sotto la stoffa bianca traspaiono i capezzoli e il cespuglio ricciuto dell’inguine. Ha con sé uno zainetto nero. Il nostro zainetto dei giochi.

Ho la faccia calda: sto diventando rossa, ci scommetto. Come sempre, quando sono eccitata.

Poggia lo zainetto accanto alla sedia e si inginocchia di fronte a me.

«Stai lavorando troppo: non esci di casa da due settimane, sei sempre stressata. Ti fa male.»

«Non capisco cosa―»

Mi poggia un dito sulle labbra. «Ho una proposta.» Apre lo zainetto.

«Se riesco a farti venire cinque volte prima che l’arrosto sia pronto, dopo cena ci sistemiamo e andiamo al cinema e ti dimentichi per una sera del lavoro.»

«Non ho tempo per―»

«Ne sei sicura?» La sua mano passa sui miei seni. Un brivido scende dalla base del collo lungo la schiena.

Mi slaccia i pantaloncini con una mano. Infila l’altra sotto la t-shirt e punzecchia il capezzolo sinistro.

Gemo.

La mano si sposta sul capezzolo destro.

Sorride. «Sicura?»

Diavolo, no che non sono sicura! Inarco la schiena e i lacci premono contro la carne, trattenendomi. Strizzo gli occhi.

La mano si allontana.

Rilasso la schiena e piombo sulla poltrona, tremante. Sospiro: meglio così, dai, c’è ancora tanto da fare.

Davide infila una mano nello zaino e ne tira fuori due oggetti, un siluro e un disco, entrambi più piccoli del palmo della mia mano. La coppia di vibratori che usiamo sempre. I nostri giocattolini preferiti.

Un angolo della mia bocca si alza da solo.

Davide risponde al mio sorriso con un ghigno e li accende. Poggia il siluro sul clitoride e il disco sul capezzolo sinistro.

Le vibrazioni mi attraversano da capo a piedi.

Tiro gli occhi all’indietro, spalanco la bocca per urlare, ma mi manca la voce. La mente si fa bianca, tremo, mi sciolgo.

«Uno,» sussurra Davide.

Dannazione, mi sono fatta fregare! Il lavoro, devo pensare al lavoro! Chiudo gli occhi. La traduzione del termine uber nel contesto― Le vibrazioni mi riempiono la testa. A cosa stavo pensando? Esiste solo la mia figa. La mia figa è il centro del mondo.

Mi contraggo, digrigno i denti e mi sciolgo.

«Due.»

«Non…» Le lettere si fondono nella testa e si trasformano in un lamento soffocato.

Ansimo, stringo le mani intorno ai braccioli. Tiro la testa all’indietro.

«Non va― Ah!» Strabuzzo gli occhi: ha aumentato l’intensità e il mondo vortica intorno alla sedia.

Davide mi guarda da sotto e ghigna. Sposta il disco sul capezzolo destro e toglie il siluro dal clitoride.

La nebbia si dipana.

«Non vale così,» sbraito.

«No?»

Infila il siluro nella figa. Le vibrazioni mi prendono la bocca dello stomaco, salgono fino ai polmoni e mi strappano il respiro. Urlo.

«Tre… Forse hai ragione, sai?»

Sfila l’ovetto da dentro di me. Lo poggia di lato insieme all’altro stimolatore. Mi abbassa i pantaloncini alle caviglie e affonda la faccia tra le mie cosce.

Il bacio a fior di labbra sul monte di venere mi fa venire la pelle d’oca. Il suo fiato è caldo, la bocca è calda e umida. Scende fino al clitoride, lo bacia, lo lecca. Tiene gli occhi fissi su di me.

L’onda di calore sale, ma la ricaccio indietro: non posso, non posso, non posso…

Davide succhia. Le dita si fanno strada dentro la figa e mi contraggo intorno a loro. Sono vuota e ho solo bisogno che qualcuno mi riempia. Stacco la schiena dalla poltrona, mi alzo e i lacci mi tirano di nuovo giù. Davide mi segue, la bocca attaccata al clitoride.

Mi mordo le labbra, gemo.

Si stacca. «Quattro.»

Si raddrizza. Ha due dita dentro di me. Gira il palmo della mano verso l’alto, piega le dita a uncino e le preme nella figa, fino in fondo. Le muove avanti e indietro. Mi colpisce le viscere, mi scava dentro.

Tiro indietro gli occhi. Ho solo il bianco in testa e la figa scotta ed esisto solo per quelle due dita che mi stanno artigliando.

Stringo i muscoli per risucchiare Davide ancora più dentro.

Mi sciolgo.

Liberazione.

Un liquido caldo schizza fuori dalla figa e bagna poltrona, pantaloni e Davide.

«Cinque.»

Arriva un trillo dalla cucina. Davide si alza e mi bacia. Ha addosso l’odore acidulo del mio sesso.

«Tolgo l’arrosto dal forno. Tu intanto pensa al film per stasera.»

Si alza e sparisce oltre la porta.

Sono sudata e mi manca il fiato, eppure la stanchezza è passata. Sorrido al soffitto e prendo un grosso respiro: sì, una bella serata al cinema è proprio quello che ci vuole.


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