Sara non ama soffrire. Essere legata e maltrattata sì, ma lei non è masochista. O così crede… Un racconto erotico sullo strano legame tra piacere e dolore
I miei piedi nudi affondano nel tappeto. Le librerie a sinistra raggiungono il soffitto e incombono con i loro scaffali traboccanti fumetti, libri e paccottiglia. Arrivano fino in fondo al corridoio, dove si bloccano per lasciare spazio a una porta.
Lui la apre e mi fa cenno con una mano di entrare.
«Prego, madame.» Sorride e mi segue con lo sguardo.
Entro. La porta si chiude.
Le pareti a sinistra e a destra sono coperte da altre librerie, tutte piene. Di fronte a me una finestra si affaccia sulle vie di Milano e sotto, in piena luce, c’è una scrivania con un computer e una sedia da ufficio.
Una stanza normale, come ti aspetteresti fosse quella di una persona normale.
Che cosa pensavo di trovare? Un dungeon con le pareti nere e catene che pendono dal soffitto? Oppure una stanza dei giochi alla Cinquanta Sfumature?
Faccio qualche passo in avanti, la testa stretta tra le spalle. Mi raddrizzo: schiena dritta, ha detto.
Gli angoli accanto alla finestra sono immersi nell’ombra, eppure qualcosa lì in mezzo riflette la luce del primo pomeriggio. Poggiate in ordine su uno scaffale a sinistra ci sono cinque o sei maschere a gas. Gli occhi vuoti di vetro luccicano sulla superficie opaca color verde militare. I bocchettoni per l’aria sbucano come tante proboscidi.
«Belle, vero?» Dice alle mie spalle.
Mi giro. Si è seduto su un divanetto e mi osserva, le gambe allungate in avanti e le braccia incrociate sul petto.
Indica gli scaffali. «C’è altro: guarda ancora.»
Sotto lo scaffale ci sono dei ganci da cui pendono delle corde. Uno di questi ospita qualcosa di tondo. È frusta arrotolata su sé stessa: le estremità pendono per conto proprio ai due lati. È color cuoio, ma alcune parti del manico sono più scure delle altre. Deve averla usata parecchio.
Nell’angolo c’è un portaombrelli, da cui sbucano le punte di frustini neri e marroni. In mezzo a tutti svetta il profilo color avorio e arrotolato su se stesso di un nerbo.
«Vedi qualcosa che ti interessa?»
È proprio dietro di me. Mi volto appena e il suo viso mi sovrasta. Sorride a bocca aperta, i denti scoperti in un ghigno da predatore.
«No, io…» Ho la gola chiusa. Tossicchio, ma la voce rimane comunque roca. «Non sono masochista. Mi piace il bondage, roba così.»
Le cinghie che mi stringono, i respiri che si accorciano e la testa che diventa leggera.
Come sarebbe se mi colpisse con il nerbo mentre non posso fare nulla per reagire?
Ho la faccia bollente e la testa di nuovo incassata tra le spalle. Mi raddrizzo: fa freddo in questa posizione. Sono troppo scoperta.
Alza un sopracciglio. «Ah sì, il bondage. Ho qualcosa qui.»
Tira fuori un trolley di metallo dall’angolo a destra della finestra e lo sdraia per terra. Vi si accoscia davanti. Lo imito. Lo apre e rivela dei compartimenti simili a quelli di una cassetta per gli attrezzi. Dentro vi luccicano morse e pinzette; un paio sono grandi quanto un’unghia, mentre quella nell’angolo potrebbe ingoiarmi tutta la mano.
Afferra una maniglia laterale e il vassoio con i comparti si sposta di lato, rivelando un altro scomparto. Dentro ci sono manette di acciaio, un paio di collari, cinghie e polsiere. Tira fuori un rotolo di cinture nere di pelle. Qualcosa cade a terra in mezzo a noi.
«Intenti qualcosa del genere?»
Annuisco. L’oggetto caduto è accanto al mio ginocchio. È un’asta di metallo, con dei gommini neri alle estremità. La prendo. No, sono due aste di metallo e i gommini le tengono insieme. A cosa serve una cosa del genere?
La alzo davanti al viso e la giro tra le dita.
«Sai cos’è?»
Stringe un’altra barra, identica a quella che ho in mano io.
Faccio cenno di no con la testa.
Il suo sorriso si allarga. «Se vuoi te lo mostro.»
Farà male, ci scommetto: a lui piace il dolore e io non sono masochista.
Il cuore batte tanto da far male dentro il petto, ho la gola secca. Dovrei dire di no, lo conosco appena. E se andasse troppo oltre? No, non lo farebbe mai.
A lui piace il dolore. E il godimento. E l’unione tra le due cose.
Non sono masochista, ma davvero il dolore e il piacere possono diventare una cosa sola? Chi può mostrarmelo meglio di lui? Lui sa quello che fa.
Annuisco e gli porgo la barra.
Allarga le due astine che la compongono e ci infila dentro un polpastrello. Vi si stringono intorno, tenute insieme dai gommini alle estremità. Avvicina il dito al mio viso: la carne intorno alle aste è bianca e la punta del polpastrello è già porpora a causa della stretta.
«Questo è quello che farò con i tuoi capezzoli. Sempre che tu me lo chieda per favore.»
Deglutisco. «Per favore, posso provare?»
«Ripetilo guardandomi in faccia.»
Alzo la testa. Stringe gli occhi dietro gli occhiali e mi fissa.
«Per favore.» Mi trema la voce.
Alza un angolo della bocca. «Per favore cosa?»
Abbasso gli occhi. Li rialzo. Le parole sono bloccate in gola. «Per favore, p-p-posso provare quelli?»
«Provare dove?»
Mi manca l’aria. «Posso provarli s-sui mie ca-capezzoli?»
Poggia le barre a terra accanto a sé. Si sfila gli occhiali, li osserva in controluce e li pulisce con un lembo della felpa. Se li risistema sul naso.
Magari mi stava solo facendo un dispetto e adesso mi dirà di no.
«Come rifiutare, dato che insisti così.» Fa cenno con il dito al mio maglione. «Quello è il caso che tu lo tolga.»
Lo sfilo e lo lascio cadere accanto a me. Ho la pelle d’oca. Stringo le braccia intorno al corpo e le strofino.
«Via le braccia e schiena dritta.» Scivola più vicino a me. «Mi serve che tu tolga anche il reggiseno.»
Slaccio e sfilo anche quello.
«Guardami.»
Regge una delle due barre all’altezza del mio viso. La abbassa e la punta di gomma mi sfiora la gola, l’incavo dei seni, l’ombelico.
Allarga le due astine e le tiene aperte con una mano. Con l’altra afferra la punta del mio capezzolo destro e la tira verso di sé. La passa tra le due aste, lascia che vi si chiudano intorno. Ripete l’operazione con l’altro capezzolo.
Fastidio. Calore. E il dolore?
Sfioro la punta del capezzolo e un brivido parte da lì e scende fino alla figa.
«Fa male?»
Faccio cenno di no con la testa.
«Rimediamo subito, allora.»
Ci sono due elastici alle estremità delle barre: li avvicina al centro e le aste si stringono. Una fitta di dolore mi sale alla testa. Sgrano gli occhi. Alzo una mano, ma lui la afferra per il polso.
«Se vuoi che vada avanti devi stare ferma.» I suoi occhi passano dal mio seno al mio viso. «Se ti muovi sarò costretto a fermarmi e tu non vuoi che mi fermi, vero?»
La fitta di dolore ha lasciato il posto a un pulsare costante. Il calore si muove in onde dai seni al resto del corpo, mi avvolge. Faccio cenno di no con la testa.
Snuda i denti in un ghigno. «Molto bene, ma se permetti non mi fido.»
Infila una mano nella cassetta e tira fuori un paio di polsiere in pelle. Fa cenno con il mento alle mie mani.
Le sollevo di fronte a me. Le barre ondeggiano e una nuova fitta di dolore mi attraversa. Boccheggio: il pulsare dei capezzoli preme contro il petto, come se qualcuno ci si fosse seduto sopra. Prendo un grosso respiro. Il dolore si stempera.
Chiude le strisce di pelle intorno ai miei polsi. Si alza e si inginocchia dietro di me. Tira i polsi all’indietro, li unisce tra loro e li spinge verso il basso.
Mi piego all’indietro, il seno esposto. Sto tremando. Una goccia di sudore scende da sotto l’ascella e segue la linea del fianco. Goccioline punteggiano il seno e un paio di queste stanno sgorgando da sotto la sua attaccatura per farsi strada lungo la pancia.
Lascia le manette e torno dritta. Si alza, passeggia con aria incurante di fronte a me e mi lancia un’occhiata distaccata. Si piega quel tanto che basta per recuperare una goccia di sudore con un dito. Lo annusa.
«Dio mio, sei davvero lurida.» Pulisce il dito sui pantaloni. «Ti rendi conto di essere lurida, vero?»
Annuisco.
«Dillo.»
«Sono lurida.» La voce esce limpida e chiara: il pulsare si è attenuato.
«Decisamente.» Si accoscia di fronte a me. «Ti rendi conto di essere una troia, vero?»
Accarezza i capezzoli con un dito. Un’onda di piacere scende dritta alla figa. Annaspo.
«Non mi hai risposto.» Avvicina ancora al centro gli elastici ai lati delle barre.
La stretta aumenta e il dolore con lei. Ho la testa leggera, la vista annebbiata. Annuisco.
«Ti rendi conto di essere venuta a casa di un semisconosciuto con il solo intento di farti seviziare?» Mi afferra per i capelli e tira la testa all’indietro. Il suo viso è sopra il mio, arrossato per l’eccitazione, gli occhi lucidi. Gli occhiali sono scivolati sul naso sudato.
«Quanto bisogna essere deviati per fare una cosa del genere?»
Una goccia di sudore si stacca dall’ascella e cade sul pavimento. La frangetta si è attaccata alla fronte, una ciocca sporge davanti agli occhi. Il mio corpo trema. C’è solo dolore e calore e un piacere pulsante che mi afferra il seno e la figa. Sono così vuota e la cosa fa così male…
Sopra di me lui mi guarda. Apre la mano e la testa mi ricade sul petto: non ho più muscoli per tenerla alzata, mi sto sciogliendo.
«Guardami.»
Stringo i denti e sollevo la testa. Scivola di lato. Sto annaspando.
Sorride. «Da 1 a 10, quanto vorresti che ti scopassi in questo momento?»
10. Sgrano gli occhi, la nebbia si dilata. Non va bene, lo conosco appena e―
Sospira. «Non ti scoperò. Non questa volta. Però, voglio essere buono.» Allunga una gamba. «Se vuoi, puoi concludere da sola.»
Il suo piede mi sfiora il ginocchio. Devo cavalcarlo come farebbe un cane in calore? Sarebbe umiliante, sarebbe… sarebbe sbagliato.
Scivolo indietro sulle ginocchia e le barre attaccate ai capezzoli ondeggiano. Dolore. Piacere. La figa pulsa, mi prega di farlo.
Avanzo, lascio che il piede passi sotto di me, mi poggio sui jeans scuri. Lo devo guardare: alzo la testa e lui è mille miglia sopra di me, le braccia incrociate, gli occhi stretti dietro gli occhiali.
Muovo il bacino: sollievo.
Si piega in avanti, la sua faccia è a un soffio dalla mia.
Strofino la figa sulla sua gamba, il piacere monta, la nebbia si infittisce. Tiro la testa all’indietro, mi mordo le labbra. Accelero. Ad ogni movimento piccole scosse partono dai capezzoli e quelle che partono dalla figa e salgono alla testa.
Apro la bocca per respirare, ma i polmoni sono stretti, il corpo è contratto. Non ho più aria e non ne ho più bisogno.
Le sue mani si chiudono sulle barre, le tirano. Dà uno scossone e i capezzoli sono liberi. Il dolore riempie il mondo di macchie colorate che punteggiano il bianco dell’orgasmo. Tremo una volta, due. La figa si contrae sulla gamba.
Crollo in avanti, poggiata contro di lui. Il tremito scema, il calore si dirada. Una mano mi accarezza i capelli e l’altra mi passa un fazzoletto sul viso: ho pianto? Ho gli occhi appiccicaticci, quindi è probabile.
Si sfila da sotto di me e ricado contro il bordo del divano. Armeggia dietro di me. Ho le braccia libere.
«Preparo un tè caldo. Ti va?»
È sulla soglia della stanza. Ha i capelli scompigliati e gli occhiali un po’ storti.
«Io…» Ho la voce roca. «Io non sono masochista.»
Alza un sopracciglio. «Non oserei mai insinuare una cosa del genere.»
Le guance mi diventano bollenti. «Non sono masochista, ma non è stato male. Potrei anche rifarlo.»
Hai ancora voglia di BDSM?